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Perché la gente crede ancora alla Covid?

Tre questioni chiave per capire perché non c'è stata una pandemia.
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A cura di Redazione CDC
Il 15 Febbraio 2025
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Perché la gente crede ancora nel Covid?

Di Martin Neil, Jonathan Engler, Norman Fenton

Certo, la PCR è stata eseguita male, ma si trattava di un virus nuovo, giusto?

Nei primi tempi dell’evento Covid, gran parte delle segnalazioni sulle gravi inadeguatezze dei test PCR si concentrava quasi interamente su una questione strettamente tecnica: se la soglia di ciclo (CT) utilizzata per dichiarare un PCR positivo per il SARS-CoV-2 fosse “troppo alta”.

Ad eccezione di coloro che aderiscono alla teoria del “nessun virus”, questa attenzione eccessiva alla CT è stata miope ed ha escluso questioni più ampie relative alla PCR. Ad esempio, questi due rapporti possono aver riassunto i già ben documentati problemi con la CT, ma non hanno riflettuto su una serie di questioni più ampie di cui parleremo in questo articolo:

Valori di CT elevati sono stati utilizzati per determinare l’infettività, l’infezione asintomatica rispetto a quella sintomatica, la carica virale, la diffusione virale e la gravità clinica. Allo stesso modo, a livello di popolazione sono stati utilizzati per definire i casi “autentici” ai fini del monitoraggio epidemiologico della prevalenza del virus.

Ecco alcune citazioni dal rapporto Collateral Global che danno un’idea di come la CT abbia inquadrato la discussione:

Minore è la quantità di materiale genetico (mirato) presente nel campione di prova, più difficilmente la PCR deve lavorare per trovarlo, cioè più cicli di amplificazione deve eseguire. La tecnica diventa più sensibile all’aumentare del numero di cicli di amplificazione, fino a cercare un ago in un pagliaio. La Ct è impostata dal laboratorio o dal programma di test e, all’aumentare della Ct, aumenta la probabilità di un risultato positivo per un dato campione.

Le linee guida dell’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito riportano che “i campioni con Ct <25 sono considerati ad alto contenuto di virus, quelli con Ct >25 <30 sono considerati a medio contenuto di virus e quelli con Ct >30 sono considerati a basso contenuto di virus”. Pertanto, quando la Ct è impostata a 45, il test può rilevare singoli frammenti di geni e renderli un risultato positivo anche se i frammenti di geni stessi non sono infettivi e possono persistere nel paziente molto tempo dopo che l’infezione è passata.

Tuttavia, la PCR da sola non può distinguere tra la presenza di virus interi (che possono essere trasmessi e infettare gli individui) e piccoli frammenti di materiale genetico che non sono infettivi. La diffusione di questi detriti virali può avvenire per un periodo di tempo prolungato.

Si noti come la discussione non metta in dubbio “cosa” venga rilevato, in modo corretto o scorretto. Piccoli frammenti di materiale genetico e “virus” sono tutti considerati sinonimi di un nuovo virus mortale: il SARS-CoV-2. Logicamente, devono esistere infezioni autentiche, confermate da una CT bassa, e quindi non ci possono essere dubbi sul fatto che il SARS-CoV-2 esistesse e causasse queste infezioni, e la PCR potrebbe confermarlo in modo affidabile. Una CT alta non mette in dubbio la presenza del virus, semplicemente, mette in discussione se l’infezione fosse attiva o meno o si fosse “frammentata”, quindi qualunque fosse il risultato, il test stava apparentemente confermando il fatto che l’individuo testato si trovava a un certo punto del “ciclo di vita” dell’infezione.

Il dibattito sulla PCR si era poi diviso in due campi che perseguivano una falsa dicotomia:

  • I Covidiani – “i test non sono abbastanza sensibili”: mancano le infezioni attive da SARS-CoV-2, quindi abbiamo bisogno di una CT più alta.
  • I Dissidenti – “i test sono troppo sensibili”: rilevano frammenti di SARS-CoV-2 inattivo, quindi abbiamo bisogno di una CT più bassa.

Questo dibattito si era diffuso sui social media, dove tutti coloro che commentavano la PCR lo facevano ripetendo queste due questioni dicotomiche con i test PCR. Allo stesso modo, erano state inviate centinaia di richieste FOI per ottenere ammissioni dalle autorità sanitarie di tutto il mondo, costringendole a rivelare che stavano usando valori di CT elevati per diagnosticare l’infezione da SARS-CoV-2. Quando le autorità lo avevano confermato (stavano, ovviamente, usando livelli di CT elevati) la risposta era stata: “Preso!”

Inizialmente siamo stati vittime di questa miopia, credendo nel 2020 e nel 2021 che la PCR fosse, in linea di principio, accurata dal punto di vista diagnostico, nel senso che (a parte quando la pratica è inadeguata o le attrezzature sono di scarsa qualità) i falsi positivi per il SARS-CoV-2 erano principalmente il risultato di soglie CT impostate “troppo alte”. Ecco un elenco non esaustivo di articoli che abbiamo scritto e che dipendevano interamente dalla determinazione dei tassi di falsi positivi basati sulla segnalazione di casi (a loro volta, ovviamente, basati sulla PCR) (falsi positivi, limiti di 1 su 3). In tutti questi casi, stavamo esplicitamente sostenendo, sulla base dei dati e delle prove disponibili, che questi problemi portavano a un’incremento artificiale dei casi (cosa che effettivamente accadeva), ma non riuscivamo a identificare, come abbiamo scoperto in seguito, la causa principale di questo incremento del numero di casi.

Su Twitter e nei circoli dei “dissidenti Covid” non c’era praticamente censura sulle discussioni sull’elevato CT  e in qualsiasi analisi “seria” della tecnica PCR si discuteva in modo molto dettagliato dei valori eccessivi di CT, escludendo molto altro.

Era una rivelazione limitata?

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La discussione del problema con la CT era consentita, o forse addirittura incoraggiata attivamente per confermare nella mente di tutti l’esistenza di un patogeno unico, mortale e nuovo che poteva essere rilevato dalla PCR? Oppure, se non si trattava di un depistaggio intenzionale, si trattava di un contagio sociale o di un autoinganno psicologico?

Nonostante il video ampiamente diffuso dell’inventore della PCR, Carry Mullis, che metteva in guardia dagli inevitabili falsi positivi dovuti a valori di CT troppo alti, è sorprendente come così tante persone abbiano abboccato alla stessa esca nello stesso momento.

PCR positivo per qualsiasi cosa?

Quindi, cos’altro stava succedendo con la PCR che “loro” non volevano far sapere o che la gente si era autoillusa di sapere? (Se si sottoscrive la teoria della “formazione di massa” di Desmet).

Per definizione, e in un contesto ideale, che un risultato positivo del test PCR sia “corretto” o meno dipende dalla presenza o assenza effettiva del virus. Quindi, se il virus è “assente” ma il risultato del test è positivo, abbiamo un falso positivo, mentre se il virus è “presente” e il risultato del test è positivo, abbiamo un vero positivo. Se il tasso di vero negativo è basso, il test è detto altamente specifico, mentre se il tasso di vero positivo è alto, il test è detto altamente sensibile.

Come abbiamo detto, dato che il risultato del test PCR dipende dalla quantità di virus o dal numero di frammenti virali presenti sul tampone prelevato, un risultato positivo a 45 cicli potrebbe essere spiegato come una persona che si sta riprendendo dal virus, o che si trova nella fase iniziale dell’infezione, piuttosto che come una persona realmente infetta o contagiosa al momento del test.

Si noti però che l’intera discussione sul significato del risultato falso positivo, insieme a «lei si trova in una fase di questo ciclo di vita dell’infezione», rimane focalizzata sull’«infezione da questo, e solo questo, nuovo virus mortale».

In un ecosistema in cui conviviamo con un numero enorme di virus (noti e sconosciuti), classificare un virus specifico come presente o assente è una scelta binaria piuttosto netta. Mentre tutti parlavano di falsi positivi dovuti alle soglie CT elevate, ciò che non veniva discusso era se il test PCR per il SARS-CoV-2 potesse aver rilevato altri virus, noti o sconosciuti.

Quindi, in realtà, la domanda più rilevante non era il valore di CT utilizzato nel test, ma quanto fosse specifico il test per il virus, noto come SARS-CoV-2, e se quel test potesse essere risultato positivo in presenza di altri virus o altre sostanze. Per dirla in altro modo: la PCR è stata progettata per reagire in modo crociato con altri virus? Questa domanda è fondamentale per comprendere la natura dell’evento Covid.

Eravamo stati messi in guardia fin da subito, attraverso il rapporto Corman-Drosten, che il test PCR SARS-CoV-2 era difettoso (pre-stampa inviata a Eurosurveillance e respinta, disponibile qui.):

“Un progetto che si basa semplicemente su una stretta parentela genetica non soddisfa l’obiettivo di un “test diagnostico robusto” poiché si verificheranno inevitabilmente reattività crociate e quindi risultati falsi positivi”.

Tuttavia, nella nostra esperienza, tutte le questioni sollevate in gruppi di discussione privati, con esperti presumibilmente altamente qualificati in PCR, erano state considerate tabù e respinte come irrilevanti o scientificamente errate. Molti di questi “esperti” avevano affermato che, con un valore di CT opportunamente scelto, il test PCR aveva confermato la presenza del nuovo virus. Altri avevano cambiato idea nel corso del tempo.

In questo articolo avevamo spiegato perché queste argomentazioni erano sbagliate e che il test PCR non era specifico per il SARS-CoV-2. In questo articolo avevamo descritto le nostre conversazioni con un altro noto esperto di PCR, che crede ancora che i test PCR convalidino le esperienze di morbilità covid delle persone (si erano ammalate) e che per questo non si lascerà mai convincere che non ci sia stata una pandemia.

Nel 2021 avevamo dato la notizia di un altro grande scandalo sui test PCR, che, all’epoca, era stato ampiamente ignorato e lo è ancora. Avevamo riportato:

Abbiamo recentemente scoperto che i laboratori del Regno Unito hanno regolarmente registrato una percentuale significativa di risultati positivi ai test Covid-19 basati sulla presenza di un solo gene target, quando ce ne dovrebbero essere due o più, come richiesto per conformarsi alle norme dell’OMS e alle istruzioni del produttore.

Quello che avevamo scoperto dimostrava che il test PCR non solo aveva il difetto di essere basato su CT troppo alti, ma che il test stesso era quasi del tutto arbitrario. Il test PCR  stava effettivamente testando una singola caratteristica genetica del virus SARS-CoV-2 piuttosto che due o più come richiesto, una caratteristica potenzialmente simile a quelle presenti in altri virus.

Questa scoperta avrebbe dovuto far scattare un campanello d’allarme nel movimento dissidente contro la Covid, ma non aveva avuto alcun seguito. Purtroppo, ci abbiamo messo troppo tempo a capire perché le cose fossero andate così.

Se il test PCR non era specifico per il SARS-CoV-2, allora con cosa reagiva in modo crociato? Cosa faceva sì che i test risultassero positivi?

Le tre chiavi

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A nostro avviso ci sono tre scoperte chiave che riassumono tutto ciò che si deve sapere sulla truffa dei test PCR. Poche persone parlano di queste scoperte chiave, soprattutto perché “credono ancora nella Covid”, ma, se considerate nel loro insieme, [queste scoperte] dovrebbero convincere anche il lettore più distratto che non c’è mai stata una pandemia causata da un nuovo virus mortale diffusosi in tutto il mondo.

Prima chiave: scomparsa dell’influenza (e di altri virus)

Abbiamo scritto molto sulla scomparsa dell’influenza e sull’assenza di altri virus durante il primo periodo dell’evento covid. La tendenza globale al ribasso nella segnalazione di infezioni batteriche e virali concorrenti durante la primavera del 2020 è illustrata da questo grafico, pubblicato dal sistema di segnalazione delle tendenze sindromiche BioFire, che mostra il tasso di rilevamento percentuale di agenti patogeni negli Stati Uniti dal 2019 al 2021.

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Dove sono finiti tutti gli altri virus e agenti patogeni?

Risposta breve: l’influenza (e altri virus) in realtà non sono scomparsi, abbiamo semplicemente smesso di cercarli. È quasi come se il re dei raffreddori, l’influenza, fosse stato deposto e sostituito dall’usurpatore, il SARS-CoV-2, incoronato durante la “pandemia”.

Chiave due: una bugia in bella vista

Nel 2020 Etievant et al avevano pubblicato un documento che analizzava le prestazioni dei laboratori di riferimento dell’OMS nella valutazione dei test PCR per il SARS-CoV-2. I laboratori valutati includevano Charité (Germania), HKU (Hong Kong), China CDC (Cina), US CDC (Stati Uniti) e Institut Pasteur, Parigi (Francia). Erano stati eseguiti test di specificità per altri virus respiratori: coronavirus umani 229E, OC43, HKU1 e NL63,  virus dell’influenza umana A e B, rinovirus, virus respiratorio sinciziale, virus parainfluenzale, adenovirus, metapneumovirus e picornavirus.

Non erano stati ottenuti risultati falsi positivi su campioni clinici risultati negativi per il SARS-CoV-2 e/o positivi per virus diversi dal SARS-CoV-2, ad eccezione del gene E per il Berlin Charité, Germania, e del gene N2 per il CDC statunitense, in questi laboratori i test erano risultati positivi per tutti i campioni e le repliche, compresi i campioni negativi e i controlli (compresa l’acqua!)

Per visualizzare i risultati del test è necessario consultare i materiali supplementari da cui è stata ricavata la tabella sottostante. La colonna di sinistra elenca i campioni negativi per il SARS-CoV-2, alcuni con virus concorrenti e altri con tessuto umano o acqua. Questi eano stati tutti utilizzati per mettere alla prova i test PCR formulati da ciascun laboratorio di riferimento dell’OMS. La riga sotto il nome del laboratorio elenca i geni utilizzati dal loro test per determinare un risultato positivo, con “ND” che significa non rilevato (cioè negativo) e un valore che significa un rilevamento falso positivo a quella determinata soglia  di ciclo.

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Qui abbiamo i migliori laboratori del mondo, supervisionati dalle autorità di regolamentazione più competenti e gestiti dagli scienziati più qualificati al mondo, che erano riusciti a produrre test PCR che davano il 100% di falsi positivi utilizzando campioni di influenza, raffreddore comune, tessuti umani e acqua. Si noti che tutti questi campioni erano stati segnalati come positivi al 100% su un solo gene bersaglio, esattamente come abbiamo segnalato che stava accadendo nel Regno Unito nel 2020/21.

In un intervista in podcast [19] del 18 marzo 2020, Christian Drosten, capo del dipartimento di virologia della Charité di Berlino, Germania, aveva parlato del suo test PCR e aveva detto (traduzione):

“Con questo test stiamo testando il nuovo coronavirus solo negli esseri umani. Se testiamo un campione di un paziente ed è positivo, allora si tratta di questo nuovo coronavirus e in nessun caso di uno degli altri coronavirus conosciuti”.

Sicuramente il movimento dissidente Covid avrebbe dovuto esserne al corrente. Siamo incappati nel documento di Etievant et al. solo nel 2024, ma è difficile immaginare che uno studio così importante sia sfuggito a tutti fino a quella data, e continua a essere ignorato da allora. Nessuno ha sollevato un sopracciglio di fronte all’affermazione di Drosten che questo test rileverebbe il nuovo virus e solo quello, eppure abbiamo un documento sottoposto a revisione paritaria che mostra che il test PCR progettato nel suo stesso istituto era, ovviamente, difettoso.

Va inoltre sottolineato che i problemi sopra descritti in relazione alla reattività crociata del test con altri virus o altre sostanze agirebbero sinergicamente – e in modo potente – con qualsiasi contaminazione crociata fisica causata da tecniche di manipolazione di laboratorio scadenti, che erano state ampiamente segnalate e che erano inevitabili, data la velocità di diffusione di questi test.

Non c’era nulla di “nuovo”.

Chiave numero tre: mancanza di nuovi sintomi

L’ultima chiave è il fatto che mancano sintomi chiari di questa nuova malattia causata dal presunto nuovo patogeno. Ne abbiamo parlato qui. I sintomi della Covid sono clinicamente indistinguibili da quelli che un medico avrebbe associato a un’influenza o a un brutto raffreddore prima del 2020.
Inoltre, era già noto che la conferma oggettiva che un particolare virus stia causando sintomi di malattia respiratoria non può essere effettuata mediante test PCR. Ciò è dovuto all’incapacità dei tamponi di raccogliere e identificare in modo affidabile gli agenti causali.

Questa era stata la conclusione (finora non contestata) dello studio cardine CDC EPIC in due articoli del NEJM del 2015, uno sugli adulti e uno sui bambini. Quindi, un risultato positivo ottenuto da un campione prelevato dalla parte superiore della gola o dal naso non significa che un’infezione ai polmoni sia causata dall’agente patogeno rilevato. Solo perché un paziente è positivo alla PCR (da un tampone rinofaringeo), non possiamo concludere che i sintomi riferiti siano causati dal virus per cui viene effettuato il test!

Pertanto, qualsiasi discussione clinica sull’infettività è essenzialmente controversa e il fatto che l’utilizzo della PCR sarebbe la base fondamentale per tracciare la diffusione del virus, la morbilità e la mortalità è una farsa.

Naturalmente, come descritto in questa sede, a causa della molteplicità di virus associati a “malattie simil-influenzali”, il tropo della “influenza che scompare” – spiegato dai veri credenti dal fenomeno della competizione virale (per il quale non esistono prove effettive, come abbiamo scritto in questa sede) – richiederebbe che tale competizione agisca miracolosamente su una vasta gamma di possibili agenti causali, non solo sull’influenza.

Perché questo viene ancora ignorato?

Proprio come nel caso delle due teorie contrastanti [sull’origine della Covid]: la fuga dal laboratorio o la diffusione dal mercato della carne, nel 2020 ci era stata presentata un’altra falsa dicotomia sui test PCR. Eravamo stati invitati a schierarci da una parte o dall’altra: i test sono troppo sensibili o non sono abbastanza sensibili, ma, in ogni caso, tutte le opzioni erano basate sul presupposto che fosse in circolazione un nuovo agente patogeno. La discussione sulla terza opzione, ovvero che i test non stessero rilevando affatto un nuovo virus, ma stessero riconfezionando altri virus presentandoceli come nuovi, era stata ridicolizzata, ignorata, soppressa e censurata.

Perché queste prove vengono ancora ignorate cinque anni dopo l’inizio dell’evento?

Perché la gente crede ancora alla Covid?

Di Martin Neil, Jonathan Engler, Norman Fenton

12.02.2025

 

Martin Neil. Professore di informatica e statistica alla Queen Mary, Università di Londra.

Jonathan Engler. Imprenditore sanitario. Qualificato dal punto di vista medico e legale. Un milione di volte più preoccupato della risposta al “covid” che del “covid” stesso.

Norman Fenton. Professore emerito del rischio presso la Queen Mary University di Londra.

Fonte: https://wherearethenumbers.substack.com/p/why-do-people-still-believe-in-covid?triedRedirect=true

Traduzione della Redazione di ComeDonChisciotte.org

Rivisto da Markus per comedonchisciotte.org

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