DI GEORGE MONBIOT
theguardian.com
NON C’E’ NIENTE NEL MONDO CHE ABBIA UN IMPATTO SU DI ESSO QUANTO L’ALLEVAMENTO DEGLI ANIMALI: SE DAVVERO TENIAMO AL PROBLEMA DOVREMMO ELIMINARE CARNE, PRODOTTI CASEARI E UOVA
Il mondo può sostenere 7 miliardi di persone, anche 10, ma solo se smettiamo di mangiare carne. L’allevamento di animali è la cosa che amplifica al massimo l’impatto dell’uomo sul pianeta. Ciò che lo rende così distruttivo è la superficie di terra necessaria per sostenere una dieta a base di carne animale.
Uno studio condotto dall’agricoltore e ricercatore Simon Fairlie indica che il Regno Unito potrebbe benissimo alimentare la propria popolazione con prodotti nazionali; ma mentre una dieta basata su una quantità moderata di carne, prodotti caseari e uova richiede una superficie di 11 milioni di ettari di terra (di cui 4 milioni arabili), una dieta vegana richiede solo 3 milioni. Non solo gli essere umani non hanno alcun bisogno di foraggio, semi, legumi ed altri mangimi, ma potrebbero farne un uso più efficiente se invece di darli agli animali li consumassero per se stessi.
Quei 15 milioni di ettari di terra utilizzati oggi nel Regno Unito per l’allevamento, potrebbero essere destinati alla natura. In un mondo vegano, invece, il Regno Unito riuscirebbe ad alimentare 200 milioni di persone. Estendendo questo pensiero sperimentale al resto del mondo, non è difficile immaginare quanto si vivrebbe meglio se si smettesse di allevare animali. Potremmo convivere benissimo con foreste pluviali, savane, paludi e altri sistemi naturali, ma non con la nostra dieta attuale.
Non essendo stati in grado di comprendere il problema in termini di spazio, pensiamo di poter risolvere i problemi etici passando dagli allevamenti intensivi a quelli all’aperto. Niente è più lontano dalla verità. Gli allevamenti all’aperto sono sicuramente più gentili con gli animali ma molto più crudeli per il resto del mondo.
Quando la gente critica gli allevamenti, di solito utilizza il termine ‘intensivi’. Tuttavia, gli allevamenti “estensivi”, per loro definizione, provocano danni ancora maggiori alla natura di quelli intensivi, poiché per la stessa quantità di cibo, hanno bisogno di maggiori superfici di terra. Tenere gli animali in recinti, in Amazzonia, nelle praterie statunitensi o australiane o sulle colline inglesi, provoca più danno degli allevamenti intensivi, per quanto questi possano essere crudelI per gli animali.
Nel corso degli anni, mentre acquisivo sempre maggiore coscienza di queste scomode verità, ho eliminato gradualmente dalla mia dieta quotidiana la carne animale, ma continuavo a consumare uova e latte. Conoscevo l’impatto ambientale dei raccolti di mais, soia e legumi di cui si nutrono bovini e pollame. Sapevo della quantità di rifiuti prodotti, dei cambiamenti climatici, dell’ inquinamento atmosferico. Ma l’avidità aveva le meglio su di me: formaggi, yogurt, burro e uova mi piacevano troppo.
Poi è successo qualcosa che ha abbattuto il mio muro di negazione. Lo scorso settembre, volevo organizzare una giornata al fiume Culm nel Devon, zona rinomata per le sue bellezze naturali. Il tratto che avevo intenzione di esplorare lo trovai ridotto ad un fosso puzzolente, quasi senza vita, tranne che per qualche fungo nato nelle acque reflue. Cercando la causa dell’inquinamento, sono risalito ad un caseificio. Una persona del posto mi ha detto che ormai erano diversi mesi che si era verificato quel disastro, ma i suoi sforzi per convincere l’Agenzia per l’Ambiente britannica (ente regolatore governativo) a prendere provvedimenti erano stati del tutto inutili.
Aziende agricole e pascoli si fanno spazio nelle foreste tropicali della provincia Brasiliana di Rondônia, una delle regioni più boscose delle Amazzoni. Foto di: Planet
Ho pubblicato sul Guardian le foto che avevo fatto suscitando un certo scalpore. Ma l’Agenzia per l’Ambiente continuava a non agire. Poneva scuse talmente assurde che iniziai a capire che non si trattava di semplice incompetenza. Dopo aver pubblicato un altro articolo su questa situazione farsesca, due funzionari dell’Agenzia mi hanno chiamato separatamente. Mi hanno detto che gli era stato ordinato di non prendere alcuna iniziativa al riguardo di quell’incidente segnalato. I motivi, secondo loro, avevano a che fare con pressioni politiche governative.
Fu quella la mia scintilla: perché mai, ragionai, dovrei sostenere un’industria che il governo si rifiuta di regolamentare? Da allora, ho eliminato dalla mia dieta praticamente tutti gli alimenti che provengono dal mondo animale. Non è per me un fatto religioso o morale. Se mi trovo a casa di amici posso anche accettare in quella occasione una dieta vegetariana e non vegana. Se sono in viaggio mi può anche capitare di mettere un po’ di latte nel tè. Una volta ogni tanto mangio un uovo per colazione. Una volta al mese vado a pescare aringhe o sardine (se si pesca, è meglio pescare pesci in fondo alla catena alimentare). Forse tre o quattro volte l’anno, in occasioni speciali, posso anche mangiare carne di allevamento: un po’ per gola e un po’ per non essere il fantasma della festa più di quanto non lo sia già. Questo adattamento occasionale credo sia anche utile per non ricadere nelle abitudini.
Però mangio carne di animali morti in incidenti stradali, quando è disponibile e di animali uccisi dagli agricoltori perché infestano i raccolti, che altrimenti finirebbero in discarica. Al momento attuale, poiché nel paese c’è abbondanza di piccioni, cervi, conigli e scoiattoli che vengono regolarmente soppressi poiché infestano l’agricoltura, mangiare la loro carne non ha conseguenze ambientali. Potrei essere definito oltre che vegano, un “infestariano”.
Tuttavia, questo mi capita piuttosto raramente. Ormai, il 97% della mia dieta quotidiana consiste in prodotti del mondo vegetale. Mangio molti legumi, semi, frutta secca e quantità industriali di verdure. Quasi mi considero incluso tra le 500,000 persone inglesi completamente vegane – anche se non del tutto. Ovviamente, queste scelte hanno un loro impatto, ma in genere molto minore di quelle legate al consumo delle carni, dei prodotti caseari e delle uova. Paradossalmente, se volete che si produca meno soia, mangiate più soia: mangiare prodotti animali tende a creare un consumo maggiore di soia, anche se indirettamente. Quasi tutta la soia coltivata nelle aree dove prima c’erano le foreste equatoriali è destinata ai mangimi animali. Sostituendo la carne con la soia si riduce il danno ambientale per chilo di proteine del 96%.
Dopo quasi un anno di questa dieta, ho perso circa 7 chili. Mi sento meglio di prima e la mia voglia di grassi animali è praticamente scomparsa. I formaggi non mi attirano più di un pezzo di lardo. La mia asma è quasi scomparsa. Ci saranno anche delle probabili spiegazioni, ma non sarei sorpreso se fossero collegate ad esempio all’eliminazione totale del latte. E’ vero, per cucinare devo impegnarmi di più, ma questa non è una cosa negativa.
Mangiare carne è strettamente associato all’immagine convenzionale delle virilità, e alcune persone si sentono come smarrite al pensiero di non poter mangiare prodotti derivanti dal mondo animale. Un politico italiano pochi giorni fa ha proposto di arrestare quei genitori che impongono ai loro figli una dieta strettamente vegana – nel caso provochi la loro denutrizione o malnutrizione. Strano però, ha omesso di proporre la stessa misura in caso li nutrano di continuo con patatine fritte e wurstel.
Questa estate, durante un festival, per caso ho incontrato di nuovo quella persona del Devon che aveva tentato di persuadere l’Agenzia per l’Ambiente inglese a prendere provvedimenti per il degrado del fiume Culm. Mi ha detto che la situazione non è cambiata. Quando bisogna scegliere tra proteggere la natura e accontentare bramosie lobbistiche, la maggior parte dei governi sceglie la seconda opzione. Ma noi come individui possiamo dissociarci da questa forma di corruzione. Se ognuno di noi esercitasse questa scelta, dubito che se ne pentirà.
George Monbiot
Fonte: www.theguardian.com
Link: https://www.theguardian.com/commentisfree/2016/aug/09/vegan-corrupt-food-system-meat-dairy
9.08.2016
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63