A PARIGI VAL BENE UNA COZZA

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DI MARCO TRAVAGLIO

Sul Corriere della sera, da un po’ di tempo, è (era?) vietato nominare Eugenio Scalfari. Previti e Dell’Utri, la Fallaci e le Lecciso, persino Vespa sì. Scalfari no. Ordini superiori. Dev’essere per questo che ci scrivono tanti «liberali». Sono, costoro, una categoria curiosa. Vivono sotto il governo che, quotidianamente, più calpesta, maciulla e irride i principi del liberalismo, ma loro, i «liberali», parlano d’altro.
Nell’ultima settimana, mentre in America un ministro si dimetteva perchè non pagava i contributi alla colf, in Inghilterra un ministro si dimetteva per un permesso di soggiorno alla bambinaia dell’amica, in Danimarca un ministro si dimetteva per aver soggiornato al Ritz di Parigi a spese dello Stato, in Italia il premier veniva riconosciuto responsabile di aver corrotto un giudice (prescrizione), il suo braccio destro di averne corrotti almeno due (16 anni in primo grado), il suo braccio sinistro di essere alleato della mafia (9 anni in primo grado), ma la Santissima Trinità resta al suo posto. Anzi, Dell’Utri viene promosso capo dei mille volontari stipendiati di Forza Italia, detti anche la Silvien Jugend o i Figli del Biscione. E i nostri «liberali» zitti. Negli stessi giorni il capo dello Stato respinge come otto volte incostituzionale la controriforma della giustizia, la maggioranza vara una legge che salva Previti mandando in prescrizione migliaia di reati, il premier infila nella finanziaria un codicillo che sana gli abusi nella sua villa in Sardegna, il sottosegretario Mantovano paragona la sentenza di Palermo alle «rappresaglie naziste», la Lega sventola in Parlamento cartelli che danno del «nazista» al procuratore Papalia. E i nostri «liberali» zitti. Parlano d’altro.

Massimo Franco equipara la gravissima, eversiva legge Previti ai girotondi e a un normale battibecco fra la Bindi e Mastella: tre sintomi di «una politica malata», «ostaggio delle componenti estremiste». Tutto sullo stesso piano. Scrive proprio così: «non a caso sono rispuntati persino i girotondi». Dove quel «persino» indica che le pacifiche manifestazioni di protesta dei cittadini sono qualcosa di allarmante, patologico, «malato». Chi attenta e chi oppone pari sono. Lupo e agnello diventano entrambi colpevoli di una inesistente guerra per bande.

Angelo Panebianco, anzichè censurare un governo che non fa altro che leggi incostituzionali e illegali, se la prende con «le reazioni soddisfatte dell’opposizione» al no di Ciampi alla controriforma Castelli: lasciano «trasparire la volontà di difendere a tutti i costi lo status quo». Ecco: per lui, «liberale», la Costituzione è lo status quo. Qualcosa di malato. Di qui l’invito ad abbandonare «l’interpretazione rigida del dettato costituzionale che attribuisce al Csm il monopolio assoluto sulle carriere dei magistrati». Un po’ di creatività, suvvia. Basta con l’«interpretazione rigida». Per esempio, «l’obiettivo di Castelli di indebolire/ridimensionare il Csm non è di per sè sbagliato». È incostituzionale, Ciampi l’ha respinto al mittente, ma che saranno mai la Costituzione e il capo dello Stato di fronte a un Panebianco? Ubi maior, minores cessant.

Sdegnato per tanti silenzi e corbellerie, Claudio Magris manda al Corriere un’invettiva contro i continui scandali, invitando «gli uomini liberi e forti» di destra e sinistra a insorgere. L’invettiva finisce in un corsivo, non certo nell’ editoriale. Magris usa termini ormai desueti per i «liberali» alle vongole. Chiama a raccolta i «galantuomini di animo non servile», in nome dell’onestà e dell’integrità, contro le «leggi indecenti», la «degradazione civile», il «pervertimento scandaloso che svilisce la Cosa pubblica, lo Stato, la Patria», l’«immoralità e indegnità politica che disonora l’Italia», la «sovversione», l’«attentato alla civiltà». Gli risponde, a nome degli indecenti e degli immorali, il loro portavoce ufficiale: il sempre molto intelligente Giuliano Ferrara, in stereofonia con Piero Ostellino. Quest’ultimo sproloquia di concorso esterno in associazione mafiosa, che a suo dire esiste solo in Italia (falso: c’è anche negli Usa, e se negli altri paesi non c’è è perchè non c’è neppure la mafia) e «nessuno è mai riuscito a provarne l’esistenza» (falso: lo teorizzò Falcone nell’ordinanza del maxi-ter e ha già portato a decine di condanne definitive). Ferrara, sguazzando nella cloaca con la consueta voluttà, giustifica le leggi canaglia con la teoria della guerra per bande: da un lato i giudici che processano i politici ladri e mafiosi «con metodi non ortodossi» (quali?), dall’altro «il centrodestra che si batte per non esser piegato e sconfitto in processi che denuncia prevenuti, non imparziali». E chi decide se sono parziali o imparziali? Gli imputati, che fra l’altro gli pagano lo stipendio. Così la Grande Cozza non trova di meglio che riproporre una fantomatica «formula francese di inviolabilità della politica, a Parigi come a Roma». Peccato che a Parigi sia stato appena condannato Alain Juppè, delfino di Chirac, per finanziamenti illeciti infinitamente meno gravi della mafia e della corruzione giudiziaria, senz’alcuna inviolabilità. E peccato che a Parigi il ministro Strauss Kahane abbia avuto la carriera stroncata da uno scandaletto (seguito fra l’altro dall’assoluzione) che impallidisce dinanzi ai nostri, senz’alcuna inviolabilità. Ma, si sa, Parigi val bene una Cozza.

di Marco Travaglio
Fonte:http://banane.splinder.com/
26.12.04

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