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La Redazione

 

L’arroganza imperiale (e le sue conseguenze) in Siria

La storia della Siria non è semplicemente: "Il presidente Assad è caduto" e i "Salafiti tecnocratici" sono saliti al potere.
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A cura di Markus
Il 4 Gennaio 2025
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Alastair Crooke

strategic-culture.su

La storia della Siria, a quanto pare, non è semplicemente: “Il presidente Assad è caduto” e i “salafiti tecnocratici” sono saliti al potere.

A un certo livello, il crollo era prevedibile. È noto che da qualche anno Assad era influenzato dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti, che lo avevano esortato a rompere con l’Iran e la Russia e a passare all’Occidente. Per circa 3-4 anni aveva mandato segnali e attuato gradualmente una tale mossa. In particolare, l’Iran aveva dovuto affrontare sempre più ostacoli nelle operazioni condotte in collaborazione con le forze siriane. Questo suo spostamento avrebbe dovuto rappresentare un messaggio all’Iran.

La situazione finanziaria della Siria – dopo anni di sanzioni del Cesare imperiale statunitense e la perdita di tutte le entrate agricole ed energetiche sequestrate dagli Stati Uniti nella Siria nord-orientale occupata – era catastrofica. La Siria, semplicemente, non aveva un’economia.

Senza dubbio, la vicinanza a Israele e a Washington era stata presentata ad Assad come l’unica soluzione pratica al suo dilemma. La “normalizzazione” avrebbe potuto portare alla revoca delle sanzioni, lo avevano implorato. E Assad, secondo chi era in contatto con lui, (anche immediatamente prima dell'”invasione” di HTS) credeva che gli Stati arabi vicini a Washington avrebbero optato per la sua permanenza alla guida del Paese, piuttosto che vedere la Siria cadere in mano agli zeloti salafiti.

Per essere chiari: Mosca e Teheran avevano avvertito Assad che l’esercito (nel suo complesso) era troppo fragile, troppo sottopagato, troppo infiltrato e corrotto dai servizi segreti stranieri, per potersi aspettare una difesa efficace dello Stato. Assad era stato anche ripetutamente avvertito della minaccia rappresentata dagli Jihadisti di Idlib, che stavano pianificando di conquistare Aleppo, ma il Presidente non solo aveva ignorato gli avvertimenti – li aveva respinti.

Gli era stata offerta una forza militare esterna molto grande non una, ma due volte, anche negli “ultimi giorni”, quando le milizie di Jolani stavano avanzando. Assad aveva rifiutato. “Siamo forti”, aveva detto a un interlocutore in una prima occasione, ma, poco dopo, in una seconda occasione, aveva ammesso: “Il mio esercito sta scappando“.

Assad non è stato abbandonato dai suoi alleati. Era ormai troppo tardi. Aveva cambiato politica una volta di troppo. Due dei principali attori (Russia e Iran) erano delusi, ma incapaci di venire in soccorso, senza il consenso di Assad.

Un siriano che conosceva la famiglia Assad e che aveva parlato a lungo con il Presidente poco prima dell’invasione di Aleppo, lo aveva trovato sorprendentemente ottimista e tranquillo – aveva infatti assicurato il suo amico che ad Aleppo c’erano forze sufficienti (2.500 uomini) per affrontare la minaccia di Jolani e accennato al fatto che il Presidente Sissi avrebbe potuto a intervenire con aiuti per la Siria. (L’Egitto temeva ovviamente che gli Islamisti dei Fratelli Musulmani prendessero il potere in un ex Stato laico baathista).

Ibrahim Al-Amine, redattore di Al-Akhbar, aveva notato una percezione simile da parte di Assad:

“Assad sembrava essere diventato più fiducioso del fatto che Abu Dhabi fosse in grado di risolvere il suo problema con gli americani e con alcuni Paesi europei e aveva sentito molto parlare di tentazioni economiche, [dei vantaggi per la Siria] se avesse accettato di uscire dall’alleanza con le forze della Resistenza”. Un collaboratore di Assad, rimasto con lui fino alle ultime ore prima della partenza da Damasco, aveva detto che il presidente sperava ancora che accadesse qualcosa di grande per fermare l’attacco delle fazioni armate. Credeva che “la comunità araba e internazionale” avrebbe preferito che lui rimanesse al potere, piuttosto che gli Islamisti prendessero in mano l’amministrazione della Siria”.

Tuttavia, anche mentre le forze di Jolani avanzavano sull’autostrada M5 che porta a Damasco, la famiglia Assad in generale e i funzionari chiave non stavano facendo alcuno sforzo per prepararsi a una partenza o per avvertire gli amici più stretti di pensare a una tale eventualità, aveva affermato il funzionario. Anche mentre Assad si dirigeva verso Hmeimin, in viaggio verso Mosca, agli amici non era stato inviato alcun invito ad “andarsene”.

Questi ultimi avevano poi detto di non sapere, dopo la partenza silenziosa di Assad verso Mosca, chi esattamente, o quando, avesse ordinato all’esercito siriano di ritirarsi e di prepararsi alla transizione.

Assad aveva fatto una breve visita a Mosca il 28 novembre, un giorno dopo gli attacchi di HTS nella provincia di Aleppo e la sua rapida avanzata verso sud (e un giorno dopo il cessate il fuoco in Libano). Le autorità russe non avevano diramato alcuna informazione sul contenuto degli incontri del Presidente a Mosca e la famiglia Assad aveva dichiarato che il Presidente era tornato dalla Russia mantenendo il più stretto riserbo.

Successivamente, Assad era ripartito definitivamente per Mosca (il 7 dicembre, dopo aver inviato un aereo privato a Dubai, l’8 dicembre) – anche in questo caso non aveva detto quasi a nessuno della sua cerchia ristretta e ai familiari che stava partendo per sempre.

Cosa ha causato questo atteggiamento mentale atipico del personaggio? Nessuno lo sa, ma i familiari hanno ipotizzato che Bashar Al-Assad fosse emotivamente scosso dalla grave malattia della moglie Asma, a cui è molto devoto.

In parole povere, mentre i tre attori principali potevano chiaramente vedere la direzione presa dagli eventi (la fragilità dello Stato non era una sorpresa), la mentalità negazionista di Assad e la conseguente rapidità dell’epilogo militare sono state la [vera] sorpresa. Questo è stato il vero “cigno nero”.

Cosa ha scatenato gli eventi? Erdogan aveva chiesto per diversi anni ad Assad, in primo luogo, di negoziare con la “legittima opposizione siriana”; in secondo luogo, di ridisegnare la Costituzione; in terzo luogo, di incontrarsi faccia a faccia con lui (cosa che Assad si è sempre rifiutato di fare). Tutte e tre le potenze avevano fatto pressioni su Assad affinché negoziasse con l'”opposizione”, ma lui non aveva voluto, come non aveva voluto incontrare Erdogan. (I due si detestano). La frustrazione qui era ai massimi livelli.

Erdogan ora indiscutibilmente “possiede” la “ex Siria“. L’irredentismo ottomano è estasiato e chiede più revanscismo turco. Altri – gli abitanti delle città più laiche della Turchia – sono invece meno entusiasti dell’esibizione del nazionalismo religioso turco.

Erdogan, tuttavia, potrebbe provare (magari anche presto) il rimorso del compratore: sì, la Turchia è il nuovo padrone di casa della Siria, ma ora è “il responsabile” di ciò che accadrà. (HTS è chiaramente esposto come un proxy turco). Le minoranze vengono eliminate, le brutali esecuzioni settarie stanno accelerando, il settarismo sta diventando sempre più estremo. Non c’è ancora un’economia siriana in vista, non ci sono entrate e non c’è petrolio per le raffinerie di benzina (fino ad ora era fornito dall’Iran).

L’idea di Erdogan di un’Al-Qaeda ri-marchiata e occidentalizzata ha sempre rischiato di rivelarsi inconsistente (come le uccisioni settarie stanno crudelmente dimostrando). Riuscirà Jolani a imporre ai suoi seguaci eterodossi il suo Al-Qaeda in abito da sera? Nel 2012-2013, Abu Ali al-Anbari, il più importante aiutante di al-Baghdadi dell’epoca, aveva espresso un severo giudizio su Jolani:

“È una persona astuta, è un doppiogiochista, adora se stesso, non si preoccupa dei suoi soldati, è disposto a sacrificare il loro sangue per farsi un nome sui media – si illumina quando sente il suo nome citato sui canali satellitari”.

In ogni caso, un risultato chiaro è che la manovra di Erdogan ha riacceso il settarismo sunnita, un tempo (e per lo più) quiescente, e l’imperialismo ottomano. Le conseguenze saranno molteplici e si ripercuoteranno in tutta la regione. L’Egitto è già in ansia, così come il re Abdullah di Giordania.

Molti israeliani si considerano i “vincitori” della fine della Siria, dal momento che la linea di rifornimento dell’Asse della Resistenza è stata tagliata al centro. Il capo della sicurezza israeliana, Ronan Bar, era stato molto probabilmente informato sulla prevista invasione di Idlib da Ibrahim Kalin, capo dell’intelligence turca, quando si erano incontrati a Istanbul il 19 novembre, in tempo per consentire a Israele di istituire un cessate il fuoco in Libano e ostacolare il passaggio delle forze di Hezbollah in Siria (Israele aveva immediatamente bombardato tutti i valichi di frontiera tra il Libano e la Siria).

Tuttavia gli israeliani potrebbero scoprire che il riaccendersi dello zelo salafita non è loro amico, né, in ultima analisi, va a loro vantaggio.

L’Iran firmerà il tanto atteso accordo di difesa con la Russia il 17 gennaio 2025.

La Russia si focalizzerà sulla guerra in Ucraina e si terrà in disparte dal pantano mediorientale per concentrarsi sulla lenta ristrutturazione globale in atto, sperando che Trump, a tempo debito, riconosca gli interessi di sicurezza dell’Heartland asiatico e dei BRICS e si accordi su qualche aspetto della sfera di sicurezza del Rimland (atlantista), in modo che si possa arrivare ad una cooperazione sulle questioni di stabilità strategica globale e sulla sicurezza europea.

Alastair Crooke

Fonte: strategic-culture.su

Link: https://strategic-culture.su/news/2025/01/01/imperial-hubris-and-its-consequences-in-syria/

01.01.2025

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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