L’ammutinamento dell’Europa all’ordine illiberale

Molti in Europa vedono fin troppo chiaramente che la struttura di governo occidentale è un "sistema di controllo" di tipo meccanico e illiberale.

Alastair Crooke
strategic-culture.su

Da tempo scrivo che l’Europa (e gli Stati Uniti) si trovano in un periodo di alternanza tra rivoluzione e guerra civile. La storia ci insegna che tali conflitti tendono a prolungarsi, con episodi salienti di tipo rivoluzionario (dal momento che il paradigma prevalente è il primo ad incrinarsi), che però, in realtà, non sono altro che modalità alterne dello stesso – un “alternarsi” tra picchi rivoluzionari e il lento “evolvere” di un’intensa guerra culturale.

Secondo me, ci troviamo in un’epoca di questo genere.

Avevo suggerito che stava lentamente prendendo forma una contro-rivoluzione – una contro-rivoluzione non disposta a rinnegare i valori morali tradizionali, né a sottomettersi ad un ordine internazionale oppressivo e illiberale che si spaccia per liberale.

Ciò che non mi aspettavo era che il primo evento si sarebbe verificato in Europa e che sarebbe stata la Francia la prima a rompere lo stampo illiberale. (Avevo pensato che sarebbero stati gli USA a rompere per primi gli schemi).

Il risultato delle elezioni degli eurodeputati potrebbe essere visto come la “prima rondine” che segnala un cambiamento sostanziale del clima. Ci saranno elezioni lampo in Gran Bretagna e in Francia, e la Germania (e gran parte dell’Europa) è in uno stato di disordine politico.

Non fatevi però illusioni! La fredda realtà è che le “strutture di potere” occidentali possiedono la ricchezza, le istituzioni chiave della società e le leve per garantire l’applicazione della legge. Per essere chiari: detengono le “altezze dominanti”. Come gestiranno un Occidente che sta andando verso il collasso morale, politico e forse finanziario? Molto probabilmente raddoppiando la posta, senza compromessi.

E questo prevedibile “raddoppio” non sarà necessariamente limitato alle lotte nell’arena del “Colosseo”. Certamente impatterà nella geopolitica ad alto rischio.

Senza dubbio, le “strutture” statunitensi saranno rimaste profondamente sconcertate dal presagio insito nelle elezioni europee. Che cosa implica l’ammutinamento europeo anti-establishment per le strutture di governo di Washington, soprattutto in un momento in cui tutto il mondo vede Joe Biden vacillare visibilmente?

Come faranno a distrarci da questa prima crepa del loro edificio strutturale internazionale?

È già in atto un’escalation militare guidata dagli Stati Uniti – apparentemente legata all’Ucraina – ma il cui obiettivo è chiaramente quello di provocare la Russia e indurla alla rappresaglia. Con sempre più violazioni della NATO delle “linee rosse” strategiche della Russia, sembra che i falchi statunitensi cerchino di ottenere il controllo dell’escalation nei confronti di Mosca, lasciando a quest’ultima il dilemma di quanto lontano spingersi nella rappresaglia. Le élite occidentali non credono affatto agli avvertimenti di Mosca.

Questo stratagemma provocatorio potrebbe offrire un’immagine artigianale degli Stati Uniti che “vincono” (“sfidando Putin”) o, in alternativa, fornire un pretesto per rimandare le elezioni presidenziali statunitensi (visto l’aumento delle tensioni globali), dando così allo Stato permanente il tempo di prepararsi a dovere per gestire una successione anticipata di Biden.

Questo calcolo, tuttavia, dipende da quanto presto l’Ucraina imploderà militarmente o politicamente.

Un’implosione dell’Ucraina prima del previsto potrebbe diventare il punto di partenza per una piroetta degli Stati Uniti verso il “fronte” di Taiwan – un’eventualità che si sta già preparando.

Perché l’Europa si sta ammutinando?

L’ammutinamento è insorto perché molti in Occidente vedono ormai fin troppo chiaramente che la struttura di governo occidentale non è un progetto liberale di per sé, ma piuttosto un “sistema di controllo” di tipo meccanico (una tecnocrazia manageriale) dichiaratamente illiberale – che fraudolentemente si spaccia per liberalismo.

È chiaro che molti in Europa sono alienati dall’establishment. Le cause possono essere molteplici – l’Ucraina, l’immigrazione o il calo del tenore di vita – eppure, tutti gli europei conoscono la narrazione secondo cui la storia si sarebbe piegata al lungo arco del liberalismo (nel periodo successivo alla Guerra Fredda).

Ma ciò si è rivelato illusorio. La realtà è stata il controllo, la sorveglianza, la censura, la tecnocrazia, i lockdown e l’emergenza climatica. Illiberalismo, persino quasi totalitarismo, insomma. (Recentemente la von der Leyen si è spinta oltre, sostenendo che “se si pensa alla manipolazione dell’informazione come a un virus, invece di trattare un’infezione una volta che ha preso piede… è molto meglio vaccinare, in modo che l’organismo sia inoculato“).

Quand’è che il liberalismo tradizionale (nella sua definizione più libera) era diventato illiberale?

La “svolta” era avvenuta negli anni Settanta.

Nel 1970, Zbig Brzezinski (che sarebbe diventato consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter) aveva pubblicato un libro intitolato: Between Two Ages: America’s Role in the Technetronic Era. In esso, Brzezinski sosteneva che:

“L’era tecnetronica comporta la graduale comparsa di una società più controllata. Una società di questo tipo… dominata da un’élite, svincolata dai valori tradizionali… [e che pratica] una sorveglianza continua su ogni cittadino… [insieme alla] manipolazione del comportamento e del funzionamento intellettuale di tutte le persone… [diventerebbe la nuova norma]”.

Altrove aveva sostenuto che “lo Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell’uomo ha cessato di essere la principale forza creativa: le banche internazionali e le multinazionali agiscono e pianificano in termini molto più avanzati rispetto ai concetti politici dello Stato-nazione“. (cioè il cosmopolitismo d’impresa come futuro).

David Rockefeller e gli intermediari del potere che lo circondavano – insieme al suo gruppo Bilderberg – avevano colto l’intuizione di Brzezinski e ne avevano fatto la “terza gamba” per garantire che il XXI secolo diventasse davvero il “secolo americano”. Le altre due gambe erano il controllo delle risorse petrolifere e l’egemonia del dollaro.

Era poi seguito poi un rapporto chiave, Limiti alla crescita (1971, Club di Roma (ancora una volta una creazione di Rockefeller), che aveva fornito a Brzezinski una base “scientifica”, anche se profondamente sbagliata; a causa della crescita della popolazione prevedeva la fine della civiltà, insieme all’esaurimento delle risorse (incluse, e soprattutto, quelle energetiche).

Secondo questa terribile previsione solo gli economisti, gli esperti di tecnologia, i leader delle multinazionali e delle banche avrebbero avuto la lungimiranza e gli strumenti tecnici per gestire la società – soggetta alla complessità dei Limiti alla crescita.

Limiti alla crescita era stato un fallimento. Era una teoria fallace, eppure non non era importato: il consigliere del Presidente Clinton alla Conferenza di Rio delle Nazioni Unite, Tim Wirth, aveva ammesso l’errore, ma aveva allegramente aggiunto: “Dobbiamo affrontare la questione del riscaldamento globale. Anche se la teoria è sbagliata, faremo la ‘cosa giusta’ in termini di politica economica“.

La proposta era sbagliata, ma la politica era giusta! La politica economica era stata stravolta sulla base di un’analisi sbagliata.

Il “padrino” di questo ulteriore passaggio al totalitarismo (oltre a David Rockefeller) era stato il suo protetto (e in seguito “consigliere indispensabile” di Klaus Schwab), Maurice Strong. William Engdahl aveva scritto che “i circoli direttamente legati a David Rockefeller e Strong negli anni Settanta avevano dato vita ad un’incredibile serie di organizzazioni e think tank di élite (su invito privato)“.

Questi includevano il neo-malthusiano Club di Roma; lo studio del MIT: ‘Limiti alla crescita’ e la Commissione Trilaterale“.

La Commissione Trilaterale, tuttavia, era il cuore segreto della matrice. “Quando Carter era entrato in carica, nel gennaio 1976, il suo gabinetto era composto quasi interamente da rappresentanti della Commissione Trilaterale di Rockefeller in misura così sorprendente che alcuni addetti ai lavori di Washington l’avevano chiamata “Presidenza Rockefeller“”, scrive Engdahl.

Anche Craig Karpel, nel 1977, aveva scritto:

“La presidenza degli Stati Uniti e i principali dipartimenti di gabinetto del governo federale sono passati sotto il controllo di un’organizzazione privata dedita alla subordinazione degli interessi interni degli Stati Uniti agli interessi internazionali delle banche e delle società multinazionali. Sarebbe ingiusto dire che la Commissione Trilaterale domina l’Amministrazione Carter. La Commissione Trilaterale è l’Amministrazione Carter“.

Ogni incarico chiave di politica estera ed economica del governo statunitense, da Carter in poi, è stato ricoperto da un rappresentante della Trilaterale“, scrive Engdahl. E così è continuato, con una matrice di partecipazioni sovrapposte quasi invisibile al pubblico e che, molto vagamente, si potrebbe definire lo “Stato permanente”.

È esistito anche in Europa? Sì, aveva ramificazioni in tutta Europa.

Qui sta la radice dell'”ammutinamento” europeo dello scorso fine settimana: Molti europei rifiutano il concetto di universo controllato. Molti non sono disposti a rinnegare i loro modi di vita tradizionali o le loro fedeltà nazionali.

Il patto faustiano di Rockefeller degli anni Settanta ha visto un ristretto segmento della classe dirigente americana staccarsi dalla nazione americana per occupare una realtà separata, da cui smantellare un’economia organica a vantaggio dell’oligarchia, con una “compensazione” derivante solo dall’abbraccio della politica identitaria e dalla “giusta” rotazione di un certo grado di diversità nelle suite dirigenziali delle aziende.

L’affare Rockefeller può anche essere visto come un parallelo all'”accordo” sudafricano che aveva posto fine all’Apartheid: le anglo-élite avevano mantenuto le risorse economiche e il potere, mentre l’ANC, dall’altra parte dell’equazione, aveva ottenuto la finzione della presa di potere politico.

Per gli europei, questo “accordo” faustiano degrada gli esseri umani a unità identitarie che occupano gli spazi tra i mercati, mercati che invece dovrebbero essere l’accessorio di un’economia organica incentrata sull’uomo, come aveva scritto Karl Polanyi circa 80 anni fa in La grande trasformazione.

Egli riconduceva le turbolenze della sua epoca ad un’unica causa: alla convinzione che la società potesse e dovesse essere organizzata attraverso mercati autoregolati. Per lui, questo rappresentava niente meno che una rottura ontologica con gran parte della storia umana. Prima del XIX secolo, insisteva, l’economia umana era sempre stata “incorporata” nella società: era subordinata alla politica locale, ai costumi, alla religione e alle relazioni sociali.

Il contrario (il paradigma tecnocratico illiberale e identitario di Rockefeller) porta solo all’attenuazione dei legami sociali, all’atomizzazione della comunità, alla mancanza di contenuti metafisici e quindi all’assenza di scopo e significato esistenziale.

L’illiberalismo è inappagante. Dice: non conti nulla. Non appartieni. Molti europei, evidentemente, l’hanno capito.

Il che ci riporta, in qualche modo, alla questione di come gli strati occidentali reagiranno al nascente ammutinamento contro l’Ordine Internazionale che sta accelerando in tutto il mondo – e che ora è emerso in Europa, sebbene con diverse colorazioni e un certo bagaglio ideologico.

Non è probabile – per ora – che gli strati dominanti scendano a compromessi. Quelli che comandano tendono ad avere paura in modo esistenziale: o continuano a dominare, o perdono tutto. Vedono solo un gioco a somma zero. Lo status di ciascuna parte viene congelato. Le persone si incontrano sempre più spesso solo come “avversari”. I concittadini diventano minacce pericolose, che devono essere contrastate.

Consideriamo il conflitto israelo-palestinese. I leader degli strati dirigenti statunitensi comprendono molti zelanti sostenitori di un Israele sionista. Quando l’Ordine Internazionale inizia a incrinarsi, è probabile che anche questo segmento di potere strutturale negli Stati Uniti sia intransigente, temendo un risultato a somma zero.

C’è una narrazione israeliana della guerra e una narrazione del “resto del mondo”, che, in realtà, non si incontrano. Come sistemare le cose? L’effetto trasformativo di vedere gli “altri” in modo diverso – israeliani e palestinesi – al momento non è all’ordine del giorno.

Il conflitto ha il potenziale per peggiorare molto – e durare più a lungo.

Gli “strati dirigenti” – alla disperata ricerca di un risultato certo – potrebbero cercare di inserire (e di nascondere) gli orrori di questa lotta occidentale-asiatica all’interno di una più ampia guerra geo-strategica? Una guerra in cui grandi masse di persone vengono sfollate (facendo in questo modo impallidire un orrore regionale)?

Alastair Crooke

 

Fonte: strategic-culture.su

Link: https://strategic-culture.su/news/2024/06/14/european-mutiny-at-the-illiberal-order/

14.06.2024

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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