A QUANDO LA RIVOLUZIONE IN ITALIA ?

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DI SERGIO DI CORI MODIGLIANI

Quand’è che si verifica una rivoluzione?
E come si fa, a innescarla, una rivoluzione?

La parola “rivoluzione” non viene dalla politica, bensì dall’astronomia. E’ stata giustamente presa in prestito perchè identifica con esattezza uno specifico processo politico. Indica il movimento dei corpi celesti che ruotano su se stessi e fanno un giro intorno alla stella cui fanno riferimento.Quando ritornano nella posizione originaria, sono diversi, anche se magari non sembra, proprio perchè si è verificata la rivoluzione. La si usava anche per indicare i giri che i dischi al vinile compivano sul piatto d’acciaio: 78 rivoluzioni al minuto, oppure 33, più tardi anche 45.
La caratteristica della rivoluzione, che la rende un concetto così affascinante, consiste nel fatto che vince sempre.

Tanto è vero che si sa con matematica e millimetrica certezza che “si è verificata una rivoluzione” soltanto dopo, mai prima. Nessuno, a meno che non sia un pazzo o un mitomane, può pensare di sè (o dirlo o scriverlo) di essere un rivoluzionario durante il percorso, o prima. Se vince, allora è diventato un rivoluzionario.
Se non vince, è rimasto un rivoltoso.
Le rivolte sono tutte rivoluzioni mancate.
Non è mai esistito, nella Storia dell’umanità, il ricordo di una rivoluzione che non abbia vinto, altrimenti non sarebbe tale.
Il rivoluzionario, quindi, è un vincente. Sempre. Ma lo sa dopo, a giochi fatti. Finchè dura la partita corre sempre il rischio di essere un semplice rivoltoso, il che è tragico.
Per comprendere e definire questo concetto, basterebbe pensare alla frase di George Bush sr., allora direttore della CIA, nel 1978, quando, dopo una riunione con i vertici della sua agenzia con i quali stava affrontando la crisi iraniana da loro sottovalutata, disse imprecando: “Cazzo! Questa non è una rivolta, ma è una rivoluzione. Imbecilli che non siete altro!”.
Lo aveva capito. E aveva ragione.
Gli iraniani non lo sapevano ancora, negli ultimi 30 anni avevano vissuto ben sei rivolte, nessuna delle quali era riuscita a diventare una rivoluzione.Se ne sono accorti cinque minuti dopo, come avviene sempre nelle rivoluzioni.
La rivoluzione politica, quindi, si realizza quando si verifica un cambiamento epocale che modifica l’asse strutturale di una società, riportando l’equilibrio solo e soltanto dopo che si sono verificate delle trasformazioni impensabili fino a poco prima.

Tutto ciò per introdurre il tema del post: tutte queste chiacchiere sulle cosiddette o -ancora peggio- presupposte riforme, le trovo (oltre che noiose da morire) ridicole e fuorvianti.
La situazione dell’Italia è talmente disastrosa che nessuna riforma, ormai, in nessun campo, sarebbe in grado di poter risolvere alcun problema strutturale.
Per cambiare il paese in meglio, è necessaria una rivoluzione.
Ne esistono di due tipi: una violenta e sanguinosa, che abbatte il sistema politico vigente e lo sostituisce con uno diverso, come sono state quelle castrista, cinese, sovietica, francese, inglese, americana. Non mi piace, non la auspico, non la voglio.
L’altra, invece, è di tipo pacifico e armonioso, quella mi piace e la voglio.
Ma non voglio una rivolta, bensì la rivoluzione.
Quella che si manifesta senza colpo ferire, senza neppure una vittima, un incendio, un incidente, che opera nella realtà e la cambia, perchè va a incidere nella struttura reale della società. Galileo Galilei è stato, ad esempio, un grande rivoluzionario; anche il Dottor Fleming (colui che ha scoperto la penicillina) lo è stato; anche Dante Alighieri, Dostoevskij, Le Corbusier, Enrico Fermi, Alessandro Volta, i fratelli Meliès, ecc.
Il mondo è pieno, grazie a Dio, di rivoluzionari.
La rivoluzione pacifica, in ambito politico, comporta -altrimenti rimaniamo nel campo della mitomania o della rivolta e quindi ci si condanna alla sconfitta e alla perdizione- una modificazione comportamentale di 360 gradi, per ritornare alla posizione di equilibrio ma su basi diverse. Per dirla in parole povere: rivoltati come calzini.
La differenza tra il rivoltoso e il rivoluzionario consiste nel fatto che il rivoltoso è mosso dalla rabbia, dal livore, dalla disperazione e ha un’idea molto chiara in testa: la realtà che sta vivendo lo ripugna, lui è indignato, non ne può più, vuole abbattere tutto, senza avere la minima idea di dove andrà a parare; il rivoluzionario, invece, pensa al dopo, ovvero alla progettualità, alla strategia, al cambiamento operativo pragmatico che vuole attuare secondo modalità che il sistema appena abbattuto non consentiva.

Detto questo, mi sembra che non vi sia ombra di dubbio sul fatto che l’Italia è (forse in tutto l’occidente) il paese più lontano in assoluto da qualunque forma di rivoluzione necessaria.
Ne parlano, si usa il termine, ma il fine consiste nell’usurare la parola, svilirla, disossarla, e far credere alla gente che.
Gli italiani, per motivi ancora non del tutto chiari fino in fondo, hanno deciso di bersela.
Lo hanno fatto con Berlusconi, con Prodi, con Monti, con Letta, con Renzi.
Lo avevano fatto anche con Berlinguer.
Tutte queste persone elencate, sono state citate, vissute, e identificate come rivoluzionari.
Il che è falso. Sono tutti dei falliti, in quanto rivoluzionari, ma hanno avuto un enorme successo (ciascuno secondo le proprie modalità) come dei rivoltosi sui generis.
I conti con le rivoluzioni si fanno dopo: non esistono rivoluzioni abortite, rivoluzioni a metà, rivoluzioni così così, mezze mezze. O la rivoluzione c’è o non c’è.
A questo punto è immancabile l’intervento di qualcuno che dice: “eh! Si sa, il mondo va così, le rivoluzioni non esistono più ormai”.
Non è vero.
Esistono eccome, e seguitano a esistere.
Il fatto che non le si conoscano non vuol dire che non ci siano.
Le rivoluzioni si possono anche esportare, mai imporre. Si esporta il modello che serve come stimolo, il cui fine consiste nell’alimentare l’ispirazione che poi produce cambiamenti autoctoni.
I Beatles, ad esempio, sono stati dei rivoluzionari, non vi è alcun dubbio.
In America (per gli americani) lo è stata a suo tempo anche Madonna perchè il modello identificativo proposto ha comportato un radicale mutamento nella comportamentalità degli statunitensi, soprattutto il genere femminile.
Gli americani, in questo momento, stanno vivendo una fase molto interessante del loro percorso e da oltreoceano arrivano di continuo segnali confortanti (per loro) che indicano un cambiamento di rotta epocale, per alcuni tratti rivoluzionario. Qui, non se ne parla neppure. Basterebbe porsi una domanda secca: “Come mai noi italiani dagli Usa abbiamo sempre importato soltanto il peggio? Come mai noi ci ingozziamo come tacchini di tutte le schifezze colonialiste che l’America produce e ci impone con la violenza e il ricatto ma non siamo capaci e in grado di importare anche il loro vento rivoluzionario quando esso si manifesta? Perchè ci becchiamo soltanto gli osceni F35 ma non gli scatti evolutivi e risolutivi?”.
In California stanno avvenendo diversi episodi di grande rilevanza dal punto di vista sociale, iniziati alla fine dell’autunno del 2012.
La California è da sempre un gigantesco laboratorio sperimentale.
In Usa si dice: “Quando arriva una novità dalla California, esultano il diavolo e il buon Dio: sanno che uno dei due vincerà di sicuro”.
Perchè il peggio e il meglio della civilt&agr
ave; occidentale, negli ultimi 50 anni, è venuto da lì.
Noi, qui, importiamo soltanto la parte diabolica, quella mercatista, consumista, la peggiore.

Raccontai l’episodio cardine quando si verificò, il 5 novembre del 2012, ma non ebbe alcuna risonanza. L’Italia è molto lontana da quella modalità d’approccio.
Ecco il fatto:
la California è uno stato molto ricco, contribuisce per il 22% al pil nazionale. Se fosse una nazione, sarebbe la quinta potenza al mondo. Il loro pil è pari a quello dell’Italia, Spagna, Portogallo e Grecia messi insieme, intorno ai 3.500 miliardi di dollari l’anno. Nel 2012, in seguito alla crisi, il bilancio statale ha sofferto di una crisi di liquidità che ha spinto il governatore ad attuare tagli lineari nell’istruzione pubblica, nella ricerca scientifica e negli incentivi per giovani laureati provenienti da famiglie disagiate. Si è scatenato un grande dibattito tra le forze politiche e intellettuali californiane che ha dato vita a un referendum votato il 4 novembre del 2012. Il testo diceva: “Siete favorevoli o contrari all’aumento fiscale di un’aliquota una tantum, nell’ordine del 12%, per tutti i residenti i cui introiti superino 1 milione di dollari all’anno, con la specifica che la somma ottenuta verrà investita al 100% per impedire la privatizzazione dell’istruzione, impedire la chiusura di 450 centri universitari consentendo di elargire 25.000 borse di studio a giovani laureandi meritevoli e d’eccellenza?”. I primi sondaggi (effettuati alla fine di settembre) davano il 70% a coloro che erano contrari alla tassazione.
Nessuno va a votare chiedendo un aumento delle tasse, era dato per scontato. L’astensione era data intorno al 65%..
Ma a ottobre avvengono episodi inauditi.

Le più ricche e famose famiglie di Los Angeles, Santa Monica, Malibu, a proprie spese, cominciano a fare campagna elettorale a favore della tassazione, soprattutto attrici e attori di Hollywood, da George Clooney a Jane Fonda, da Sigourney Weaver a Matt Damon, da Steven Spielberg a Nicholas Cage, i quali spiegavano in televisione che per loro era inaccettabile l’idea di vivere da super ricchi circondati da un insostenibile disagio esistenziale. Negli altri stati, soprattutto a New York e in Florida, li prendevano in giro con accanimento sostenendo che in California si era diffusa una nuova droga che dava allucinazioni. Il referendum ha visto l’abbattimento dell’astensionismo e la vittoria della mozione pro-tasse con il 59% dei voti. Una settimana dopo, il governatore annunciava di aver radunato 24 miliardi di dollari grazie all’esito referendario, sufficienti a salvaguardare l’intero sistema di gestione dell’istruzione pubblica sia umanistica che scientifica fino al 2017.
Nessun media ha neppure parlato dell’argomento, considerata una stranezza californiana.
Ma due mesi dopo, i più attenti, si sono resi conto che era stato piantato il germe di una rivoluzione pacifica.
E come in ogni rivoluzione che si rispetti, lo si sa sempre dopo.
Quell’evento ha determinato un cambiamento radicale di ottica e di prospettiva che ha incentivato gli investimenti restituendo ottimismo pragmatico perchè il dibattito è passato dalla discussione su “come abbattere il debito pubblico dello Stato” a quello, invece reale “come affrontare il problema della re-distribuzione della ricchezza”.

Questa è la rivoluzione.
Perchè questo è l’unico vero problema.
Non 80 euro regalati a un mese dalle elezioni, che valgono quanto la carità vaticana nel 1500.
Sarebbe possibile cominciare a parlare in Italia di eventi simili, copiabili?
Non credo.
Papa Francesco ha suggerito di “mettere in campo la creatività per affrontare i gravi problemi del disagio sociale”.
La creatività è questa, inventata nel luogo che ha inventato il tablet, yahoo, amazon.
Serve un nuovo parametro sociale, un nuovo approccio sociologico, una diversa comportamentalità esistenziale.
Servirebbe un sindacato che annuncia con geniale creatività rivoluzionaria di aver scelto di restituire collettivamente allo Stato gli 80 euro con la dizione “non vogliamo la carità, vogliamo una strategia strutturale” e quindi aprire un dibattito tra tutte le forze politiche per andare a riempire il tragico e gigantesco vuoto prodotto dal genocidio culturale perpetrato negli ultimi 25 anni.
Il sindacato, in Italia, non lo farebbe mai, non è certo un caso che siano proprietari di uno spropositato numero di immobili sui quali non pagano tasse. Basta questo, per rendersi conto della confusione che regna in questo paese.
Ci vogliono idee operative, immediate, efficaci ed efficienti.
Un grado e un grammo di meno portano indietro il paese.
Buon Senso e Buona Volontà -valori della tradizione moderata italiana- paradossalmente sono diventati in questo paese il vero nutrimento della rivoluzione di cui abbiamo bisogno.
O cambia il comportamento esistenziale dal punto di vista psicologico di tutti, a cominciare dalla classe dirigente, imprenditoriale, sindacale, oppure seguiteremo a passare da una illusione a un’altra, da una mossa truffaldina a un’altra mossa truffaldina.
E se alle prossime elezioni europee vinceranno ancora Berlusconi, Renzi e i soliti noti, allora vorrà dire che gli italiani, in realtà, non esistono più.
E’ nata una nuova etnia, ignorante e poco intelligente, cosa che gli italiani non erano.
Come sosteneva Charles Darwin, “la specie che si evolve, quella più intelligente, non è la più forte o la più sana, ma quella che più di ogni altra è in grado di sapersi adattare ai cambiamenti”.
Quindi, ci si adatta al cambiamento e si evolve. Tutti insieme.
Oppure ci si adatta alle chiacchiere degli imbonitori di turno, Berlusconi o Renzi, l’uno vale l’altro. Si salveranno in pochi, pochissimi.
A mio avviso, non si tratta di soldi, di qualche euro in più o in meno.
Si tratta della sopravvivenza di una intera civiltà.
Ma non potete aspettarvi che ve lo vengano a spiegare quelli che la stanno distruggendo, perchè dal dissolvimento della Bella Italia ne traggono un loro squallido vantaggio finanziario.
Tutto qui.
California dreaming!

Festeggiare il 25 aprile come data della liberazione dall’invasione nemica e come la fine della guerra, a me sembra un ossimoro pornografico che mi indigna e mi scandalizza.
Nella guerra ci siamo dentro fino al collo: è lo scontro tra chi vuole imporre una idea monarchica della vita, pretendendo dai propri sudditi deferenza e riverenza, e i cittadini ai quali dare la guazza di qualche briciola, purchè se ne stiano buoni e zitti: obiettivo finale della guerra è quello di non modificare in alcun modo l’assetto strutturale del sistema vigente.
La guerra c’è, solo che non si vede.
A questo serve la truppa asservita della cupola mediatica: a nascondere la realtà.

Intanto, sul pianeta Terra, c’è già chi ha capito come fare e cosa fare per evolversi verso nuove forme di sopravvivenza collettiva, esistenzialmente sostenibili, spiritualmente forti, culturalmente corpose.

Perchè non cominciamo anche noi a pretendere di andare verso il futuro?
Se non cambiamo noi, dentro, come possiamo pretendere che cambi la nostra realtà?

buon week end a tutti.

Sergio Di Cori Modigliani

Fonte: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/

Link: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2014/04/a-quando-la-rivoluzione-in-italia.html

25.04.2014

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