“Io non ci sto”. L’Italia che resiste si è messa in cammino seguendo le orme del giurista Paolo Sceusa

Intervista all’ex-giudice protagonista di un’iniziativa che sta coinvolgendo migliaia di persone

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di Valentina Bennati
comedonchisciotte.org

Nel freddo di questo inverno, senza bandiere e senza far troppo clamore, migliaia di persone che non si conoscevano si sono date appuntamento e messe in cammino.
Seguendo l’esempio del docente di diritto ed ex magistrato Paolo Sceusa, partito da Venezia lo scorso 6 gennaio alla volta di Assisi, ogni giorno hanno macinato chilometri a piedi, da nord e da sud, condividendo le loro storie personali e l’ideale della libertà.
Attraversando boschi e sentieri di campagna, perché non sempre hanno percorso strade asfaltate, hanno marciato per dire NO a decisioni sbagliate che stanno dividendo i genitori dai figli, i mariti dalle mogli, i fratelli, gli amici, i colleghi di lavoro. Migliaia di piedi determinati hanno camminato per affermare che ogni essere umano deve essere libero di scegliere, a maggior ragione in merito alla propria salute, e che i diritti fondamentali non si toccano.
E, passo dopo passo, le persone hanno iniziato a raccontarsi le proprie vite e a stringere legami perché, soprattutto se si è in mezzo alla natura, le menti si rischiarano e i cuori si aprono. E nelle città e nei territori che sono stati via via attraversati da questa ‘Marcia delle libertà’ sono stati gettati tanti semi che adesso stanno già germogliando e che potranno svilupparsi ancora e vivere.
A volte, nella storia, sono proprio i passi più insospettabili, quelli che incedono con rispettoso silenzio e non con il fragore della tempesta, che riescono a far nascere qualcosa di grande, ad esempio una maggioranza consapevole in grado di cambiare il corso degli eventi.
E questo è l’auspicio del giurista Paolo Sceusa, che ciascuno diventi leader di se stesso per divenire, poi, protagonista, insieme agli altri, di un cambiamento.
Un giurista di grande levatura, Paolo Sceusa, ma di grande umiltà, tanto che al primo contatto per questa intervista mi ha invitato a darsi subito del tu senza troppi formalismi.

Paolo tu sei un uomo di legge. Nell’arco della tua carriera sei stato professore, consigliere giuridico legale per la tua Regione, avvocato e, negli ultimi 36 anni, hai fatto il magistrato ordinario, civile e penale. Hai presieduto anche due tribunali, entrambi minorili. Sei stato Presidente emerito della Corte di Cassazione, emerito perché eri stato preselezionato nel 2015, ma hai rinunciato preferendo continuare la tua esperienza di Presidente di un tribunale minorile.  Ti sei sempre dedicato alla formazione di operatori giuridici e medici e all’approfondimento di tematiche giuridiche e, anche adesso che sei in pensione, continui a lavorare dirigendo una scuola di diritto minorile per giuristi e tenendo corsi per cittadini in cerca di consapevolezza. Insomma, si può dire che hai passato tutta la tua vita a cercare di trasformare la legge in giustizia e, proprio in difesa di tutto quello in cui hai sempre creduto, nell’agosto 2021 hai pubblicato un video “Appello a tutti i libertari”– che poi è divenuto virale – in cui hai preso una posizione decisa contro la discriminazione messa in atto dal Green Pass e in cui hai denunciato la rottura del Patto di Lealtà che lega i cittadini all’ordinamento attraverso le leggi. Con quell’appello hai voluto fare un invito alla massima allerta e spronare tutti, al di là di come la si pensi sui vaccini, alla difesa dei diritti fondamentali. Ecco, vorrei fare un piccolo passo indietro e far partire la nostra intervista da qui, da questo tuo gesto.

“Sì. Come giurista ho avvertito forte l’imperativo di schierarmi contro chi stava violando il Patto di Lealtà e ho ravvisato questa gravissima violazione del Patto di Lealtà fra potere e cittadini nella pubblicazione del testo in italiano del Considerando n. 36 del Regolamento 953 del 2021 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021, Regolamento che disciplina il cosiddetto green pass europeo. Sto parlando della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 15 giugno 2021, versione italiana, del Considerando numero 36 dal quale è stata ‘sbianchettata’ una parte del testo originale e precisamente mi riferisco alle parole ‘o hanno scelto di non essere vaccinate’. La norma è quella che prevede la necessità di evitare – il che equivale a un divieto – che gli stati membri dell’Europa introducano discriminazioni, anche indirette, verso le persone che non abbiano il green pass perché hanno semplicemente ‘scelto di non essere vaccinate’.
Ecco le parole “hanno scelto di non essere vaccinate” sono state omesse dalla pubblicazione della Gazzetta ufficiale Europea per gli italiani. Poi questa omissione, successivamente alle proteste di alcuni accorti giuristi, è stata corretta con una rettifica pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, sempre per l’Italia, del 5 luglio 2021, dove le parole omesse sono state finalmente svelate alla stregua di un banale errore materiale.
Ora, gli errori di pubblicazione dei testi normativi sono comuni e le rettifiche sono quindi nella norma; tuttavia, in questo caso l’errore mediante omissione della prima pubblicazione riguardava proprio il divieto di discriminare i non possessori di green pass che per scelta non hanno voluto vaccinarsi e, per me, è stato significativo che né errore, né la rettifica di quell’errore, siano mai stati evidenziati dai principali mezzi di informazione, né dal governo italiano, né da alcuni dei maggiori esponenti politici italiani. Ecco il silenzio sul vero testo di legge da parte dell’informazione televisiva e giornalistica di massa, del Governo e dei politici che lo sostengono e anche di quelli della sparuta apposizione, ebbene questo combinato mi è apparso come un’inaudita e gravissima rottura di quel Patto di Lealtà che lega i cittadini all’ordinamento attraverso le leggi. Mi sono molto preoccupato e ho presagito qualche cosa, cioè che la questione non sarebbe che potuta peggiorare in modo esponenziale perché, come ricorderà chi ha visto quel mio primo video, io dissi testualmente a un certo punto: ‘Chi è stato capace di fare questa cosa è capace di farne qualunque altra’.”

Hai presagito il peggio e questo peggio, effettivamente, è andato via via verificandosi. Cosa hai fatto dopo quel famoso appello?

“Mi sono messo in campo come giurista nell’approntare azioni per conto terzi. Da quando sono in pensione avrei potuto benissimo iscrivermi all’albo degli avvocati, al quale peraltro mi ero iscritto prima di fare il magistrato, ma poi ho deciso di non farlo perché quello mi avrebbe obbligato a fare solo una cosa, cioè solo il mestiere dell’avvocato, mentre io volevo spaziare come giurista e fare altro e di più: un giurista può iscrivere ricorsi e azioni per conto di altri avvocati, anche se non li firma lui, e può fare tante altre cose: studi specifici, azioni davanti alle corti internazionali, petizioni, manifestazioni. Insomma, ha molto più tempo libero che non facendo il giudice in servizio o l’avvocato in servizio permanente. E questo io volevo.
E questo tempo libero mi è servito tutto, perché queste azioni di tipo legale hanno, purtroppo, lasciato sostanzialmente il tempo che trovano, sia quelle che ho fatto io, sia quelle che hanno fatto gli altri, perché sono stati molto piccoli, e pochi, i segnali di accoglimento. E sempre per casi molto particolari, tra l’altro difficili da estendere a delle generalità casistiche maggiori.
E così, nel imperversare sempre più grave di queste forme di compressione se non di eliminazione delle libertà fondamentali provocate da questi decreti legge, con obblighi vaccinali accompagnati da questa certificazione verde condizionante l’esercizio delle libertà fondamentali, a questo punto, avendole  provate tutte, sia come giurista che non giurista, e mi riferisco alle manifestazioni di piazza, mi sono sentito obbligato a tradurre in un’azione di tipo diverso questa frustrazione da mancato accoglimento delle contromisure legali.”

È così è nata l’idea di mettersi in marcia. Perché ha scelto proprio la marcia come ulteriore forma di espressione?

“La marcia nella storia è sempre stata qualcosa di molto forte, qualcosa che si può facilmente partecipare, che non si può delegare a terzi e che veicola un’azione manifestativa e quindi dimostrativa chiara ed evidente. Ci sono un sacco di esempi nella storia, anche nelle scritture. Adesso non mi voglio paragonare a nessuno, se non per l’idea di compiere questo gesto, appunto, collettivo, ma basta pensare a Mosè per dirne uno a proposito di scritture, e poi anche Gandhi in India e Mao nella sua rivoluzione e Martin Luther King. Ciascuno per delle motivazioni molto forti di principio, di grandissima evocazione sia individuale che collettiva, avvenuta sempre in momenti cruciali dell’esistenza di quelle persone, di quei popoli coinvolti dagli esempi che ho detto prima, che non sono tra l’altro gli unici.
Ecco, questa crucialità della crisi e della pervasività del problema rispetto a tutto un popolo, anzi direi rispetto a tutto un pianeta a proposito di questo stile di compressione delle libertà fondamentali, mi ha suggerito di fare questo.
Non sapevo all’inizio se sarei stato seguito o no. Non ho, tra l’altro, invitato nessuno esplicitamente a seguirmi, né ho condizionato la mia partenza e la mia prosecuzione alla presenza altrui. Quelli che hanno sentito quel mio video iniziale ricorderanno che io dissi: ‘Partirò quel giorno a quell’ora da quel posto diretto verso quest’altro posto’. Non ho detto: ‘Se qualcuno viene con me parto’.  Non ho detto: ‘Venite tutti che partiamo’. Ho comunicato che sarei partito. Certo, ho anche aggiunto: ‘Se qualcun altro vorrà affiancarsi e accompagnarmi non lo posso certo impedire, primo, e secondo, ne sarei anche contento’, ma questo non significa che ho organizzato questa marcia collettiva, niente affatto. Ho proclamato che personalmente avrei manifestato in questa forma forte e molto chiara.”

Come sei stato accolto nelle varie regioni che hai attraversato e nelle varie città, hai trovato accoglienza o chiusura?

“Alla partenza c’è stata una gran massa di persone, centinaia di persone, molte di più di quelle che mi sarei aspettato. All’inizio quindi l’accoglienza è stata forte e partecipata, non solo lì a Venezia, ma anche in tutti gli altri centri del Veneto che si sono susseguiti fino, poi, a cambiare regione proseguendo in Lombardia. Tutto il nord Italia, di fatto, si è reso presente.
Certo che man mano poi che si procedeva e si capiva che facevo sul serio e che ogni giorno avrei marciato per chilometri, con le temperature e le manifestazioni atmosferiche tipiche dell’inverno, i marciatori della prima ora sono andati via via diminuendo, ma non è stato un male perché, di città in città, di regione in regione, l’accoglienza si è manifestata comunque in un modo non immaginato e gradito, cioè con un seguito di persone che decidevano via via di fare questo cammino per un pezzo, per parlare fra di loro, per parlare con me, per respirare un’atmosfera di solidarietà reciproca. Così gruppi di persone si riunivano ad aspettare me e i miei compagni di viaggio al passaggio in prossimità del loro luogo di abitazione e di residenza per aggregarsi al gruppo per un giorno o due di marcia. Molti hanno messo a disposizione chi la casa, chi il suo bed and breakfast e, quindi, è andata a finire che mai nessuno di quelli che mi hanno accompagnato è rimasto privo di un tetto sulla testa e anche di un giaciglio, non sempre un letto, ma comunque un giaciglio al coperto e al calduccio e, quasi sempre, abbiamo potuto anche contare anche su di un pasto caldo. Il tutto per puro senso di fratellanza e accoglienza da parte di persone che avvertivano, nello stesso modo in cui lo avverto io, come intollerabile questa compressione di diritti.
In nome di che cosa, poi? Alla fine di un’obbedienza pura e semplice a dictat parascientifici perché si è visto, e si vede sempre di più, che questa scienza osannata che offre un certo tipo di cure o di prevenzione antivirus è sempre più contestata e sempre più discussa. Ecco, di fronte a tutta questa incertezza, a questi obblighi generalizzati e sanzionati in questa maniera barbara che priva cioè, di fatto, di poter esercitare i diritti fondamentali che sono equivalenti all’aria stessa per un essere umano, molti hanno voluto mettersi in cammino. Contandole tutte, sono state migliaia e migliaia le persone che hanno marciato nelle varie tappe con me e veramente tanti i chilometri percorsi da Venezia fino ad Assisi perché non siamo andati, tra l’altro, per la via più breve, anche per poter assaporare la bellezza dei luoghi. La considero una bellissima prova di condivisione.”

C’è un incontro o qualcosa che ti rimarrà nella memoria per sempre?

“È difficile scegliere perché ho vissuto tanti momenti importanti e belli. La tappa di Firenze mi è rimasta impressa, anche perché Firenze dal punto di vista di storia e di arte è qualche cosa di incomparabile, soprattutto come esempio di Rinascimento. E Rinascimento è proprio una parola che ho cercato di evocare spesso, proprio perché è ciò di cui c’è bisogno: un Rinascimento culturale e nel pensiero.
Per quanto riguarda la marcia in caso stretto molte persone mi sono rimaste nel cuore, una per tutte una giornalista che mi è venuta incontro, quasi all’arrivo di una tappa di un paesino veneto, porgendomi la sua tessera di professionista e pregandomi di recapitarla, quando avessi avuto l’occasione, nelle mani di qualcuno del Governo, immaginando che io andassi a bussare a qualche porta del palazzo, cosa che per la verità non ho mai avuto intenzione di fare. Lei aveva pensato a quel gesto perché tutte le attuali restrizioni a cui non ha inteso soggiacere le stanno impedendo di lavorare. Aveva con sé la sua bambina piccola che osservava con un’espressione infinitamente triste e toccante il volto di questa madre rigato dalle lacrime. Io mi sono rifiutato di prendere quella tessera, anzi l’ho incoraggiata e l’ho nominata sul campo, con una scena piuttosto teatrale, cronista ufficiale della marcia e ogni giorno lei ha postato queste cronache rimarcando, con eleganza, sapienza e cultura davvero notevoli, quelli che erano i punti salienti della giornata, parlando delle meraviglie che avevamo occasione di incontrare da un punto di vista storico, paesaggistico, culturale e anche delle tradizioni dei posti dove andavamo, riuscendo così in questa maniera, parlando del passato, a confrontare anche certe meraviglie con le attuali brutture pur senza nominarle.
Adesso, tra l’altro, Irene con lo stesso stile continua a collaborare a quel troncone della marcia che non è più guidato da me perché la marcia, ormai, si è evoluta in tutta una serie di partenze in tutte le regioni, partenze indipendenti tra di loro, ma unite dallo stesso tipo di intento, dallo stesso tipo di nome perché sono chiamate sempre ‘Marcia delle libertà’, dallo stesso tipo di abbigliamento cromatico, ovvero i gilettini da automobili arancioni oppure gialli che servono a farsi vedere, dato che qualche volta si sta sulla strada, a farsi riconoscere come marciatori per le libertà. Ne partono molti e il troncone che era con me, ormai slegato dalla mia figura, sta proseguendo dopo che ho passato il testimone ad Assisi volendo simbolicamente dare un messaggio e cioè che il leader non deve mai rimanere attaccato al suo ruolo perché, se lo fa, finisce per tradire il suo compito di condurre le altre persone nel loro interesse e comincia a diventare un cultore del proprio tornaconto, del proprio vantaggio, della propria visibilità. Ed è l’inizio della fine. Il mio, quindi, è voluto essere un gesto educativo soprattutto per i politici di domani perché per quelli di oggi ho completamente perso le speranze. Mi sono voluto rivolgere a quelli di domani: che possano essere leader temporanei per il bene altrui e che poi siano pronti a cedere la mano.”

Era proprio di questo che volevo parlare. Tu hai detto che non vuoi essere leader, ma ormai lo sei diventato, la gente ti segue, ti ha seguito anche fisicamente e, forse, c’è davvero bisogno di un leader in questo momento in cui ci ritroviamo. Ecco quando dici ‘non voglio essere un leader’ e lasci la marcia, non credi che qualcuno possa sentirsi disorientato?

“La non compiuta maturità, sia delle persone che della collettività, purtroppo ci ha portato, nei secoli e nei millenni, alla condizione di bisogno della figura di un leader. Nella storia, in effetti, i popoli non sono mai riusciti compiere nessun tipo di passo, se non al seguito di qualche figura carismatica di qualche conduttore. Beh, io ho il sogno di provare a contribuire a quello che io chiamo ‘un salto evolutivo’. La modalità di aggregazione dell’essere umano è utile di per sé, però io la immagino non più ispirata dalla necessità di tanti soggetti che seguono un pastore e accomunati semplicemente dall’attaccamento al carisma della figura del leader, vorrei invece che l’aggregazione fosse il risultato di una consapevolezza individuale, di una capacità di critica, di comprensione e di auto informazione, quindi sicuramente lontana dalla pigrizia che normalmente fa semplicemente imitare il comportamento delle masse.
Vorrei, in sostanza, che ciascuno si elevasse a essere leader di se stesso, cioè diventasse capace di valutare condizioni, azioni, frangenti della vita e del periodo nel quale vive, si informasse da più fonti e quindi, finalmente, decidesse qual è la sua propria posizione rispetto a un qualunque tipo di argomento e di problema di questione. A quel punto, una volta decisa la propria posizione, decidesse con chi stare e a chi aggregarsi. Dunque l’aggregazione arriva lo stesso, ma si tratterà di un’aggregazione liberata dalla schiavitù del carisma altrui.
Avevo messo in conto che si sarebbe formato attorno alla mia figura questo seguito, l’avevo previsto e avevo anche deciso di accettarlo perché probabilmente non era possibile fare altrimenti nella fase iniziale, ma solo appunto nella fase iniziale. Una fase temporanea che deve terminare nel momento in cui ci sono altre persone pronte. Ecco, questa è la parte per me più importante del messaggio: un leader può accettare di fare il leader, se ce ne è bisogno. Per un periodo l’ho fatto cercando, però, di far passare questo messaggio pedagogico a chi stava marciando con me, e cioè far capire che non è importante il leader, ma è importante il messaggio che si condivide. Se si decide di aggregarsi intorno a quel messaggio, a quel punto il leader ha terminato il suo compito, si deve togliere, perché se non si toglie finisce per fare i suoi propri interessi e diventa un politico, anzi un politicante. Politico ha un’accezione buona, invece la parola politicante ha l’accezione meschina che conosciamo adesso in capo alla stragrande maggioranza dei politici che calcano il suolo di questo pianeta.”

Ciò è molto bello, ma in questo momento in cui ci sono tanti gruppi, tanti movimenti che manifestano un dissenso rispetto a ciò che sta accadendo, c’è anche tanta dispersione di energie. Forse manca proprio la figura giusta che abbia competenze e levatura morale per riunire tutti. Molti hanno creduto che quella figura potessi essere tu.

“Io ho accettato di essere quella figura, ma non voglio esserlo per sempre. Non voglio che questa cosa, la marcia e quel che ne consegue, mi si cucia addosso in maniera indelebile. Se un’idea è buona, che cosa c’è di meglio che vederla camminare sulle gambe altrui e poi ancora su altre gambe nuove e diverse?”

Cosa c’è, allora, nel presente e nel futuro di Paolo Sceusa?

“Ci sono altre idee che sono sempre lungo la stessa direzione e sono, forse, delle declinazioni diverse della stessa idea, sono ispirate da un fare perché a questo punto il pensare, il dire e lo scrivere non mi bastano più, ci ho messo anche i piedi e quindi, da qui in poi vorrei provare a lanciare qualcosa che non mi è ancora ben chiaro e definito, ma che sta cominciando ad affiorare.
Innanzitutto, mi piacerebbe continuare a tener desta l’attenzione di chi seguiva questo piccolo veicolo informativo che mi sono scelto per comunicare durante la marcia, ossia il canale Telegram che ho chiamato ‘Paolo Sceusa Marcia delle libertà’. Adesso ci ho aggiunto un riferimento al disarmo perché in questo momento siamo di fronte a un problema che rischia di far impallidire in breve tempo quello della pandemia e del green pass e che si sta affacciando in maniera sempre più preoccupante e urgente. Quindi una ragione, forse, capace di scomodare quelli che, fino a adesso, non hanno avuto modo e coraggio di mettersi in piedi e in viaggio. Può darsi che di fronte al pericolo di una guerra ora lo facciano. Non c’è nessuna possibilità che la pace sia duratura, se c’è una continua corsa agli armamenti. Ecco il perché della mia proposta, che cercherò di veicolare in qualche altra forma, al di là dello schema della marcia.
E poi ho un’idea diversa ancora che riguarda anche una certa delusione nei confronti dello scudo costituzionale, sia rispetto alla problematica delle libertà fondamentali cioè quella legata alla pandemia, sia rispetto alla problematica del rischio di un conflitto di proporzioni estese. Sono piuttosto deluso, appunto, dall’efficacia dello scudo costituzionale. Il lavoro dei costituenti per una certa parte è stato lodevole, ma in una parte forse ancora più importante no, come vado dicendo non da ora. Chi mi conosce lo sa che non sono mai stato, negli anni, molto tenero con il lavoro dei padri costituenti così tanto osannati e anche idealizzati. Mi dispiace, io metto degli accenti molto critici rispetto a tanta parte del loro lavoro, ma è un discorso molto lungo e complesso che andrò a sviluppare con chi vorrà iniziare a capire cosa intendo.”

Spiegati meglio, per favore.

“Intanto adesso nel mio canale Telegram comincerò ad allargarmi un po’ ad altri temi e a questioni più generali. La Costituzione ci difende? È in grado di farlo? E se non lo fa, dove sono i punti critici che, quindi, diventano quelli che sarebbe il caso di perfezionare o di cambiare? Perché nulla nasce perfetto.
Lode ai costituenti per le parti che la meritano e critica, anche acuta, a quelle parti dove potevano, anzi dovevano, fare meglio. Non sono tenero e lo farò capire, stavo proprio scrivendo prima che iniziassimo questa intervista, la bozza di quello che vorrei cominciare a dire attorno a questa cosa.
Mi spiace ma, purtroppo, questa fiducia smisurata e cieca intorno alla Costituzione così com’è non funziona. Proprio perché coloro i quali sono chiamati a difenderla si trovano all’interno di consessi che sono stati rimpinzati e veramente farciti, dai padri costituenti, di controllati. E cosa c’è di peggio che infilare in un organo di controllo le persone o i poteri che da quell’organo dovrebbero essere controllati? Questa è stata una colpa imperdonabile e, non a caso, non è stata commessa in tutti i paesi nel mondo. Chi continua a cantare l’Italia come la patria della Costituzione più bella del mondo evidentemente non conosce molto bene quelle degli altri paesi, ce ne sono di molto più efficienti della nostra dal punto di vista della separazione dei poteri. Infilare i controllati nei poteri di controllo significa tradire la separazione dei poteri. E questa è una cosa evidente, chiarissima e consapevole, e quindi dolosa, in capo ai tanto osannati padri costituenti. Mi permetto di criticarla e anche in modo deciso.
Anche a proposito di informazione non c’è alcun cenno in Costituzione contro il conflitto di interessi fra politici e mezzi di informazione. Non c’è alcuna norma costituzionale contro la concentrazione dei mezzi di informazione in poche mani, pubbliche o private. In Costituzione non c’è alcun divieto di soppressione delle garanzie costituzionali sui diritti umani fondamentali. Anche riservare ai giudici il monopolio dell’azione di controllo costituzionale è stata pura e fraudolenta follia.
Mi dissocio quindi ancora una volta dal plauso generale che tutti tributano ai tanto osannati padri costituenti: hanno tradito il popolo, in nome del compromesso in favore dei poteri oscuri di palazzo, garantendo soprattutto quelli. E, ormai, è finalmente chiaro che le persone umane sono nude di fronte alle barbarie che il palazzo sta scatenando contro tutti i suoi cittadini”.

Hai accennato al mondo dell’informazione. Nei giorni scorsi il Governo ha disposto la proroga dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2022 e il possibile razionamento del gas a causa della guerra in Ucraina. Al momento, quindi, si sono smorzati i toni sul covid e i riflettori sono stati puntati su un altro tema. Stesso stile narrativo, però. Ovvero un unico, unanime e ansiogeno racconto da parte della maggior parte dei media, eccetto sparute eccezioni. Le persone sono scoraggiate, oltre che spaventate. C’è qualcosa che vorresti dire loro, nel concludere questa nostra lunga chiacchierata?

“La paura è un modo per tenere gli individui sempre sotto scacco. Io non credo che l’antidoto alla paura sia semplicemente un incoraggiamento. L’antidoto alla paura è non averne e iniziare a confidare su se stessi. È necessario iniziare a capire che chi alimenta queste paure è la parte più misera e meschina dell’umanità che intende far leva proprio su questo: alimentare le paure, farle crescere e sfruttarle per dividere, in modo tale da non avere mai responsabilità e mai colpe.
Chi è vittima di paure è vittima, in definitiva, di se stesso. Alla paura io non contrappongo la consolazione, la rassicurazione, ma pretendo che venga contrapposto il coraggio. Certo che il coraggio, se uno non ce l’ha non se lo può dare, come diceva il Manzoni. Allora, se uno non se lo può dare, significa che è in una condizione di debolezza, di conseguenza sarà utile cominciare a trovare ragione di coesione e forza nelle persone che sono vicine, a cominciare dai propri cari e poi da chi si sceglie di avere accanto nel cammino quotidiano della vita.
Questa folle situazione ha diviso i fratelli e le sorelle, i mariti e le mogli, i genitori e i figli, gli amici. È questo l’esito che stiamo vedendo a causa della paura di morire dovuta a un virus a cui si è permesso che seguisse il controllo della vita delle persone con il green pass!
La stessa cosa fanno le guerre, la dinamica è sempre la stessa. Finché non ci sarà il coraggio di guardare in faccia i creatori meschini di paure e dire ‘NO’, succeda quel che succeda, io come individuo ‘NON CI STO’, non ne verremo fuori.”

Temo che ci vorrà molto tempo, allora …

“Se cambia l’atteggiamento individuale e diventa quel ‘io non ci sto’ che dicevo poco fa, bastano anche pochi minuti. Si tratta proprio di un millimetro evolutivo, capire finalmente che non è possibile permettere a nessuno di condizionare la nostra esistenza, la nostra libertà, il nostro pensiero con queste paure.
È uno scatto di evoluzione determinante ed è proprio un millimetro. Ma se la maggior parte delle persone non compie questo passo, tutta l’umanità rischia l’estinzione.”

Speriamo tutti in questo scatto. Grazie, Paolo, per il tempo che mi hai dedicato.

“Grazie a te. È stato un piacere.”

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