DI LINO ROSSI
Soldi Online
Possono essere piccole e grandi, ben inserite in un determinato contesto oppure no. Vediamo quali requisiti dovrebbero avere per essere auspicabili, oppure da respingere.
Dando per scontato che le centrali termoelettriche a biomassa (1) debbano avere emissioni inquinanti conformi alla normativa e che il loro impatto ambientale sia coerente al territorio nel quale vengono inserite, bisogna prendere in considerazione anche altri parametri, che potrebbero essere intesi compresi nella Valutazione di Impatto Ambientale, ma potrebbero anche non esserlo.
Mi riferisco ai seguenti aspetti:
1) agricoltura alimentare e/o agricoltura energetica;
2) provenienza della materia prima;
3) pieno sfruttamento della materia prima.
A seguito, L’attuale “fotovoltaico” è obsoleto ed inefficiente
L’agricoltura alimentare è quella finalizzata alla produzione di alimenti per persone o animali; qualcuno (2) sostiene che privilegiando le prime, diventando quindi più vegetariani, migliorerebbe la nostra salute, avremmo cibo per tutti e tuteleremmo maggiormente l’ambiente. È tutto vero, ma non è questo l’oggetto dell’intervento.
L’agricoltura energetica è quella finalizzata alla produzione di biocarburanti e/o biomasse senza ottenere cibo per persone o animali in quantità significative. L’agricoltura alimentare può essere ricca di scarti utili per le centrali a biomassa e quindi può essere bivalente. È necessario chiedersi: la sottrazione dei territori coltivabili all’agricoltura alimentare è compatibile con le esigenze dell’umanità?
Come in tutte le cose la risposta non sarà un semplice si o un semplice no. Sarà necessaria una monitorizzazione delle varie esigenze, un coordinamento ed una programmazione.
Finora queste funzioni le ha svolte, di fatto, il caso e tuttalpiù il libero mercato. Non c’è da stupirsi se l’ONU (3) ha lanciato l’accorato allarme contro l’indiscriminato passaggio dall’agricoltura alimentare a quella energetica (crimine contro l’umanità). Non c’è dubbio che il criterio di prudenza dovrebbe informare le persone responsabili.
Quindi bisognerebbe che qualche istituzione internazionale si occupasse di indirizzare la programmazione delle colture per addivenire al migliore compromesso, o perlomeno tentare di pervenirvi, fra agricoltura alimentare e quella energetica. Il libero mercato non sembra il migliore candidato a questa funzione.
Le centrali a biomassa possono essere localizzate a distanze modeste dai luoghi di provenienza della biomassa stessa, oppure no. Nel primo caso gli oneri e l’inquinamento connessi al trasporto sono contenuti, mentre nel secondo molto meno.
Sarebbe quindi auspicabile che le centrali a biomassa fossero dimensionate per attingere la materia prima da luoghi relativamente prossimi. Quando invece ciò non avverrà, si potrà essere certi che parecchia materia prima dovrà arrivare alla centrale da molto lontano, mediante navi, automezzi pesanti, ecc…
Le centrali a biomassa producono energia elettrica e tanta acqua calda; l’energia elettrica si immette sulla rete elettrica nazionale e l’acqua calda è possibile impiegarla per processi industriali, teleriscaldamento, ecc.. Se non è possibile impiegarla, il calore che contiene va dissipato, ad esempio cedendolo ad un corso d’acqua, mediante torri evaporative, ecc…
Le centrali che riusciranno ad utilizzare convenientemente molto del loro calore avranno un eccellente rendimento complessivo (70-80%), mentre quelle che lo dissiperanno avranno il rendimento complessivo molto basso (15-30%). Il rendimento complessivo è dato dal rendimento elettrico più quello termico.
La realizzazione di una grande centrale a biomassa a basso rendimento complessivo, sovradimensionata rispetto all’offerta di materia prima del territorio, pregiudica la nascita di piccole centrali a rendimento complessivo elevato dimensionate correttamente in funzione dell’offerta locale di materia prima.
Ma insomma, queste centrali a biomassa sono auspicabili oppure no?
Lo sono sicuramente se:
1) impiegano materie prime provenienti dallo scarto dell’agricoltura alimentare oppure da agricoltura energetica programmata da un’autorità competente;
2) il percorso della biomassa dal luogo di produzione alla centrale è modesto (si parla spesso del limite di 200 km);
3) il rendimento complessivo della centrale è superiore al 70%.
Un esempio di centrale virtuosa è quella di Dobbiaco – San Candido che soddisfa pienamente tutti i suddetti criteri. È dimensionata in funzione del fabbisogno termico delle due località, garantendo così un rendimento complessivo assai elevato; la materia prima, costituita da scarti dell’industria del legno, percorre al massimo 50 km per arrivare alla centrale.
Di esempi opposti, purtroppo, ne stanno nascendo come funghi in un bosco d’autunno.
C’è poca differenza di costo fra la realizzazione di un’opera fatta bene o fatte male, ma i risultati che si ottengono nei due casi sono assai diversi fra loro.
La beffa puntuale arriva anche in questo caso: anche le centrali mal concepite beneficeranno degli incentivi pubblici a favore delle “rinnovabili”, così come è avvenuto per i termovalorizzatori.
(1) Biomassa