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blankLa BP ha il diritto legale di ottenere la licenza della Indonesia per estrarre gas dal Papua occidentale. Il punto di vista morale è meno chiaro.

DI GEORGE MONBIOT

Sembra tutto molto lontano. Ma cio’ che sta accadendo in un’oscura isola del Sud Pacifico adesso e’ diventato il nostro business [britannico]. Alcune settimane fa la BP, una compagnia britannica che investe molto in “responsabilità sociale corporativa”, ha ricevuto l’approvazione finale per iniziare a sviluppare un giacimento di gas nel Papua occidentale, sul lato occidentale dell’isola della Nuova Guinea. Non c’è niente di insolito in questo: le compagnie petrolifere e del gas aprono sempre giacimenti. Ciò che rende questa operazione interessante e’ la questione se la BP abbia qualche diritto di trovarsi là.
Questo caso sembra, a prima vista, indefinito. La licenza per operare, come dice la BP, “ci è stata rilasciata dal governo Indonesiano, che è internazionalmente riconosciuto come governo sovrano di Papua, dal Regno Unito e dall’ONU”. Questo e’ vero. Ma questa verita’ inizia da una grottesca ingiustizia.
All’inizio del 1962 il Papua occidentale stava per essere preparato all’indipendenza dal suo colonizzatore, i Paesi Bassi. Ma nell’Aprile di quell’anno JF Kennedy scrisse al Primo Ministro danese, avvisandolo che se non avesse assegnato il paese all’Indonesia, “l’intera posizione mondiale di libertà in Asia sarebbe stata seriamente danneggiata”. Il governo Indonesiano sarebbe stato “succube del comunismo” se non fosse stato riappacificato. Robert Komer, consigliere di Kennedy per la Cia, fu anche piu’ diretto. “Un blocco separato indonesiano, anche se non comunista, e’ una minaccia ancor piu’ grande di un possedimento indonesiano di poche migliaia di miglia di terra di cannibali.”

Ma non poteva essere fatto esplicitamente. Kennedy propose che all’Indonesia fosse concesso il controllo del Papua occidentale per uno “specifico periodo”, dopo il quale ai Papuani sarebbero stato concesso il “diritto all’auto-determinazione”. Un accordo fu firmato a New York, secondo cui l’ONU avrebbe organizzato un refrendum al quale “tutti i Papuani adulti avevano diritto di partecipare”.

Il problema, come osservò l’ambasciatore Usa in Indonesia, era che “l’85-90%” della popolazione “simpatizzava per la causa della libertà della Papuasia”. Il libero voto avrebbe prodotto un chiaro risultato a favore dell’indipendenza. Così gli USA dissero all’ONU che il risultato doveva essere manipolato. Come rivelò una lettera dell’ambasciatore Usa al Dipartimento di Stato nel 1968, l’ordine era obbedire. Il rappresentante dell’ONU “mise in atto una procedura… la quale confermerà la sovranità Indonesiana”.
Così invece di un referendum a cui potessero partecipare “tutti gli adulti papuani”, nel 1969 l’ONU gestì un metodo diverso: 1022 uomini furono selezionati dai soldati indonesiani, gli furono insegnate le parole “Io voglio Indonesia”, poi furono allineati in fila. Un uomo che si rifiutò di dire quelle parole fu ucciso. Altri furono minacciati di essere gettati dall’elicottero. Questo rigido esercizio democratico si tramutò in un voto unanime per le regole indonesiane.

Nessuno che abbia studiato questo trasferimento di sovranita’ ritiene che sia stato giusto. Quattro anni dopo un ex segretario generale dell’ONU confessò “E’ stata tutta una copertura. La preoccupazione dell’ONU era quella di risolvere il problema al piu’ presto… Nessuno ha pensato al fatto che c’erano un milione di persone che videro i propri fondamentali diritti umani calpestati”. In un’interpellanza parlamentare nel Dicembre scorso, un membro del Ministero degli Esteri britannico, la baronessa Symonsm, fu d’accordo che “ci furono 1000 rappresentanti scelti che furono ampiamenti costretti a dichiararsi a favore dell’Indonesia. Così come Timor Est sei anni dopo, anche la Papuasia occidentale fu di fatto annessa.

LA BP ha il diritto legale di ottenere la licenza dall’Indonesia per operare nel Papua occidentale. Ma e’ difficile vedere come questo si traduca in un diritto morale.

Operando sotto il consenso dell’Indonesia, la BP rischia di prestare legittimità alla presenza del potere occupante. Questa e’ una posizione moralmente pericolosa. Secondo un recente rapporto di accademici della Scuola di Legge di Yale “c’e’ il forte segnale che il governo indonesiano abbia commesso un genocidio contro la popolazione del Papua occidentale”. I Gruppi per i diritti umani suggeriscono che circa 100.000 papuani sono stati uccisi dal governo dell’Indonesia. Le forze armate hanno bombardato, disperso napalm, mitragliato nei villaggi nonche’ torturato ed assassinato la loro gente. Il governo ha voluto distruggere la cultura paupana attraverso l’incoporazione e l’immigrazione di massa. Lo scopo di questi piani, secondo l’ex governatore della Papuasia occidentale, era di “dare nascita ad una nuova generazione di persone dai capelli arricciati, diffondendo il seme della grande bellezza”. Oggi questi villaggi di papuani sono ancora dati alle fiamme dai soldati e la loro gente uccisa o costretta a fuggire nella foresta.

Tutto questo e’ ignorato dalla BP. C’e’ una pagina sul loro sito web intitolata “contesto Papuasia”. Parla di canguri e uccelli del paradiso, e menziona solo “l’abuso dei diritti umani” che hanno avuto luogo sotto Suharto (che fu deposto nel 1998). Da allora, suggerisce, il governo indonesiano ha iniziato a concedere autonomia alla popolazione papuana.

Non ha fatto niente di tutto questo. Ha fallito nell’ approvare “leggi speciali di autonomia”, ed ha invece diviso la nazione in tre regioni, controllate direttamente da Jakarta, Quando i paupani tentarono di costituire la loro propria assemblea – il presidio conciliare paupano – il suo presidente, Theys Eluay, fu assassinato dall’esercito. Il governo indonesiano sta incrementando le proprie truppe di 15000 unità. Nelle scorse settimane la repressione si e’ intensificata.

Questo bisogno di autonomia dei papuani causa un particolare problema alla BP, che ha giustificato i propri progetti sostenendo che “la Papuasia beneficera’ di una parte dei profitti”. Ma cosa e’ la Papuasia? Non c’e’ un governo legittimato dalle popolazione papuana che potrebbe gestire il paese. I “governi centrali, provinciali e locali” ai quali la BP dara’ i soldi rispondono tutti a Jakarta. L’Indonesia e’ quasi in cima alla lista dei paesi piu’ corrotti. A Marzo l’esercito indonesiano e’ stato accusato dal capo della chiesa battista del Papua occidentale di aver sottratto 267.000 dollari di aiuti destinati al Papua occidentale. Quanto possiamo essere fiduciosi che i soldi provenienti dai progetti del gas non faranno la stessa fine?

La BP non ha voluto essere direttamente coinvolta con i perpetratori del genocidio. Invece di assoldare soldati per fare la guardia agli stabilimenti di gas, sta addestrando gente locale. Ma, come la Free West Papua Campaign (www.freewestpapua.org) rivela, l’esercito indonesiano ha una tecnica standard per guadagnare il controllo delle industrie estrattive. Crea un incidente, attaccando i suoi stessi soldati o bruciando un villaggio o due, incolpa i ribelli e poi insiste che deve “rendere sicura l’area” – e, naturalmente, ogni profitto generato da quell’area. L’esercito sta gia’ rafforzando le milizie civili vicino agli stabilimenti di gas. Alcuni di questi sono controllati da Laskar Jihad, che e’ affiliato ad al-Qaida.

Ma tutto questo per girare intorno alla domanda principale: quella del consenso. BP ha condotto consultazioni e discussioni con la popolazione locale. Ma non c’e’ alcuna assemblea papuana rappresentante che ha il potere di decidere se o no il progetto debba andare avanti, e a quali condizioni. BP ottiene la propria autorita’ agendo con l’avallo di un potere occupazionale nel mezzo di un tentato genocidio. Quanto credibili sono le sue dichiarazioni di avere le mani pulite?

Fonte: www.guardian.co.uk
3.04.95

Scelto e tradotto per www. comedonchisciotte.org da Manrico Toschi

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