A che serve la sperimentazione animale, o per usare un termine più impressionabile, la vivisezione? Me lo chiedo quasi ogni giorno ma ancor di più quando leggo notizie come il lancio d’agenzia Ansa del 4 gennaio scorso che testualmente recita “Il Vioxx sarebbe stato la causa della morte o della malattia di 140.000 americani, stando a una ricerca condotta da uno scienziato dell’Fda. Il dottor Graham -scrive il Financial Times- intende divulgare il suo studio sulla rivista scientifica “Lancet” nonostante il parere contrario dei superiori e il rischio di conseguenze legali.
Una probabile pubblicazione destinata ad alimentare il dibattito sull’efficacia del sistema di regolamentazione farmacologica Usa, che nel ’99 aveva approvato il Vioxx”.
Il Vioxx è un farmaco prodotto della multinazionale farmaceutica tedesca Merck, prescritto a più di venti milioni di persone nel mondo. Un antidolorifico che avrebbe dovuto “fare miracoli” senza danneggiare lo stomaco, ma ritirato recentemente dal commercio dalla ditta produttrice dopo che si è scoperto che raddoppiava il rischio d’infarto causando appunto centinaia di morti.
Ma come possono succedere fatti di questo genere se per ogni farmaco, prima di essere messo in commercio, è prevista una rigorosa e attenta sperimentazione che prevede tre fasi: la sintesi, la prova sugli animali e in ultimo quella sugli uomini ?
Evidentemente qualcosa non funziona in questo iter: appare sempre più evidente che proprio lo stadio della sperimentazione su animali rappresenti l’anello debole della catena.
E’ proprio questa la chiave di volta per comprendere come si arrivi a distribuire un farmaco che poi si rivela in moltissimi casi letale per l’uomo.
L’errore è metodologico, perché basato sul concetto di similitudine. “Entrereste in un stanza con un gas simile all’ossigeno? Vi fareste fare trasfusioni con un liquido simile al sangue ? E ancora: mangereste sostanze simili al cibo ?” (1)
Se somiglianze e analogie esistono tra uomo e animale, e sono indiscutibili, è ancor più vero e determinante che “ogni specie possiede un Dna e dunque una propria anatomia, fisiologia, biochimica. Ragione per cui i dati finali di un esperimento non possono essere trasferiti da una specie all’altra. Non a caso, i test sugli animali non sostituiscono quelli sull’essere umano ma ne sono solo la premessa”. (2)
In questo modo si può dimostrare tutto e il contrario di tutto ed è quello che succede normalmente, spesso purtroppo anche strumentalizzando i risultati in base alle necessità del tal ricercatore o nell’interesse di una certa azienda in nome della competitività del mercato.
In realtà la sola vera sperimentazione che può verificare inequivocabilmente l’efficacia o la pericolosità di un principio attivo è quella che avviene sull’uomo una volta che il farmaco è messo in vendita.
Esemplificativo di ciò, tra le tante, è una ricerca del General Accounting Office, Usa, che tra il 1976 e il 1985 ha passato in rassegna 198 nuovi farmaci dei 209 commercializzati, constatando che il 51% di essi presentava “gravi rischi emersi dopo l’approvazione” e non previsti dai test sugli animali; rischi definiti come: reazioni avverse, tali da portare al ricovero in ospedale, a invalidità o addirittura a morte.
La sperimentazione animale è una pratica tragica tanto per gli animali che la subiscono quanto per gli esseri umani che ne pagano pesantemente le conseguenze.
Davide
www.comedonchisciotte.org
10.01.05
Note:
1 – Maria Rosa Furbelli “Salute” di Repubblica
2- Intervista a Stefano Cagno www.scienze.it