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Lo stato di emergenza e i tentacoli del privato: la sanità calabrese laboratorio d’Italia

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A cura di Redazione CDC
Il 7 Aprile 2025
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Di Domenico Cortese, lordinenuovo.it

 

Ci siamo occupati molte volte, ad esempio qui e qui, delle condizioni del servizio sanitario più in difficoltà del nostro Paese. Commissariata dal 2010 e da allora oggetto di tagli indiscriminati, con 5000 operatori e 18 ospedali in meno rispetto a 15 anni fa, la sanità calabrese si trova sempre di più alla mercé del profitto degli speculatori privati, che contribuiscono attivamente al suo sfacelo. In questo articolo, con un’intervista a Vittorio Sacco, infermiere e delegato di USB Sanità in Calabria, analizzeremo alcuni dei metodi con cui l’interesse privatistico contribuisce deliberatamente a distruggere quel che resta del diritto alla salute.

 

  • Vittorio, da qualche settimana si legge ovunque che il Presidente della Regione Roberto Occhiuto ha richiesto lo stato di emergenza per il nostro sistema ospedaliero. Come interpretare questa mossa alla luce dei tanti finanziamenti da spendere sul territorio?

“In realtà non è stato Occhiuto a chiedere lo stato di emergenza, è stato il Governo a dichiararlo, sotto l’auspicio del presidente della Regione, va detto. Si tratta più che altro di un atto di “burocrazia politica” finalizzato a sfruttare l’emergenza sanitaria per favorire e velocizzare, come al solito, la soddisfazione di interessi privati. Lo stato d’emergenza, innanzitutto, è stato proclamato per le questioni inerenti all’edilizia sanitaria e non per la sanità tout court. Ora, quando viene proclamato lo stato d’emergenza, come abbiamo visto in passato con i terremoti nel centro Italia e in occasione di grandi eventi, salta tutta una serie di regole che riguardano la procedura sugli appalti. Non hai più l’obbligo di fare tante gare per mandare avanti un appalto relativo alla costruzione di un ospedale ma lo puoi fare con la procedura emergenziale: il vecchio sistema Bertolaso, insomma. Inoltre, il governo ha nominato lo stesso Occhiuto come commissario allo stato d’emergenza: è un gioco delle tre carte, in cui il Presidente della Regione, già commissario ad acta per la sanità calabrese (commissariata da 15 anni), si fa auto-commissariare per incrementare i propri poteri. Questo è lo spaccato della situazione che ci ritroviamo in Calabria per quanto riguarda la gestione dei fondi PNRR per la costruzione degli ospedali”.

  • Oltre all’incremento delle spese che gravano sulle casse pubbliche per rimpinguare le casse dei privati, quali saranno le conseguenze di questa situazione, secondo te?

“Io credo che dobbiamo porci soprattutto questo interrogativo: questi fondi come verranno usati? Serviranno per sbloccare l’ospedale della Sibaritide, per sbloccare l’ospedale di Locri, per ricostruire l’ospedale di Cosenza? O serviranno per costruire case di comunità e case della salute che, soprattutto in assenza di personale, situazione nella quale siamo oggi, resteranno dei gusci vuoti, come già accaduto in Lombardia? Poi ci sono varie questioni rilevanti, che si intersecano a questa. Per esempio, le case di comunità dovrebbero servire a farci lavorare dentro i medici di famiglia, che secondo le nuove normative per decongestionare i Pronto Soccorso dovrebbero seguire lì i loro pazienti e, in assenza del collega, eventualmente il paziente del collega. Il problema è che i medici di famiglia attualmente sono contrari a tutto ciò e si rifiutano di ottemperare a queste misure, e ciò si collega alla natura privatistica di questa figura, ambigua dal punto di vista del diritto, che funzionerebbe meglio come dipendente statale. Il disordine e gli interessi personalistici derivati dalle varie forme di medicina privata insieme ai tagli che hanno fatto diventare rare molte figure professionali rendono incerto tutto lo scopo e la destinazione dei fondi del PNRR, anche a prescindere dalle decisioni di Occhiuto”.

  • Un paradosso della scarsità di specialisti nel pubblico, dei concorsi pubblici andati deserti, è che vediamo continuamente aprire sul territorio della regione nuove cliniche private colme di medici.

“Non è un paradosso, sono due elementi collegati. Non ci sono medici da mandare nei Pronto Soccorso, non ci sono medici da mandare nei presidi periferici, soprattutto, e di fatto, oggi la sanità pubblica calabrese la stanno tenendo in piedi i medici fatti venire da Cuba. I pochi medici che ci sono, come sappiamo, si dirigono verso il privato grazie ai soldi che può offrire un settore che non ha gli stessi oneri di quello pubblico e che mira solo a produrre profitti; gli infermieri, invece, cercano più che altro di emigrare all’estero per ricercare salari più alti (anche perché il privato tratta gli infermieri come manovalanza a basso costo, è un vero e proprio strozzinaggio)”.

 

  • I privati come affrontano la scarsità di personale infermieristico?

 

“La clinica privata “Villa dei Gerani” di Vibo Valentia, che detiene il monopolio di fatto di molti ambiti sanitari sul territorio ed è al centro di casi poco trasparenti come l’inchiesta secondo cui la società avrebbe stipulato accordi con l’Asp indicando dati falsi. I privati sopperiscono alla mancanza di infermieri utilizzando figure che nel settore pubblico non sarebbero accettate, come quella del “super OSS” [operatore sociosanitario, n.d.r.], che può somministrare alcune terapie sotto supervisione infermieristica. Così, ad esempio, le RSA private si imbottiscono di OSS sottopagati e prendono, magari, un solo infermiere che dirige dieci o quindici OSS – si può immaginare la qualità del servizio”.

 

  • Ma non eravamo sulla via della risoluzione del problema grazie all’aumento dei posti nelle scuole di specializzazione?

“Non è assolutamente vero, come molti affermano, che con l’incremento degli ingressi alle scuole di specializzazione in pochi anni si potrà risolvere il dramma della scarsità di personale sanitario. Perché se da un lato questo incremento c’è stato, dall’altro posso confermare dall’interno dell’ambito sanitario e stando spalla a spalla con operatori sanitari che ci sono molti settori che non sceglie nessuno, ad esempio quello dell’emergenza-urgenza. Il motivo è molto banale: con l’emergenza-urgenza non puoi esercitare privatamente; la stessa cosa avviene con malattie infettive: quale privato va a cercare un infettivologo, visto che le malattie infettive non vengono trattate proprio dal capitale privato?”

  • In quali altre specializzazioni il privato esercita questa influenza deleteria per la programmazione sanitaria?

“Un’altra di queste aree è radiologia interventistica, poco appetibile per gli specializzandi: i privati non ne fanno, perché radiologia interventistica va di pari passo con oncologia, sono due facce della stessa medaglia in quanto la prima serve alla seconda area. Ora, il privato non investe mai sull’area oncologica, perché non gli conviene. Infatti, il paziente oncologico è un paziente lungodegente, e non massimizza il profitto come i pazienti che “scorrono” velocemente e lasciano subito il letto libero: è come se la clinica fosse una catena di montaggio. Il DRG [strumento che si basa su raggruppamenti omogenei di diagnosi cliniche e che viene utilizzato per remunerare le prestazioni ospedaliere, n.d.r.] di oncologia è remunerato relativamente poco: un intervento oncologico con le tecnologie più avanzate costa al servizio sanitario nazionale fino a 200mila euro, usano ormai tecniche impensabili fino a poco tempo fa, come le radioterapie di laser e fasci di neutroni mirati, cose molto complesse che non convengono economicamente alle cliniche private. Queste, fondamentalmente, producono con un sistema “fordista”, per cui più “pezzi” (interventi e pazienti) sfornano più guadagnano, non hanno volontà o capacità di fare investimenti pesanti, rischiosi e ad alta tecnologia come nella medicina nucleare. A maggior ragione perché per fare queste cose c’è una serie di norme di sicurezza che si devono rispettare, cosa in cui il privato, diciamo, non è un campione – senza contare lo smaltimento dei rifiuti che in questo campo è particolarmente delicata”.

  • Dove investe il privato in Calabria e perché?

“Il privato in Calabria, come nelle altre regioni, investe sostanzialmente in tre maxi-aree: la prima sono le RSA per gli anziani, dove si tratta soltanto di accudire e somministrare medicine ad anziani che, in molti casi, non sono neanche frequentemente sorvegliati dai figli, visto che molti di coloro che mettono i genitori nelle residenze sono emigrati al nord o, addirittura, all’estero. Nelle RSA il privato è libero di ignorare tutte le precauzioni che gli conviene, come abbiamo visto con i focolai di COVID e i tanti anziani morti in queste strutture nel 2020. Nell’intera struttura c’è, spesso e volentieri, un solo medico, un infermiere ogni tanto e un numero spropositato di OSS, come ho già detto, sfruttati. La seconda area sono le cliniche ortopediche, che ormai in molte province stanno letteralmente sostituendo i reparti pubblici. Vi spiego perché investire in ortopedia è facile rispetto, ad esempio, a oncologia: l’oncologo bravo, oltre essere più difficoltoso da trovare ed essere, spesso, specializzato in specifiche branche di oncologia, è molto più difficile da formare rispetto ad un ortopedico. L’ortopedico lo trovi facilmente sul mercato, c’è più concorrenza e lo puoi pagare di meno. Il terzo ramo è la radiologia, per motivi simili: è facile trovare uno e un solo radiologo, e mandi avanti la clinica senza rischi e problemi. Il punto continua ad essere proprio questo: tutte le discipline complesse, rischiose, pericolose e costose sono delegate al pubblico mentre quelle più sicure e remunerative vengono assorbite dal privato, con un reale trasferimento di fondi e risorse umane dal pubblico al privato, che quindi influisce in maniera pesante sulle politiche sanitarie, sulla programmazione pubblica e sul diritto alla salute”.

  • In questo contesto, infine, quali lotte state portando avanti?

“Stiamo attualmente portando avanti varie battaglie, alcune con successo: all’ASP di Vibo Valentia siamo riusciti a far reintegrare i lavoratori precari che avevano fatto andare via dopo la fine del contratto COVID; mentre ultimamente stiamo seguendo la questione degli autisti soccorritori del SUEM 118 (il sistema di emergenza-urgenza). La Regione Calabria ha costituito, infatti, un’azienda regionale unica (chiamata Azienda 0) che aveva due scopi principali: essere unica stazione pubblica appaltante per tutta la sanità regionale e gestire il sistema SUEM regionale calabrese. Questo è stato fatto fondamentalmente perché le aziende regionali che si occupano di emergenza-urgenza, per un decreto ministeriale del 2017, non hanno vincolo di bilancio. Il Presidente della regione, quindi, ha creato il carrozzone, ci ha piazzato dentro un direttore generale e un direttore sanitario, ha creato un vertice ma senza capitale sociale e senza lavoratori, che sta cominciando a integrare adesso in questa struttura. Per questo motivo, paradossalmente, demandano tutto quanto all’ASP di Cosenza, che lavora su mandato dell’Azienda 0! In questa situazione disordinata e paradossale, si è cominciato a fare il nuovo piano per il riordino della rete per l’emergenza-urgenza, facendo un concorso per gli autisti soccorritori e un concorso a tempo determinato per infermieri, prospettando l’eliminazione delle ambulanze private che oggi sono utilizzate in Calabria. Esse costano circa mezzo milione di euro all’anno e su di esse non c’è personale sanitario, essendoci solo soccorritori volontari, ovvero lavoratori mascherati da volontari, pagati 600 euro al mese. Succede, però, che molte Postazioni di Emergenza Territoriale non sono state formate e allora hanno rinnovato l’accreditamento al privato, per cui la nostra battaglia adesso si sta concentrando sia sull’imporre lo scorrimento delle graduatorie per gli autisti sia, in concomitanza, per eliminare davvero il ricorso alle ambulanze private. Come si vede, la lentezza con cui la pubblica amministrazione tende a mettere da parte le regalie al capitale privato e i conflitti di interessi personalistici attraverso i quali vengono gestiti gli apparati pubblici continuano a essere sempre la causa dell’inefficienza e delle problematiche della sanità pubblica, soprattutto nella nostra regione”.

La conclusione che possiamo trarre da questa panoramica è che la crisi del servizio sanitario nazionale, in Calabria come nel resto del Paese, è sempre più strettamente legata a quella frazione di capitale privato che ha interesse a trarre profitto dal depotenziamento dell’accesso alle cure gratuito, universale e di qualità. È necessario, ma non è sufficiente, portare avanti una battaglia per l’incremento dei posti nelle specializzazioni sanitarie, se il percorso degli specializzandi viene influenzato dagli interessi del privato; è giusto ma non sufficiente rivendicare l’aumento dei fondi per l’edilizia e il personale sanitario se l’utilizzo dei finanziamenti è diretto verso investimenti edili utili solo alla speculazione o all’accreditamento di strutture private; è fondamentale ma non sufficiente centralizzare e razionalizzare l’organizzazione sanitaria se, poi, chi la deve implementare agisce a rilento perchè gli amministratori e i dirigenti della sanità locale sono legati agli studi privati che traggono beneficio dalle inefficienze del pubblico. La lotta per un servizio sanitario pubblico di qualità è necessariamente una lotta di classe dei ceti popolari contro la grande e piccola imprenditoria locale e nazionale che possiede interessi incrociati con i partiti borghesi che in questi anni hanno applicato tagli lineari al settore e con la finanza che trae rendite dagli stessi fatturati della medicina privata.

Di Domenico Cortese, lordinenuovo.it

01.04.2025

Fonte: https://www.lordinenuovo.it/2025/04/01/lo-stato-di-emergenza-e-i-tentacoli-del-privato-un-aggiornamento-sulla-sanita-calabrese/

Titolo originale: Lo stato di emergenza e i tentacoli del privato: un aggiornamento sulla sanità calabrese

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