CHI PERDE VINCE

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DI MARCO TRAVAGLIO
ilfattoquotidiano.it

 

Le Olimpiadi, conti alla mano, le vince sempre chi non se le aggiudica.

Dunque si può dire senza tema di smentita che ieri Roma, rinunciandovi, ha vinto le Olimpiadi del 2024. Bene ha fatto Virginia Raggi a tener fede alla parola data agli elettori e ad annullare la candidatura che quel buontempone di Marino, pressato da quell’irresponsabile di Renzi e dal quel megalomane di Malagò, aveva presentato due anni fa. Stiamo parlando – è bene che si sappia – soltanto di una candidatura, non della certezza di organizzare i Giochi del 2024: ma già la candidatura comporta soldi pubblici già stanziati e già in parte spesi, senza sapere se alla fine il Cio avrebbe scelto Roma o la temibile concorrente Parigi. Solo che Parigi non è alla canna del gas, mentre Roma non ha più neanche gli occhi per piangere: devastata da Mafia Capitale, da ruberie stratificate e da un debito di 13 miliardi (almeno, perché è ancora tutto da verificare). E soltanto una città che scoppia di salute può permettersi il lusso di un grande evento come quello olimpico che – studio di Oxford alla mano – c omporta regolarmente uno sforamento medio del 176% fra budget iniziale e costo finale per le edizioni estive, senza contare le invernali (+720% Montreal, 266 per Barcellona, 324 Lake Placid, 76 Londra, 277 Lillehammer, 181 Grenoble, 118 Sarajevo, 151 Atlanta, 137 Albertville, 90 Sydney, 80 Torino, 51 Rio de Janeiro).

Gli extra-costi non ricadono mai sul Cio, unico soggetto a guadagnarci sempre e comunque, ma sugli Stati e le metropoli ospitanti, i cui cittadini sono costretti ogni volta a sobbarcarsi per venti o trent’anni imposte e balzelli aggiuntivi per assecondare le fregole faraoniche dei governanti. Gli studiosi la chiamano “maledizione del vincitore”: chi vince la candidatura, perde miliardi e va in rovina. Perciò nel 2012 Mario Monti revocò la candidatura di Roma ai Giochi del 2020, avanzata dal geniale Alemanno: “Non sarebbe responsabile – spiegò – prendere un impegno finanziario che potrebbe gravare in misura imprevedibile sull’Italia per i prossimi anni”. Il debito pubblico era a 1.928 miliardi (127% del Pil) e la disoccupazione al 9,3. Infatti Monti fu subissato di applausi dal Pd (Rosato, Bonaccini, Melandri, Bersani, Gentiloni, Sassoli, Letta e Montino cinguettavano giulivi) e di complimenti dai giornaloni (Corriere, Repubblica, La Stampa , Avvenire, persino il Sole 24 Ore). Ora è peggio di allora: debito pubblico a 2.250 miliardi (132,7% del Pil) e disoccupazione all’11,5%. Ma Pd e giornaloni si sono tutti convertiti ai cinque cerchi.

Infatti lapidano la Raggi a reti ed edicole unificate, a prescindere dai meriti (pochi) e dagli errori (tanti), fin da prima del suo arrivo in Campidoglio. Un linciaggio mai visto con i predecessori: quelli bravi e competenti che scavarono con grande perizia il buco di 13 miliardi e rotti e consegnarono le chiavi del Campidoglio a Buzzi&Carminati, ma anche ai Cerroni e ai Caltagirone. Il movente del trattamento speciale lo conoscono tutti: la fine della mangiatoia olimpica. Infatti, in questi due mesi e mezzo, si è tentato di tutto.

1) Blandire la sindaca, gli assessori e i consiglieri con lusinghe e approcci ai limiti del codice penale. 2) Metterli l’uno contro l’altro, facendo filtrare sui giornali al seguito notizie false su inesistenti “aperture” e “tentennamenti” della sindaca e sul suo vice Daniele Frongia. 3) Rovesciare la giunta con un golpettino: quello delle dimissioni a catena dell’assessore al Bilancio e dei vertici Ama e Atac col ridicolo pretesto che la Raggi aveva seguito il parere di Cantone sul contratto illegittimo della capogabinetto. 4) Spacciare l’attesa della conclusione delle Paralimpiadi per una retromarcia della Raggi e una frase di Grillo contro i Giochi – in linea con tutta la campagna elettorale – per un diktat alla sindaca riottosa. 5) Giocare la carta della disperazione, cioè il referendum proposto due anni fa dai Radicali, sempre ignorato da tutti, ma riesumato in extremis per prendere altro tempo. 6) Buttarla in caciara quando ormai, ieri, era chiaro che le promesse sarebbero state mantenute: quella della Raggi bloccata nel traffico dopo un incontro con Delrio e un impegno personale che sale trafelata sull’ascensore del Campidoglio, mentre Malagò scende le scale furente per la mezz’ora di ritardo è una perfetta sceneggiata per oscurare un fatto incontestabile. In campagna elettorale la Raggi definì “criminale” dare priorità alle Olimpiadi, mentre Roberto Giachetti tifava per i Giochi. Il 67,17% dei romani scelse la prima opzione anche per non ritrovarsi sul gobbone trent’anni di tasse supplementari per finanziare le manie di grandezza delle cricche. Ora la sindaca non fa che rispettare la loro volontà.

Il fatto che, per la prima volta nella storia, un sindaco di Roma osi fare gli interessi del Comune e della gente anziché dei palazzinari & terrazzari spiega lo sgomento di Malagò, che parla di “figuraccia mondiale” (come se Amburgo, Boston e Madrid, che hanno rinunciato ai Giochi del 2024, come Monaco e Cracovia a quelli del 2012, fossero amministrate e popolate da baluba). E si permette di intimare a una sindaca appena eletta dal popolo di “non presentare l ’ imbarazzante mozione contro Roma2024”. Evidentemente il simpatico Giovannino si crede l’ottavo re di Roma e magari pretende pure la biga e la scorta dei legionari. Ma la colpa non è sua, bensì di chi per troppi anni gliel’ha lasciato credere, genuflettendosi a ogni suo sospiro.

La Raggi però non s’illuda. Ora che ha salvato Roma dalla maledizione del vincitore, la attende una sfida molto più ardua: smentire chi già teme la maledizione della vincitrice.

 

Marco Travaglio

Fonte:  www.ilfattoquotidiano.it

23.09.2016

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