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CASA BIANCA 2008: UNO SHOW ANTI-DEMOCRATICO

A cura di
Il 28 Giugno 2008
79 Views

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Réseau Voltaire

Intervista con Thierry Meyssan

L’elezione del presidente degli Stati Uniti, ogni quattro anni, è l’occasione di un grande spettacolo mediatico che tiene il mondo con il fiato sospeso. Questo sistema elettorale estremamente complesso è controllato dall’oligarchia e da l’illusione di una sovranità popolare contro la quale è stato invece concepito. Thierry Meyssan risponde alle nostre domande sul funzionamento misconosciuto della “democrazia” made in USA.

Sandro Cruz: Gli Stati Uniti sono nel pieno della campagna elettorale presidenziale. Sono in lizza tre candidati. Cosa ne pensa di loro?

Thierry Meyssan: In primo luogo, è importante notare che non ci sono solo tre candidati alla presidenza (McCain per i repubblicani, Clinton e Obama per i democratici), perché anche i piccoli partiti hanno anch’essi i loro candidati e in certi Stati possono presentarsi degli indipendenti. Nel 2004, erano presenti diciassette candidati, anche se i media europei non hanno parlato che di tre.

Nel 2008, ci saranno almeno un candidato libertario, un verde e due trotskisti (il “vero” Roger Calero e il “falso” Brian Moore, al soldo della CIA), un proibizionista (il pastore Gene Amondson), un rappresentante del partito dei contribuenti (ormai chiamato partito della Costituzione), più un indipendente (Ralph Nader).Tuttavia questi candidati minori non possono presentarsi su tutto il territorio e probabilmente non raggiungeranno il 5% dei voti. Il repubblicano e il democratico faranno man bassa. E’ per questo che i media fuori dagli USA non si interessano che ai signori McCain, Obama e alla signora Clinton. Hanno torto, perché se i piccoli candidati non hanno possibilità di accedere alla Casa Bianca, il loro attivismo solca la società statunitense e alla fine influenza il discorso politico.

Lei mi chiede cosa penso dei grandi candidati, ossia cosa potrebbe cambiare nella politica degli Stati Uniti se fosse eletto uno piuttosto dell’altro. Penso che la domanda andrebbe rovesciata. Lei converrà che l’attuale presidente, George W. Bush, non ha le capacità per governare. E’ una marionetta dietro cui si nasconde il vero potere. E se la politica degli Stati Uniti oggi non viene decisa nello Studio Ovale, perché dovrebbe essere diverso l’anno prossimo?

Al momento l’oligarchia si trova di fronte a un dilemma:

1 – Continuare l’attuale politica coloniale;
2 – Trovare una forma di imperialismo più presentabile.

Considerati la rapida ascesa della crisi finanziaria e gli scacchi militari, il proseguire nell’avventurismo potrebbe portare alla caduta, ma anche perché tornare indietro se non si è direttamente costretti a farlo?

Se McCain corrisponde al primo termine dell’alternativa e Obama al secondo, la Clinton potrebbe adattarsi sia all’uno che all’altro. Questo è il senso del tenersi in corsa quando avrebbe dovuto gettare la spugna da molto tempo. In realtà, dopo mesi di lotte intestine, l’oligarchia statunitense sta per scegliere. Come si può vedere dai negoziati in corso e dai diversi accordi di pace in Pakistan, in Iraq, in Libano, in Siria e in Palestina, essa ha rinunciato allo “scontro di civiltà” e al “rimodellamento del Medio-Oriente”.

Obama offre due qualità: da una parte fa campagna sul tema del cambiamento e può dunque incarnare un rinnovamento in politica estera; d’altra parte, l’oligarchia prevalentemente bianca preferisce lasciare a un nero la responsabilità di annunciare il fallimento del paese e di affrontare le inevitabili rivolte sociali che seguiranno.

Sandro Cruz: Può adesso spiegarci come funziona lo scrutinio, il sistema elettorale?

Thierry Meyssan: E’ un rompicapo che la grande maggioranza dei cittadini non capisce. Dalla fondazione degli Stati Uniti, le cose sono state volutamente ingarbugliate e poi si sono ancora più complicate nel tempo. La Costituzione degli Stati Uniti è stata concepita in reazione alla Dichiarazione d’indipendenza. Si trattava di arrestare un processo potenzialmente rivoluzionario e di creare un’oligarchia nazionale in sostituzione dell’aristocrazia britannica. Alexander Hamilton – il principale padre della Costituzione – ha immaginato un sistema per impedire ogni forma di sovranità popolare: il federalismo.

Questa parola è equivoca. Nella vecchia Europa viene utilizzata per designare una forma di unione politica democratica che rispetta le identità particolari e mantiene delle sovranità parziali. Ad esempio, si pensi alla Confederazione elvetica. Hamilton, dal canto suo, ha pensato al sistema non dal basso all’alto, ma dall’alto al basso. Non ha federato delle comunità locali per creare uno Stato, ma ha diviso lo Stato utilizzando le comunità locali. E’ questa ambiguità all’origine della Guerra di Secessione (che, vi ricordo, non ha nessun rapporto con la schiavitù, abolita dal Nord nel corso della guerra per arruolare in massa i negri).

Sandro Cruz: Non corriamo, la fermo qua … Effettivamente il sistema è molto complesso e dobbiamo andare piano per approfondire la cosa. Vorrei che questa intervista rimanesse come una specie di manuale per profani. Lei ha appena detto :” Non ha federato delle comunità locali per creare uno Stato, ma ha diviso lo Stato utilizzando le comunità locali.” Ho difficoltà ad afferrare la seconda parte della frase. Tuttavia, c’è qualcuno alla testa di questi Stati. E questo qualcuno viene da una comunità locale. Allora, chi detiene il potere politico in questi Stati? A questo livello c’è una vera scelta democratica?

Thierry Meyssan: Alexander Hamilton era ossessionato dalla sua idea della “plebaglia” e dalla sua volontà di creare un’oligarchia statunitense equivalente alla gentry britannica. Nel corso del tempo, la sua corrente politica ha immaginato ogni sorta di chiavistello per tenere il popolo lontano dalla politica.

Come sempre, ogni Stato dispone delle sue proprie leggi. In generale, esse tendono a limitare la possibilità di creare un partito politico e di presentare candidati alle diverse elezioni. Nella maggioranza degli scrutini locali è vietato presentarsi senza l’investitura di un partito ed è in pratica impossibile creare un nuovo partito.

Il sistema più caricaturale è quello del New Jersey dove bisogna riunire il 10% degli elettori per poter creare un nuovo partito, una condizione che ognuno vede essere irrealizzabile e che impedisce definitivamente ai piccoli partiti statunitensi di avere sezioni nel New Jersey.

E’ un sistema completamente chiuso su se stesso nel quale, in definitiva, la vita politica è confiscata dai responsabili dei due partiti maggiori di ogni Stato. E’ impensabile poter avere un ruolo se non si è preventivamente cooptati da queste persone.

Ritorno all’elezione presidenziale. Alexander Hamilton ha dato il potere agli Stati federali. Essi designano dei grandi elettori, il cui numero è stabilito in funzione della loro popolazione. Sono questi grandi elettori che eleggono il presidente degli Stati Uniti, non i cittadini. Nel XVIII secolo, nessuno Stato consultava i propri cittadini, oggi ogni Stato procede ad una consultazione. Quando nel 2000 Al Gore ha fatto ricorso alla Corte suprema a proposito della frode elettorale in Florida, la Corte ha ricordato la Costituzione: è il governatore della Florida che designa i grandi elettori, non la popolazione della Florida, e i problemi interni della Florida non riguardano Washington.

Capite bene: gli Stati Uniti non sono, non sono mai stati e non vogliono essere uno Stato democratico. Si tratta di un sistema oligarchico che da molta importanza all’opinione pubblica per premunirsi contro una rivoluzione. Tranne eccezioni molto rare, come Jessie Jackson, nessun politico USA chiede una riforma della Costituzione e il riconoscimento della volontà popolare. Per questo è particolarmente divertente sentire il signor Bush annunciare che va a “democratizzare” il mondo in generale e il Medio-Oriente in particolare.

Sandro Cruz: Può precisare, per favore, se elettori e grandi elettori sono le stesse persone? Gli stessi quadri di partito?

Thierry Meyssan: No, no. C’è una confusione che viene dalle parole. In un sistema a due livelli, la terminologia delle scienze politiche distingue gli elettori di base dai grandi elettori. Ma, negli Stati Uniti, il termine “elettore” si applica solo ai grandi elettori, perché nei primi decenni degli Stati Uniti, il popolo non partecipava alle consultazioni elettorali.

Così, il presidente degli Stati Uniti è eletto da un “Collegio elettorale” di 538 membri. Ogni Stato dispone di tanti grandi elettori quanti seggi possiede al Congresso (deputati e senatori). Le colonie, come Portorico o l’isola di Guam, sono escluse dal processo.

Ogni Stato sceglie le proprie regole per designare i suoi grandi elettori. Nella pratica, esse tendono ad armonizzarsi tra loro. Oggi tutti gli Stati – tranne il Maine e il Nebraska che hanno inventato sistemi complessi – considerano che i grandi elettori rappresentano la maggioranza della loro popolazione.

Nel caso in cui i grandi elettori non riuscissero ad esprimere una maggioranza e che si abbiano due candidati ex-aequo, spetta alla Camera dei rappresentanti di eleggere il presidente e al Senato di eleggere il vice-presidente.

Sandro Cruz: Le primarie permettono o no agli elettori di scegliere i candidati? Quale è il ruolo dei super-delegati?

Thierry Meyssan: Le primarie e le conventions hanno due obiettivi. All’interno, permettono di tastare il polso dell’opinione pubblica e di valutare cosa le si può infliggere. All’esterno, danno al resto del mondo l’illusione che questa oligarchia sia una democrazia.

Si crede spesso che le primarie permettano di evitare le combines tra gli stati maggiori e lascino scegliere ai militanti di base dei grandi partiti i loro candidati. Niente affatto. Le primarie non sono organizzate dai partiti politici ma dallo Stato locale! Sono concepite, in linea con Hamilton, per garantire il controllo oligarchico del sistema e per sbarrare la strada a candidature dissidenti.

Inoltre, ci sono Stati che non hanno primarie ma caucus. Ad esempio, lo Iowa organizza scrutini distinti in ciascuna delle sue 99 contee, che eleggono delegati locali, i quali svolgono delle primarie di secondo livello per eleggere i delegati alle Conventions nazionali. Si tratta esattamente dello stesso sistema del preteso “centralismo democratico” caro agli stalinisti.
Tradizionalmente, questo circo comincia a febbraio e dura sei mesi, ma questo anno il partito democratico ha modificato il suo calendario. Ha anticipato l’inizio e distribuito le date in modo che il piacere durasse quasi un anno intero. Questa decisione unilaterale non è stata messa in atto facilmente e ha provocato molta confusione perché, lo ripeto, primarie e caucus non sono organizzati dai partiti ma dagli Stati.

Alla fine, i delegati si ritrovano alla Convention del loro partito. Sono raggiunti dai super-delegati. I quali, contrariamente a quanto la loro denominazione possa fare credere, non sono delegati di nessuno. Sono membri di diritto, ossia notabili e apparatchiks. I super-delegati rappresentano l’oligarchia e sono sufficientemente numerosi da far pendere la bilancia i un senso o nell’altro, passando sopra il risultato delle primarie e dei caucus. Saranno all’incirca il 20% alla convention democratica e il 25% alla convention repubblicana (ma là non sarà che una formalità in quanto McCain è rimasto solo in lizza).

Sandro Cruz: A cosa servono le primarie e i caucus nei singoli Stati? Come vanno interpretati?

Therry Meyssan: L’ho appena detto, non servono a nulla. Perlomeno per quanto riguarda la designazione dei candidati. Viceversa, questo grande show permette di ridurre quasi a zero la coscienza politica degli Statunitensi. I grandi media ci tengono con il fiato sospeso con la contabilità dei delegati e delle donazioni. Ormai si parla della “corsa” alla Casa Bianca e di records, come se si trattasse di un Telethon o della Star Academy.

Si mantiene artificialmente la suspence per catturare l’attenzione delle folle e martellare il più possibile un messaggio. Avete osservato il numero di volte in cui i grandi media ci hanno annunciato che il prossimo martedì sarebbe stato quello decisivo? Ma ogni volta, un risultato inesplicabile permette al candidato in difficoltà di risollevarsi perché lo show continui. In realtà, lo spettacolo è truccato. In 17 Stati sono state installate macchine per il voto senza alcuna possibilità di verifica dei risultati elettronici [1]. Tanto vale non votare affatto e lasciare che gli organizzatori se la sbrighino da soli per inventarsi i risultati.

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Tutto ciò si accompagna a messaggi subliminali ambigui. Ad esempio, McCain ha scelto come slogan la “difesa della libertà e della dignità”. Che egli esplicita come libertà religiosa e abolizione della schiavitù. Si ha tuttavia difficoltà a credere che queste siano le preoccupazioni principali dei cittadini di base. A chi si indirizza dunque questo slogan? La signora Clinton esibisce: “Ciascuno ha un posto”. Vuole dire che, se lei fosse al potere, nessuno verrebbe lasciato ai margini della strada. Ma ciò significa anche che le persone devono restare al proprio posto e non pensare a cambiare e immischiarsi negli affari dell’oligarchia. Obama, dal canto suo, appare con la scritta “Cambiamento” [Change] sul suo pulpito. Ciò vuol dire che gli Stati Uniti hanno bisogno di cambiamento, ma sembra anche ufficio di cambio. La parola “change” in inglese designa la moneta che si scambia. In piena crisi finanziaria, è piuttosto distraente.

Sandro Cruz: In un recente articolo [2], lei ha scritto che il presidente degli Stati Uniti è sempre l’uomo del complesso militar-industriale. In questa ottica, pensa che verrà eletto John McCain?

Thierry Meyssan: Anche qui lei pone la domanda rovesciata. I tre principali candidati in lizza stanno moltiplicando i segni di sottomissione al complesso militar-industriale. E’ una gara al rialzo nella quale effettivamente McCain non ha bisogno di dimostrazioni, ma dove i suoi concorrenti non sono da meno. Così, abbiamo sentito Obama proporsi per bombardare il Pakistan e, qualche giorno fa, abbiamo visto la Clinton minacciare l’Iran di essere “tolto” dalla carta geografica dal fuoco nucleare. Chi può dire meglio?

Dopo mesi di campagna, questi tre candidati sono arrivati a un totale consenso sui principali punti di politica estera e difesa: considerano che la difesa di Israele sia un obiettivo strategico per gli Stati Uniti; non hanno alcun piano di uscita dall’Iraq; presentano l’Iran e gli Hezbollah libanesi come una delle principali minacce alla stabilità internazionale.

Tuttavia, esiste una differenza tra questi tre candidati che corrisponde al dibattito in via di conclusione in seno al complesso militar-industriale. McCain e il suo consigliere Kissinger sostengono il principio dello scontro diretto mentre Obama e il suo consigliere Brzezinski propongono la dominazione attraverso l’interposizione di terzi. Clinton e la sua consigliera Albright incarnano un imperialismo normativo che non è più di moda. Ho scritto spesso su Voltairenet.org a proposito di questo dibattito strategico (particolarmente al tempo del rapporto dei servizi informativi sull’Iran [3] e delle dimissioni dell’ammiraglio Fallon [4]) ed è da questo che dipende la designazione del prossimo presidente.

Nell’articolo citato, ho notato che la Clinton non aveva la fiducia del complesso militar-industriale. Non ho cambiato opinione. Le sue tematiche non interessano più l’industria degli armamenti. E le sue contorsioni, sia che si tratti della sua frequentazione segreta della Fellowship Foundation o delle sue dichiarazioni massimaliste sull’Iran, non cambieranno nulla. Al momento in cui lei mi fa queste domande, dire che “la Clinton è cotta” non è originale, era il titolo di un quotidiano newyorchese della settimana scorsa. Ma io l’ho scritto quando la stampa europea la metteva ancora su un piedistallo.

Non lasciamoci sommergere dalle problematiche che ci impongono i grandi media. Sapere se gli Stati Uniti manterranno in Iraq con McCain 100.000 GI e 200.000 mercenari o se con Obama diminuiranno il numero di GI ed aumenteranno quello dei mercenari non cambia granché le cose. La vera questione è di sapere se gli Stati Uniti hanno ancora i mezzi per le loro ambizioni e possono governare il mondo – come i neoconservatori insistono a pretendere – oppure se sono minati all’interno e debbano abbandonare i loro sogni imperiali per evitare il crollo – come l’ha già spiegato la Commissione Baker-Hamilton. Ora, la vertiginosa caduta del dollaro ha suonato la fine dell’impero. Dieci anni fa ci volevano 8 dollari per acquistare un barile di petrolio. Oggi ne servono 135 e saranno probabilmente 200 tra due mesi. Inoltre, lo sbandamento delle milizie del clan Hariri, che sono fuggite ed in poche ore hanno abbandonato il campo a Hezbollah gettando le armi nei cassonetti, mostra che non è più possibile subappaltare la polizia dell’impero.

In queste condizioni, McCain non riveste più alcun interesse per l’oligarchia. Obama e Brzezinski sono i soli portatori di un progetto alternativo: salvare l’impero privilegiando l’azione segreta (poco onerosa) sulla guerra (troppo costosa).

Sandro Cruz: Effettivamente, è stupefacente vedere che Barak Obama, che dice di volere un cambiamento nella società statunitense, abbia scelto come consigliere Brzezinski, quando sappiamo che questo ultimo è un ideologo implicato in sordide operazioni segrete, colpi di Stato, sabotaggi ed altre azioni criminali.

Thierry Meyssan: Ho incontrato Zbignew Brzezinski [5] tre settimane fa [6] e l’ho sentito sviluppare un discorso già perfettamente rodato sul rinnovamento degli Stati Uniti. Ha condannato tutti gli eccessi visibili della politica di Bush, da Guantanamo all’Iraq e ha abilmente ricordato i suoi successi contro l’Unione Sovietica.

Tuttavia non penso che il prossimo presidente degli Stati Uniti avrà la libertà di mettere in atto una nuova “grande strategia”. E’ ormai troppo tardi. Barak Obama si dovrà confrontare con i mancati pagamenti di numerosi Stati federali che non potranno pagare gli stipendi dei loro impiegati né assicurare i servizi pubblici [7]. Sarà troppo impegnato dal caos interno per realizzare i piani di Brzezinski.

Sandro Cruz:
Vice Presidente del Réseau Voltaire e direttore dell’Agencia informe de prensa international (IPI)

NOTE

[1] « Comment truquer les primaires US », [Come truccare le primarie USA], Réseau Voltaire, 3 febbraio 2008.

[2] « La continuité du pouvoir US, derrière la Maison-Blanche », [La continuità del potere USA dietro la Casa Bianca], di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 24 febbraio 2008.

[3] « Washington décrète un an de trêve globale », [Washington decreta un anno di tregua globale], di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 3 dicembre 2007.

[4] « La démission de l’amiral Fallon relance les hostilités en Irak », [Le dimissioni dell’ammiraglio Fallon rilanciano le ostilità in Iraq], di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 13 marzo 2008.

[5] « La stratégie anti-russe de Zbigniew Brzezinski », [La strategia anti-russa di Zbigniew Brzezinski], di Arthur Lepic, Réseau Voltaire, 22 ottobre 2004.

[6] La principessa Dariga Nazarbayeva aveva invitato a Almaty (Kazakistan) Z. Brzezinski come oratore al dibattito di apertura dell’Eurasian Media Forum e T. Meyssan come oratore al dibattito di chiusura. Questa conferenza annuale riunisce analisti politici ed i grandi media di Russia, Cina e Asia centrale (http://www.eamedia.org).

[7] « USA : la crise des subprimes menace la moitié des États fédérés de faillite », [USA : la crisi dei subprime minaccia la metà degli Stati federali di fallimento], Réseau Voltaire, 30 gennaio 2008.

Titolo originale: “Maison-Blanche 2008: un show anti-démocratique”
Fonte: Voltairenet.org
Link: www.voltairenet.org/article157135.html
23.05.2008

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da MATTEO BOVIS

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