DI MELKULANGARA BHADRAKUMAR
strategic-culture.org
Il 2014 è stato un anno sensazionale. Molti si affrettano ad etichettarlo come l’anno in cui è iniziata la Terza Guerra Mondiale, con discrezione, furtivamente, inesorabilmente – coinvolgendo per il momento partecipanti indeterminati. L’apparire tumultuoso del Califfato islamico comandato dallo Stato Islamico, l’esplosione del virus Ebola, il rapimento delle 200 studentesse da parte del gruppo Boko Haram – quest’anno ha sicuramente avuto la sua dose di eventi da far gelare il sangue.
È stato l’anno in cui l’economia statunitense ha dato segni credibili di ripresa, ma in cui gli USA hanno dovuto ammettere la sconfitta in una campagna, durata mezzo secolo, volta a mettere in ginocchio la rivoluzione cubana. Inoltre, l’influsso del fondamentalismo conservatore Hindu in India, un paese di 1,3 miliardi di persone, lo ha reso sicuramente un anno significativo per una regione così turbolenta.
Questi avvenimenti, così significativi singolarmente, difficilmente avranno delle conseguenze durature sull’ordine mondiale e la probabilità che possano rivelarsi effimeri è elevata, benché in un primo momento possano colpire. In ultima analisi, “grida e furia non significano nulla”.
Due sono invece gli sviluppi internazionali di maggiore portata che formano un gruppo a parte a causa del profondo impatto che hanno sulla futura evoluzione dell’ordine globale: la crisi in Ucraina e l’emergere della Cina come la più grande economia mondiale.
La crisi ucraina
Nessuno degli sviluppi internazionali del 2014 ha avuto tali onde d’urto sulla politica mondiale come la crisi che è scoppiata in Ucraina a seguito del “cambio di regime” supportato dagli USA a Kiev a Febbraio. A volte sembra che l’ordine internazionale abbia iniziato a svanire o che stia galoppando in maniera incontrollabile verso tale processo, con le Nazioni Unite ridotte ad uno sfortunato osservatore.
Il cuore della crisi ucraina sottolinea che l’ordine di sicurezza guidato dagli USA è stato seriamente messo in dubbio da una potenza non occidentale in ascesa – la Russia. Inoltre, l’equilibrio europeo si è trovato faccia a faccia, anche se in maniera implicita, con un principio ordinatore basato sulla legittimazione delle sfere di influenza: principio che, l’Occidente, essendosi da tempo riparato sotto la protezione di un’alleanza militare, non ha mai sentito la necessità di accettare esplicitamente.
Su un terreno normativo internazionale, le idee occidentali di equilibrio internazionale sono state contestate in Ucraina. Il cuore della questione è che, mentre apparentemente professano rispetto per il diritto internazionale, gli USA e l’Europa hanno agito deliberatamente al di fuori di esso per far avanzare i propri interessi – che, essenzialmente, riguardavano Kossovo, Iraq e Libia – e la Russia ha fatto da specchio a questo ordine mondiale essenzialmente illiberale, alla fine, e sta pretendendo un bilanciamento realistico, razionale, senza il quale Mosca offrirà resistenza sia in termini politici sia attraverso la deterrenza militare, se fosse necessario.
Chiaramente, il mondo non ha preso le parti dell’Occidente nella crisi ucraina. Perfino gli alleati occidentali non hanno preso parte alla situazione di stallo con la Russia – Italia, Ungheria, Giappone, Turchia o Sud Corea, per esempio. Da un lato, la posizione di equivalenza dei paesi non-occidentali (il “Resto del mondo”) tra il controverso “cambio di regime” supportato dall’Occidente in Ucraina e le susseguenti azioni russe in Ucraina equivale ad un rifiuto dell’Occidente di auto-identificarsi come custode dell’ordine “liberale”, mentre dall’altro lato è anche il riflesso della percezione dei paesi non-occidentali che l’Occidente gode di una ingiustificata posizione di privilegio nel sistema internazionale.
Il punto è che la propensione dell’Occidente ad utilizzare il sistema internazionale come arma a proprio piacimento attraverso sanzioni finanziarie, congelamento di capitali, embargo e boicottaggi collettivi è stata a lungo mal sopportata dal “Resto del mondo”. La crisi ucraina promette di essere l’inizio della fine di sanzioni economiche usate come strumento chiave dell’attuale potere coercitivo statunitense.
L’attenzione dei media occidentali si è concentrata sui travagli dell’economia russa, che ignora con superficialità che il paese stava già entrando in un periodo di recessione alla fine dello scorso anno e che, semmai, le sanzioni occidentali hanno evidenziato la necessità cruciale di una profonda ristrutturazione economica da parte della classe dirigente russa. Dall’altro lato, gli USA hanno esagerato contro la Russia, la nona economia più grande al mondo, e questo potrebbe diventare l’equivalente economico dell’ingerenza militare che la potenza americana ha incontrato in Iraq e Afghanistan.
Ci sono elevate probabilità che il bisogno di imporre sanzioni sulla Russia e di trascinare una riluttante UE nell’impresa possa intaccare solo sistematicamente il futuro potere dell’US Treasury’s Office of Foreign Assets Control (l’Ufficio di controllo dei beni stranieri del dipartimento del Tesoro statunitense), poiché, paradossalmente, anche l’Europa potrebbe unirsi al “Resto del mondo” per mettere in dubbio l’attrattiva dell’essere esposti (come è accaduto durante la crisi ucraina) agli interessi e agli umori politici del Tesoro statunitense.
Non è da escludere la probabilità che ci sia un piano nascosto USA-Arabia Saudita per infliggere sofferenze all’economia russa architettando un drammatico dimezzamento del prezzo del petrolio. Tale piano non sarà mai riconosciuto e non può essere portato a termine in modo decisivo, ma non è nemmeno da escludere. In ogni caso, il calo del prezzo del petrolio porterebbe ovunque delle conseguenze per l’economia mondiale.
Allo stesso modo, la crisi ucraina sta accelerando la strategia europea volta a ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, mentre dall’altra parte la diminuzione della domanda nel mercato europeo in combinazione con una strategia a lungo termine volta ad inserirsi nel mercato della zona Asia-Pacifico, in rapida crescita, sta inducendo la Russia a guardare ad Est per l’esportazione di energia. La prospettiva di un reale pivot energetico Mediorientale per l’Europa rimane incerto al momento, e può dimostrarsi elusivo, ma il “pivot” della Russia verso la regione asiatica sta guadagnando popolarità e il suo impatto sulle politiche energetiche globali non deve essere sottovalutato.
Infine, il futuro del consenso occidentale risiede oggi nell’equilibrio dovuto alla crisi ucraina. La predominanza transatlantica statunitense, l’unità europea e il futuro della NATO ne guadagneranno in maniera cruciale grazie all’inasprimento della situazione in Ucraina. Detto ciò, questi strategici aumenti di consenso sono stati raggiunti tramite enormi pressioni politiche di Washington.
Comunque, l’unità europea in particolare sta dando segni di logoramento ai suoi confini. Senza dubbio è fragile e manca una leadership forte. Per farla breve, la crisi ucraina ha rivelato che in Europa manca una struttura adeguata a gestire la crisi o una strategia a lungo termine nei confronti della Russia.
Questo si sta già manifestando nelle reazioni, relativamente comuni a tutti nell’Unione Europea, agli sviluppi in Ucraina e nelle correnti di pensiero in concorrenza a Bruxelles nel determinare le future politiche UE. Tutto ciò rende l’attuale consenso occidentale sempre più difficile da sostenere.
Fine del Secolo americano
In parole semplici, l’America ha smesso di essere la prima economia mondiale nel 2014. Mentre si stava avvicinando il Natale, l’economia cinese ha rimontato e ha sorpassato l’economia USA per diventare la più grande al mondo. Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale di dicembre ha evidenziato che, quando la produzione economica nazionale verrà misurata in termini reali di beni e servizi, la Cina avrà prodotto 17,6 bilioni di dollari, rispetto ai 17,4 bilioni dell’America nel 2014.
In altre parole, la Cina rappresenta ora il 16,5 percento dell’economia mondiale, se misurata in termini di acquisto reali, rispetto al 16,3 percento degli USA. A pensarci bene, anche l’anno scorso la Cina aveva sorpassato gli USA, per la prima volta, in termini di commercio globale: è chiaro immediatamente che un enorme “movimento tettonico” è avvenuto nell’equilibrio del potere quest’anno, e di alto grado sulla scala Richter.
Ciò rivela che la Cina sta mostrando un tasso di crescita, nonostante il recente rallentamento, che nessuna delle altre dieci nazioni può eguagliare, e il trend indica chiaramente un gap che andrà ampliandosi nei prossimi anni.
La storia mostra che il potere economico è il fattore determinante e cruciale del potere politico e militare. L’ascesa della Gran Bretagna imperiale fu inestricabilmente connessa al suo emergere come “officina del mondo” nel XVIII secolo e alla successiva nascita del capitalismo colonialista, mentre il suo relativo declino economico ha rappresentato la sua caduta verso la metà del secolo scorso, grazie alla decolonizzazione e alla perdita del mercato vincolato che aveva trovato slancio dopo la Seconda Guerra Mondiale. Anche altre potenze egemoniche nella storia moderna – Portogallo, Spagna o Francia – condividono storie simili.
Ovviamente, il 2015 arriverà per il naturale corso degli eventi e non molto sembra essere cambiato. La Cina in effetti è troppo entusiasta per accorgersi che è ancora indietro rispetto agli Stati Uniti ed è soltanto un paese emergente.
Chiaramente, ciò che la Cina vuole fare di questo suo nuovo status è affar suo, ma è anche una questione di portata planetaria. Gli interrogativi sono molti: come combinare una crescita continua – e la stabilità che serve per quest’ultima – con l’influenza che consegue all’aumento dell’importanza della Cina? E come riuscirà la leadership leninista della Cina a riconciliare un tale cambiamento fenomenale con la stasi interna? Come tener saldo il potere politico in una società che sta subendo gigantesche trasformazioni? Come sedare nazionalismi bellicosi mentre si insiste su una legittima autoaffermazione?
Sicuramente, la Cina non concorda con la visione imperiale del mondo come fonte di tributo e in tempi moderni ha abbracciato il principio westfaliano degli stati sovrani caratterizzati dal loro benessere e potere ma non dalla gerarchia qualitativa. Eppure, la Cina si trova ad essere una civiltà che finge di essere uno stato e potrebbe voler fare di più e, come minimo, riprendersi il posto che i forestieri le hanno rubato. L’iniziativa per una nuova “Via della Seta” annunciata quest’anno sembra adattarsi a questo paradigma.
Persino i peggiori detrattori della Cina sostengono che non covi fantasie di dominazione globale. Certo, l’area di influenza preferita della Cina rimane l’Asia e il suo impegno con il Medio Oriente o l’Africa e l’America Latina – perfino l’Europa – è transazionale e non ci sono implicazioni imperiali. Ma a fine giornata, ci sono più persone povere in Cina che in qualunque altro posto al mondo – tranne l’India, ovviamente. E le priorità della classe dirigente cinese sono chiare, quando 160 milioni di persone nel paese tirano avanti con 1,25 dollari al giorno. È naturale che la Cina voglia avere meno impegni possibile all’estero, fatti salvi quelli che danno lustro alla sua immagine come grande potenza.
Nel frattempo, la Cina ha anche studiato e imparato la lezione dalla distruzione provocata dalla militarizzazione della politica estera americana. È quindi razionale nel calcolare quanto può spingersi oltre su Siria o Ucraina. La prima idea nella risoluzione dei conflitti nell’arena mondiale non arriva quasi mai dalla Cina.
Ciononostante, i piccoli vicini asiatici saranno sempre preoccupati che la Cina è un paese grande e “gli altri paesi sono paesi piccoli e questo è un fatto”. Il 2014 può essere visto come il punto di svolta nel momento in cui la Cina cerca di riconquistare la sua centralità in Asia – dal punto di vista economico e militare – come è già successo attraverso gran parte della storia di quest’area. Ma la Cina manca ancora di potere di attrattiva e rimane un modello di sviluppo largamente invidiabile benché rasenti la grandezza alla fine del 2014.
Melkulangara BHADRAKUMAR
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2014/12/31/2014-two-events-that-shook-the-world.html
31.12.2014
Traduzione italiana per www.comedonchisciotte.org a cura di GIULIA AMATO