Presentato ieri “Truffa a mano armata”
DI SABINA MORANDI
Per quelli che non avevano creduto alla favoletta dell’esportazione della democrazia il dossier “Truffa a mano armata” -I numeri degli interessi petroliferi occidentali e italiani dietro la guerra all’Iraq” non è una sorpresa ma, avere le cifre della razzia aiuta a fare piazza pulita della retorica. Frutto del lavoro della britannica Platform – ong che si occupa di monitorare il comportamento delle multinazionali del petrolio nel mondo – il rapporto è stato tradotto in italiano grazie al lavoro congiunto di Un Ponte per…, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Lunaria ed Arci ed è stato presentato ieri a Roma alla presenza di alcuni rappresentati della General Union of Oil Employees di Bassora, il sindacato dei lavoratori del petrolio del sud dell’Iraq, venuti a raccontare cosa significa lavorare nell’Iraq occupato dalle truppe e dalle multinazionali d’Occidente, e a illustrare modalità diverse per sfruttare la risorsa petrolio a beneficio dell’intera popolazione. “Truffa a mano armata” denuncia il percorso di appropriazione del petrolio iracheno da parte delle multinazionali, una spartizione che non passa attraverso l’esplicita privatizzazione – tentata nei primi giorni dell’occupazione ma subito abortita – ma che viene imposta attraverso l’adozione di contratti che, pur lasciando all’Iraq la proprietà nominale dei giacimenti di fatto mettono in mano alle multinazionali la maggior parte delle rendite future. Grazie a questi accordi infatti, ben 63 degli 84 giacimenti iracheni vengono riservati alle multinazionali del petrolio. Tra queste non poteva mancare l’italiana Eni che, come dimostra un documento allegato al dossier, insieme alla britannica Bp, alla statunitense Chevron e alla francese Total, sta lavorando direttamente con il ministero del Petrolio di Baghdad per definire il piano di sviluppo dei giacimenti petroliferi presenti nel sud dell’Iraq, dove si trova appunto Nassiriya e dove i nostri soldati sono stati spediti – e sono morti – proprio per questo motivo.
Non stiamo parlando di vaghi principi relativi alla sovranità nazionale: le proiezioni dei dati economici fornite da Platform mostrano che il modello di sviluppo petrolifero ideato dal Dipartimento di Stato Americano costerà all’Iraq centinaia di miliardi di dollari in mancante entrate.
Nell’introduzione del rapporto si legge «Nel caso dello sfruttamento del giacimento di Nassiriya da parte dell’Eni, per deduzione dalle proiezioni aggregate di Platform, le mancate entrate per lo Stato iracheno oscillerebbero tra i 2,3 ai circa 6 miliardi di dollari, pari rispettivamente all’8 ed al 20 per cento del bilancio annuo attuale dell’Iraq». E stiamo parlando di un unico giacimento, e nemmeno dei più importanti. Niente male per un paese che dovrebbe avere accesso a ogni possibile risorsa per ricostruire delle infrastrutture rese fatiscenti dalle sanzioni e poi distrutte dai bombardieri.
Sabina Morandi
Fonte: www.liberazione.it
14.02.06