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La Redazione

 

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DAL G20 A DURBAN II, I RETROSCENA

A cura di
Il 27 Aprile 2009
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Intervista di SILVIA CATTORI a THIERRY MEYSSAN
Réseau Voltaire

Con sullo sfondo la crisi finanziaria, i vertici e le conferenze internazionali, dal G20 a Durban II, si susseguono senza che i media dominanti ci illuminino molto su quello che è in gioco e che viene deciso veramente. Silvia Cattori ha raccolto le analisi di Thierry Meyssan sulla riorganizzazione del mondo a cui stiamo assistendo. Secondo lui, dietro Obama hanno ripreso il potere vecchie squadre. Una volta archiviata la parentesi della guerra in Iraq, Washington è tornata al suo progetto di guerra al terrorismo e di globalizzazione forzata.

Nella foto, gli ottuagenari che governano degli Stati Uniti in agonia: Henry Kissinger (85 anni), Zbigniew Brzezinski (81 anni) e Brent Scowcroft (84 anni). Avete detto “cambiamento”?

Silvia Cattori: Quali erano gli obiettivi degli Stati Uniti al recente G20 di Londra? In quale misura sono riusciti a raggiungerli? Sono riusciti a raccogliere l’adesione della maggioranza dei responsabili politici?

Thierry Meyssan: I due vertici di Capi di Stato e di governo del G20 a Washington, poi a Londra, hanno consacrato la supremazia della finanza anglo-sassone e poste le premesse per un governo economico mondiale sotto leadership anglo-sassone.

Il terzo summit è previsto a New York a margine dell’Assemblea generale dell’ONU; che è una maniera di umiliare questa assemblea e di affermare l’esistenza di un direttorio economico dei 20, equivalente al direttorio politico del Consiglio di sicurezza, al di fuori delle istituzioni dell’ONU.

Tuttavia, malgrado i pubblici abbracci, non è stato concluso alcun accordo significativo tra i membri del G20. Le dichiarazioni finali enumerano principi generali che non impegnano nessuno e azioni precise che sono state tutte prese al di fuori del vertice e nessuna delle quali riguarda l’insieme dei 20 [1]. Il vertice di Londra potrebbe dunque rivelarsi un vertice degli inganni.

La politica finanziaria ed economica dell’amministrazione Obama è elaborata da un insieme di organismi. Si situa in totale continuità con quella dell’amministrazione Bush [2]. D’altronde vi ricorderete che i piani Bush-Paulson sono stati sottoposti al candidato Obama e da lui approvati prima di essere presentati al Congresso. Il segretario al Tesoro Tim Geithner è succeduto a Henry Paulson con il quale lavorava da diversi mesi. Geithner ha cominciato la sua carriera come “negro” di Henry Kissinger di cui scriveva i testi economici. Per farla breve, il cambiamento esiste solo negli slogans di Barack Obama.

Il Consiglio economico nazionale degli Stati Uniti è presieduto da Lawrence Summers, l’economista che ha organizzato, nel 1999, lo smantellamento della legislazione messa in opera all’epoca della crisi del 1929 per impedirne il ripetersi. All’epoca, il suo scopo era quello di favorire una speculazione senza limiti per drenare le ricchezze del mondo verso Wall Street. E’ sempre con lo stesso obiettivo che egli prosegue la sua opera attraverso i diversi piani di salvataggio, di stabilizzazione, ecc. che ha immaginato.

Il Comitato dei consiglieri economici della Casa Bianca, diretto dalla storica Christina Romer, ritiene che la guerra in Iraq abbia provocato la crisi finanziaria. Essa non ha portato granché agli Anglo-sassoni ma li ha pesantemente indebitati. Secondo la signora Romer, che è una specialista della crisi del 1929, la guerra non è dunque una soluzione alla crisi, è una delle sue cause. Contestando le analisi classiche dei suoi colleghi storici dell’economia, la signora Romer afferma che non è stata la Seconda Guerra mondiale ad aver permesso agli Stati Uniti di uscire dalla crisi del ’29, non più del New Deal di Roosevelt, ma l’afflusso di capitali europei a partire dal 1936 e con la “l’aumento dei pericoli”. E’ dunque conveniente provocare un identico fenomeno anche oggi.

Da parte sua, il Comitato della Casa Bianca per la ripresa economica, presieduto da Paul Volcker e collegato alle autorità britanniche, si preoccupa di approfittare della crisi per ristrutturare le [imprese] transnazionali e permettere loro di rilevare il maggior numero di imprese per un pezzo di pane. I Francesi hanno potuto assaggiare il gusto amaro delle sue raccomandazioni con la chiusura della fabbrica Caterpillar di Grenoble; il proprietario di questa multinazionale siede in questo Comitato alla Casa Bianca [3].

Inizialmente, la messa in atto di queste strategie doveva essere coordinata dal Consiglio di Summers. Ma in definitiva tutto è finito al Consiglio di sicurezza nazionale del generale James Jones dove l’inevitabile Henry Kissinger e il suo ex socio Brent Scowcroft sovrintendono quotidianamente alle decisioni. Mentre si distrae l’opinione pubblica discutendo della differenza di colore della pelle tra Bush e Obama, le stesse persone continuano ad esercitare il potere e ad esercitarlo nel medesimo modo.

Concretamente, nel corso degli ultimi mesi, gli Anglo-sassoni hanno orientato la politica dei loro “clienti” (nel senso imperiale romano del termine, ossia dei loro protetti) perché rinsanguino il sistema bancario internazionale. Gli Stati, dunque i popoli, hanno dovuto pagare le perdite dei banchieri anglo-sassoni. In alcuni casi, gli Stati hanno nazionalizzato – parzialmente o totalmente – alcune banche, creando così l’equivalente dei fondi sovrani degli Stati petroliferi. Il sistema speculativo, che è all’origine della crisi, è stato quindi confermato e gli Stati ne sono diventati direttamente attori.

Per salvare il livello di vita degli Anglo-sassoni, sono state prese tre decisioni:

– In primo luogo, sono stati aumentati i mezzi del FMI e della Banca mondiale per tenere sotto pressione il terzo mondo. I paesi poveri sono stati i primi ad essere messi al lavoro per rimpinguare i ricchi, sperando che la loro popolazione non venga decimata dalla futura crisi alimentare.

– Secondariamente, si è aperta la caccia per costringere i capitali piazzati nelle banche di paesi fuori dal G20 a migrare verso gli Stati Uniti, il Regno Unito ed i loro paradisi fiscali [4]. Per fare ciò, gli Anglo-sassoni e il loro “utile idiota” Nicolas Sarkozy hanno proclamato la “fine del segreto bancario”, sarebbe a dire la fine della protezione della vita privata. Va da sé che tutte le frodi e gli abusi potranno continuare come prima, purché abbiano luogo al riparo nelle banche anglo-sassoni, alle Bahamas o nelle isole normanne. Gli Svizzeri saranno senza dubbio le prime vittime di questo grande racket.

– Infine, se questo non bastasse, gli Anglo-sassoni hanno previsto di destabilizzare i paesi ricchi per costringere i capitali che si trovano lì a migrare a loro volta. Un test a grandezza naturale è stato realizzato in Grecia. La CIA e il MI6 hanno portato in autobus delle canaglie reclutate in Kosovo e in Albania per fare danni nei centri delle città in Grecia. Si è assistito immediatamente a fughe di capitali.

Non si tratta solamente di una politica statunitense, ma piuttosto di una politica anglo-sassone mirante a salvare nello stesso tempo Wall Street e la City. I principali responsabili economici dell’amministrazione Bush (Geithner, Volcker, ecc.) sono membri della molto discreta Pilgrim’s Society, la cui assemblea annuale a Londra è presieduta dalla regina Elisabetta II d’Inghilterra e la cui sezione USA ha come vice-presidente Henry Kissinger.

Silvia Cattori: Secondo lei, lo sviluppo della crisi economica porterà a un rapido e durevole declino della posizionane degli Stati Uniti nel mondo?

Thierry Meyssan: Non sono un economista ma un analista politico. Al momento, ciò non è un handicap per risponderle perché la politica economica degli Stati Uniti è oggi pilotata da politici e militari, non da economisti.

Washington ha scelto la fuga in avanti. Henry Kissinger ha affermato che la crisi era un’occasione insperata per portare a termine la globalizzazione approfittando dell’indebolimento di tutti quelli che le si opponevano. Questo modo di pensare, secondo me, rivela dell’hybris, un delirio di onnipotenza. Questo genere di ragionamenti ha già spinto più di un impero alla rovina. Washington vuole uscire dalla crisi rimodellando il mondo secondo la sua convenienza, ma senza cambiare egli stesso. Questo potrebbe portare ad una rottura brutale.

La logica degli imperi vorrebbe che tutto cominci dalla rivolta dei vassalli e il risveglio di forze centrifughe. Potrebbe essere uno sganciamento in seno alla NATO o all’Unione Europea, seguito da tumulti interni agli USA e secessioni. Non si tratta di una predizione, ma di una deduzione elaborata applicando modelli storici alla situazione attuale. Mi limito a descrivere la direzione naturale della caduta, restando inteso che gli uomini possono sempre scrivere la loro storia. Ma questa deduzione ha tanto maggiori probabilità di verificarsi quanto i dirigenti statunitensi continuano nella loro corsa e rifiutano ostinatamente di rimettere in discussione il sistema.

Il mio amico, professor Igor Panarin [5], che studia i movimenti separatisti negli Stati Uniti da un decennio, stima che essi siano arrivati a maturazione. Prevede la prima secessione nel 2010 e lo smembramento degli Stati Uniti entro cinque anni per poi dare vita a nuovi Stati. La sua riflessione tiene conto al medesimo tempo del modello di disgregazione dell’URSS, di fattori etnici specifici degli USA e di conflitti storici interni alle società anglo-sassoni.

I regimi fantoccio posti in essere da Washington in numerosi paesi non sopravvivranno al crollo degli Stati Uniti. Assisteremo ad una profonda trasformazione del paesaggio politico mondiale, come all’epoca della scomparsa dell’URSS.

Quello di cui parliamo le può sembrare surreale, ma nessuno all’inizio del 1989 prevedeva che il Patto di Varsavia e l’URSS sarebbe scomparsi alla fine del 1991.

Silvia Cattori: In quale misura questa evoluzione si ripercuoterà a corto e medio termine sulla potenza militare degli Stati Uniti, e con quali conseguenze?

Thierry Meyssan: Per il momento, gli Stati Uniti sono ancora là. Nella vita selvaggia, un animale ferito è più pericoloso di un animale sano. Ignoriamo se i dirigenti USA sono capaci del sangue freddo di cui diedero prova Michail Gorbaciov e la sua equipe assistendo alla morte della propria patria.

Figlio di una sociologa che lavorava ai programmi di contro-insurrezione della CIA in Indonesia, formato poi da Zbignew Brzezinski all’università della Columbia e probabilmente alla Commissione Trilaterale, Barack Obama ha messo il suo talento al servizio del National Endowment for Democracy (NED), un organismo creato dai neo-conservatori per esternalizzare le azioni di destabilizzazione della CIA [6]. Per questo il suo tropismo personale lo porterà spontaneamente a privilegiare le azioni segrete. E tutto porta a pensare che Washington ne abbia attualmente in preparazione, specialmente in America latina.

Al momento, osserviamo che mentre la stampa occidentale spettegola sulla scelta del “first dog” ed altre notizie distraenti, gli Stati Uniti si preparano a nuove aggressioni. Ad esempio, gruppi kosovari, organizzati dalla CIA, hanno vandalizzato delle città greche. O ancora, i servizi segreti romeni, fiancheggiati dalla CIA, hanno appena tentato di prendere il potere in Moldavia. Nessuno ha reagito, anche se la potenza che ha in subappalto l’aggressione, la Romania, è membro dell’Unione Europea.

Comunque sia, la maggior parte degli analisti pensa che George W. Bush non abbia mai esercitato il potere, ma che se ne siano incaricati altri dietro di lui. Non vedo perché il cambio di presidente avrebbe cambiato qualcosa di questa realtà. Negli Stati Uniti il potere appartiene prima di tutto ai militari. Questi devono fare fronte alla crisi finanziaria. Manca circa un quarto alle risorse necessarie per il completamento del budget 2009 della Difesa. Ciò significa che essi devono non solo rinunciare ad acquistare nuovi materiali e a rinnovare quelli vecchi, ma che devono operare giganteschi tagli nelle spese ordinarie.

In un primo tempo, Robert Gates e i suoi mentori, Brent Scowcroft e Henry Kissinger, hanno optato per il mancato rinnovo dei contratti dei mercenari in Iraq e per l’arresto del programma di armamenti faraonici. Poi, è stato necessario decidere di sospendere il cosiddetto “scudo anti-missile” e il mantenimento della “forza di dissuasione nucleare”. Tutto ciò presentato come un gesto di buona volontà di fronte alla Russia e come un’iniziativa unilaterale per un mondo senza bombe atomiche. Ciò sarà molto insufficiente se la crisi finanziaria prosegue.

Sul piano strategico, è un momento di ripiegamento. Il Pentagono cerca il modo di uscire dall’Iraq a testa alta e cerca di rifilare lo sforzo afgano-pakistano ai suoi alleati. Si trova intrappolato nella decomposizione del Pakistan. Questo Stato di 173 milioni di abitanti è di fatto già saltato. Sarà impossibile non intervenire, perché bisognerà bene controllare in che mani cadrà la bomba pachistana.

Silvia Cattori: Come giudica i rapporti dei paesi occidentali con l’Iran, e il braccio di ferro ingaggiato dalle forze militari, particolarmente da Israele, e il fervente sostegno della Francia verso la “minaccia nucleare” iraniana?

Thierry Meyssan: Il progetto di attacco all’Iran rispondeva solamente all’agenda dei fautori del rimodellamento del Medio Oriente, sarebbe a dire le lobby dei petrolieri e il movimento sionista. I neo-conservatori avevano inventato la favola del programma militare nucleare iraniano e una stampa credulona l’ha ripetuta, come aveva ripetuto la favola delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.

Quando abbiamo sfiorato il bombardamento nucleare dell’Iran, l’opzione è stata respinta da quelli che sono stati definiti “i generali ribelli”, nel dicembre 2007 [7]. Obama si è messo al loro servizio nel 2008, come ha reso pubblico il generale Colin Powell, e l’hanno aiutato ad installarsi alla Casa Bianca. Non vi è dunque alcuna ragione di pensare che l’attacco all’Iran verrà rimesso in programma.

Le discussioni tra Washington e Teheran sono condotte su numerosi canali contemporaneamente e sono molto avanzate. Il pentagono ha bisogno dell’aiuto degli Iraniani in Iraq e in Afghanistan. Di più, Washington deve sedurre Teheran per allontanarla da Mosca e prevenire l’estensione dell’influenza russa in medio oriente.

E’ penoso sentire Nicolas Sarkozy e Bernard Kouchner prendersela ancora con l’Iran mentre i loro padroni statunitensi non hanno più bisogno che abbaino in questa direzione.

E’ ugualmente grottesco sentire i dirigenti israeliani continuare a minacciare l’Iran senza averne i mezzi. Sostenuta sottobanco dall’amministrazione Bush, Tel-Aviv aveva progettato di bombardare l’Iran durante i Giochi Olimpici. Israele aveva affittato due basi aeree in Georgia e vi aveva posizionato i suoi bombardieri. Tecnicamente, poteva farli decollare da Tbilisi per bombardare degli obiettivi in Iran e riportarli nella Palestina occupata, mentre è impossibile – tenuto conto della distanza e dell’autonomia di volo – realizzare tale operazione dalla Palestina occupata. Ora, la Russia, che ha firmato un accordo di difesa con l’Iran [8], è intervenuta appena ha potuto per distruggere le installazioni israeliane in Georgia e gli Stati Uniti non hanno reagito. Per essere ancora più chiari, le autorità russe hanno risposto alle ultime dichiarazioni israeliane ricordando che i tecnici della centrale nucleare di Bushehr sono tutti russi. In altri termini, bombardare gli impianti nucleari iraniani, significa uccidere dei cittadini russi ed entrare in guerra con la Russia.

Silvia Cattori: Dato questo contesto generale, quale ruolo gli Stati Uniti cercano di fare giocare alla NATO, e quali ostacoli potrebbero incontrare nei loro piani?

Thierry Meyssan: Per comprendere l’attuale posta in gioco, bisogna prima di tutto capire cosa succede da nove anni.

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[Henry Kissinger e Brent Scowcroft alla cerimonia d’investitura di Barack Obama]

Nel 2000, quando la classe dirigente USA ha truccato le elezioni e imposto George W. Bush alla Casa Bianca, il progetto era di fondare “un nuovo secolo americano”. Queste persone pensavano che gli Stati Uniti dovessero approfittare del loro vantaggio militare per diventare un impero globale. Avevano programmato uno choc psicologico, “una nuova Pearl Harbour” secondo la loro espressione, per realizzare questa svolta. Fu l’11 settembre. Quel giorno, Henry Kissinger ha definito la “guerra globale al terrorismo” [9]. Ha spiegato che lo scopo non era quello di punire gli autori degli attentati, ma di distruggere il “sistema” che si opponeva alla potenza USA, come la risposta messa in capo a Pearl Harbour non aveva come scopo punire il Giappone, ma distruggere tutto quello che si opponeva alla potenza degli Stati Uniti.

Ora, nel 2003, l’amministrazione Bush-Cheney si allontanò dal mandato ricevuto dalla classe dirigente USA. Decise di colonizzare l’Iraq e fece gestire l’occupazione da una società privata, l’Autorità della Coalizione in Iraq, costituita sul modello della Compagnia delle Indie [10]. Il generale Brent Scowcroft fu il primo ad opporsi a questo progetto [11]. Non come Dominique de Villepin in nome del diritto internazionale, ma perché questo progetto d’altri tempi avrebbe “distratto gli Stati Uniti dalla guerra al terrorismo”.

Scowcroft fu le “maître à penser” dei generali che si ribellarono nel 2006 contro il progetto di attacco all’Iran. Il vecchio esercitò un’influenza preponderante sulla Commissione Baker-Hamilton attraverso il suo figlio spirituale, Robert Gates, da lui presto imposto al Dipartimento della Difesa. E’ ancora Scowcroft che consiglia oggi Obama per tutte le nomine relative alla difesa e alla politica estera. E il generale James Jones, consigliere alla sicurezza nazionale, ha egli stesso ammesso di prendere quotidianamente gli ordini non dal presidente Obama ma dagli eterni complici Brent Scowcroft e Henry Kissinger.

Dopo la parentesi 2003-2006 della colonizzazione dell’Iraq, eccoci ritornati alla casella dell’11 settembre. L’obiettivo assegnato all’amministrazione Obama è la ripresa della “guerra al terrorismo” che il tandem Bush-Cheney non avrebbe mai dovuto retrocedere al secondo posto.

La NATO, che i signori Bush e Cheney non erano riusciti a mobilitare in Iraq, viene sollecitata per la guerra al terrorismo – eventualmente anche per la pretesa prevenzione di genocidi. E’ il caso dell’Afghanistan. Robert Gates, poi Barack Obama hanno sottolineato che se gli Europei non fossero andati in Asia centrale, avrebbero dovuto affrontare sul proprio suolo degli 11 settembre. Il ricatto non avrebbe potuto essere più chiaro. E’ la stessa cosa nell’oceano indiano. Gli USA stanno testando un nuovo alibi, la pirateria. Gente scalza, disponendo di informazioni eccezionali e di armamenti all’ultimo grido, abbordano navigli di tutte le categorie, dalle barche da diporto per far piangere le casalinghe ai cargo che trasportano armi per stuzzicare gli alleati. Una storia holliwoodiana è stata recentemente messa in scena con il coraggioso capitano Philips pronto a sacrificare la propria vita per salvare il suo equipaggio, prima di essere salvato a sua volta dai commandos degli USA Seal. Comunque sia, lo scopo è immutato: trovare una nobile causa che giustifichi uno spiegamento militare che permetta di distruggere quello che ostacola la potenza USA. I media USA d’altronde l’hanno paragonata alla Guerra contro i Barbari, che oppose gli Stati Uniti, il Regno Unito e i Paesi Bassi all’Impero ottomano. E’ con questo stato d’animo che la NATO ha ingaggiato dalla metà di marzo l’operazione Allied Protector al largo del corno d’Africa. Si tratta di un’estensione dell’operazione Active Endeavour (controllo del Mediterraneo) messa in atto dall’11 settembre.

Silvia Cattori: Quali implicazioni avrà la crisi economica mondiale sulla politica degli Stati Uniti in Medio Oriente? I regimi arabi alleati di Washington continueranno la loro politica di allineamento a dispetto dell’avversione delle loro popolazioni verso gli Stati Uniti?

Thierry Meyssan: In Medio Oriente come altrove Washington non ha più i mezzi per la sua politica e i suoi impiegati devono pensare a cambiare le loro prospettive di carriera.

L’amministrazione Obama, che pensa di poter venire a capo della crisi finanziaria, ha deciso di congelare il Medio Oriente per il tempo necessario alla convalescenza della propria economia. I suoi protetti sono perciò certi di rimanere in sella a beve termine. Tuttavia molti di loro pensano che gli Stati Uniti non si risolleveranno e che verranno abbandonati come l’URSS malato ha abbandonato i regimi comunisti dell’Europa orientale. Da qui la volontà di alcuni attori di negoziare dei compromessi con l’asse Teheran – Damasco – Hezbollah – Hamas fin dove è possibile. Ma per il momento si tratta di atteggiamenti individuali di qualche opportunista e non di una svolta dei regimi.

Silvia Cattori: Lei come vede le ripercussioni di questa evoluzione sulla questione palestinese?

Thierry Meyssan: Per arrivare alla Casa Bianca, Obama ha costituito una coalizione eterogenea, che comprende tanto i generali nazionalisti che rifiutano di intraprendere guerre per servire gli interessi israeliani, quanto la fazione “realista” del movimento sionista. Questa coalizione è consapevole di poter scoppiare sulla questione israeliana e che dunque ognuna delle sue componenti è obbligata a fare concessioni per giungere a un accordo.

Il mantenimento della colonia ebraica in Palestina resterà un obiettivo primario per gli Stati Uniti ma gli Israeliani non possono sperare in alcun aiuto oltre a questo. Non possono tentare nessuna avventura militare in questo periodo. D’altronde hanno obbedito all’amministrazione Obama quando essa ha preteso che le operazioni contro gli abitanti di Gaza venissero interrotte prima dell’inizio della cerimonia d’investitura.

Bisogna adesso vedere le cose sotto un’altra visuale: come potrà Washington continuare a proteggere la colonia ebraica in Palestina se rivoluzioni popolari dovessero rovesciare il governo egiziano e l’Autorità palestinese?

Silvia Cattori: Come giudica lo scontro che ha opposto l’Iran ai paesi dell’Unione Europea presenti ieri alla conferenza Durban II delle Nazioni Unite?

Thierry Meyssan: Una delle principali poste in gioco della conferenza di Durban era quella di definire il sionismo. Nel 1975, l’Assemblea generale dell’ONU aveva adottato una risoluzione che affermava che “il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione razziale” [12]. Alla conferenza di Madrid sulla pace in Medio Oriente, l’Assemblea generale ha abrogato questa risoluzione per salutare il nuovo atteggiamento d’Israele [13]. Quattro anni dopo, l’assassinio di Ytzakh Rabin da parte di un fanatico ebreo ha posto fine ad ogni speranza di pace. A partire da questa data, è necessario restaurare la risoluzione del 1975 per combattere questo flagello, ciò che è stato tentato a Durban I e dovrebbe essere fatto a Durban II.

Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki Moon, ha adottato una posizione preliminare consistente nel dire che tutti gli Stati membri lottano contro il razzismo e, quindi, nessuno di loro è razzista. Gli Stati Uniti, che si ricordano di come il segretario di Stato Colin Powell sia stato umiliato a Durban I, hanno deciso di boicottare la conferenza. La Francia ha designato un ambasciatore speciale, il lobbysta sionista François Zimeray [14], per sabotare la conferenza oltre alla segretaria ai Diritti umani, Rama Yade, che vi ha consacrato tutta la sua energia. Molti governi si sono accordati in anticipo per abbandonare la sala al momento del discorso del presidente iraniano, cosa che i loro ambasciatori hanno fatto.

Abbiamo dunque assistito ad uno straordinario numero di disinformazione. Prima che il presidente iraniano avesse potuto terminare la sua prima frase, tre militanti dell’Unione degli studenti ebrei di Francia mascherati da clowns hanno disturbato la seduta. Poi, lo show è continuato, gli ambasciatori dell’Unione Europea hanno lasciato la sala. Tutto è stato fatto affinché il pubblico occidentale non fosse a conoscenza del discorso della delegazione iraniana.

Ora, cosa ha detto il presidente Ahmadinejad? Non ha invitato a cancellare Israele dalla carta geografica e non ha negato il genocidio ebraico. Non lo ha, d’altronde, mai fatto contrariamente alle accuse menzognere della stampa atlantista [15].

No. Ha portato degli elementi di riflessione [16]. Secondo lui, la creazione dello Stato d’Israele non è una riparazione dei crimini commessi contro gli ebrei d’Europa durante la Seconda Guerra mondiale, ma la continuazione dell’ideologia razzista che caratterizza non solo il nazismo, ma anche il colonialismo. Gli ebrei d’Europa furono vittime del razzismo, come i Palestinesi, gli Afgani e gli Iracheni lo sono oggi. Non si tratta di assimilare il regime sionista con il regime hitleriano – due realtà fondamentalmente differenti – ma di mettere in discussione in modo molto più ampio l’ideologia occidentale.

Ciò premesso, Mahmoud Ahmadinejad ha denunciato il ruolo del Consiglio di sicurezza nell’immunità dei crimini razzisti in Palestina, in Afghanistan e in Iraq. E ha concluso richiedendo l’abrogazione del diritto di veto delle grandi potenze al Consiglio di sicurezza. Si è espresso a favore di istituzioni internazionali democratiche, dove ciascuno Stato disponga di uguale voce, compresi il FMI e la Banca mondiale che hanno attualmente sistemi di voto elitari. Secondo lui, l’ideologia razzista si esprime all’interno dell’ONU con la gerarchia stabilita tra gli Stati; gerarchia al vertice della quale si trovano i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza.

Al momento attuale, il comportamento degli Anglo-sassoni e degli Europei, che hanno boicottato la conferenza, disturbato il suo discorso e lasciato la sala, attesta il loro rifiuto di istituzioni democratiche e da ragione al presidente iraniano.

NOTE

[1] «Dichiarazione dei capi di Stato e di governo del G20» (in francese o in inglese),
«Déclaration du G20 sur la fourniture des ressources par l’intermédiaire des institutions financières internationales», «Déclaration du G20 sur le renforcement du système financier», Réseau Voltaire, 2 aprile 2009.

[2] «Économie : Obama choisit ceux qui ont échoué», di Éric Toussaint e Damien Millet; «Les artisans de la débâcle économique continuent leur besogne au sein du gouvernement Obama», di di Michel Chossudovsky, Réseau Voltaire, 1 e 8 dicembre 2008.

[3] «Révolte des ouvriers français de Caterpillar», Réseau Voltaire, 31 marzo 2009

[4] «Le G 20: une hiérarchisation des marchés financiers», di Jean-Claude Paye, Réseau Voltaire, 9 aprile 2009.

[5] Sito ufficiale del professor Igor Panarin (in russo)

[6] «La NED, nébuleuse de l’ingérence “démocratique”», di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 23 gennaio 2004.

[7] «Washington décrète un an de trêve globale», diThierry Meyssan, Réseau Voltaire, 3 dicembre 2007.

[8] «Déclaration finale du deuxième sommet des pays riverains de la mer Caspienne», Réseau Voltaire, 16 ottobre 2007.

[9] «Destroy The Network», di Henry Kissinger. Articolo messo in linea sul sito del Washington Post nella serata dell’11 settembre 2001, poi pubblicato nell’edizione cartacea del 12 settembre.

[10] «Qui gouverne l’Irak?», di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 13 maggio 2004.

[11] «Don’t Attack Saddam It would undermine our antiterror efforts », di Brent Scowcroft, The Wall Street Journal, 15 agosto 2002.

[12] «Résolution 3379 de l’Assemblée générale de l’ONU (10 novembre 1975)»

[13] «Résolution 46/86 de l’Assemblée générale de l’ONU 16 dicembre 199)».

[14] «Sarkozy nomme ambassadeur spécial un lobbyiste pro-israélien», Réseau Voltaire, 21 febbraio 2008.

[15] «Comment Reuters a participé à une campagne de propagande contre l’Iran», Réseau Voltaire, 14 novembre 2005.

[16] Mahmoud Ahmadinejad: «Le Conseil de sécurité a donné aux sionistes le feu vert pour poursuivre leurs crimes», discorso integrale di Durban, Réseau Voltaire, 20 aprile 2009. [una traduzione in italiano si trova sul sito “Io non sto con Oriana”, ndt]

Titolo originale: “Du G20 à Durban II, le dessous des cartes
Fonte : www.voltairenet.org
Link: http://www.voltairenet.org/article159805.html
22.04.2009

Scelto e tradotto per Come donchisciotte.org da MATTEO BOVIS

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