Vaccinazione anti-covid: “Sarà un vero e proprio esperimento”

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di Valentina Bennati
comedonchisciotte.org

Il ministro della Salute Roberto Speranza ha annunciato in Parlamento il piano per la vaccinazione contro il coronavirus Sars-CoV-2 elencando le quote opzionate dall’Italia per casa farmaceutica e tipologia di vaccino a partire dal primo trimestre 2021 e con completamento nel quarto trimestre: AstraZeneca: 40,38 milioni di dosi; Johnson & Johnson: 53,84 milioni di dosi; Sanofi: 40,38 milioni di dosi; Pfizer-Biontec: 26,92 milioni di dosi; CureVac: 30,285 milioni di dosi; Moderna: 10,768 milioni di dosi.

Secondo le previsioni del Ministero i primi vaccini saranno pronti da gennaio, ma il cuore della campagna vaccinale sarà tra la prossima primavera e l’estate: l’intenzione è di vaccinare prima di tutto gli operatori sanitari e socio sanitari, poi i residenti e gli operatori delle Rsa, a seguire le persone della terza età, il  personale scolastico, le forze dell’ordine e il personale delle carceri. Il ministro ha poi specificato che, se si sviluppassero focolai in specifiche aree del Paese, saranno distribuiti vaccini anche in quei luoghi. Competenza della logistica per la distribuzione e vaccinazione sarà del commissario straordinario con l’Esercito che interverrà per la parte pratica.

Parlando in Senato il ministro ha definito il vaccino anti-covid “un bene comune, che va assicurato a tutte le persone”. “Per questo” – ha aggiunto – “l’Italia ha opzionato 202 milioni e 573mila dosi di vaccino, rappresenterebbero una dotazione sufficientemente ampia per poter potenzialmente vaccinare tutta la popolazione e conservare delle scorte di sicurezza, abbiamo sottoscritto tutti i contratti che l’Ue ha formalizzato, non vogliamo correre il rischio di non poter disporre di un vaccino”.  “L’obiettivo fondamentale” – ha inoltre detto Speranza – “è predisporre una sorveglianza, monitorando gli eventi avversi ai vaccini e individuando eventuali problematiche. L’Aifa predisporrà un comitato scientifico che, per tutto il periodo della campagna vaccinale, avrà il compito di analizzare i dati raccolti”.

Dunque è stato già messo in conto che ci saranno eventi avversi, rischio che magari si sarebbe potuto evitare con un periodo molto più lungo di trial. Cosa che, di norma, dovrebbe accadere sempre prima di immettere nel commercio un nuovo farmaco. Ma così non è stato questa volta e, ad essere malpensanti, si potrebbe arrivare a dire che le ‘vere cavie’ saranno gli Italiani: prima quelli appartenenti alle categorie considerate più a rischio, poi gradualmente il resto della popolazione.

Al di là degli annunci, però, bisognerà poi vedere cosa accadrà veramente nei prossimi mesi. Al momento, tra l’altro, nessun vaccino ha ricevuto l’approvazione, né dell’Agenzia Europea per i Farmaci, né della Food and Drug Administration statunitense, i profili di sicurezza ed efficacia continuano ad essere sconosciuti e scarseggiano i dati necessari per consentire ai cittadini di prendere una decisione informata. Cosa ben diversa, questa, dall’essere aprioristicamente contrari ai vaccini. Infatti si sono, giustamente, già levate alcune voci all’interno dello stesso mondo medico-scientifico (pure l’autorevole British Medical Journal ha preso posizione) per raffreddare i facili entusiasmi di quella parte della politica e della scienza che pretende di zittire chi osa esprimere dubbi e paventa l’ipotesi dell’obbligatorietà.

Mala tempora currunt.

Ed è in questo preciso momento storico che i medici sono chiamati a fare una scelta: la scelta tra il rispetto del giuramento di Ippocrate oppure no.

C’è chi si trova d’accordo con la narrazione ufficiale, chi si pone delle domande e ha il coraggio di manifestare le proprie perplessità e chi, per vari motivi, preferisce voltarsi dall’altra parte non sentendo l’obbligo deontologico di parlare.

Hanno un grande potere i medici adesso e lo avranno ancor di più nei mesi che verranno.

Ma un grande potere si associa sempre a una grande responsabilità.

E la prima responsabilità dovrebbe essere quella di essere Medici Onesti.

Grazie a coloro che stanno dimostrando di esserlo.

E grazie al Prof. Paolo Bellavite per aver accettato di fare questa intervista nonostante i numerosi impegni di questi giorni. Già professore di Patologia Generale presso l’Università di Verona, Bellavite è anche ematologo e si è perfezionato in Statistica Sanitaria e Epidemiologia. È autore di 157 pubblicazioni scientifiche recensite su PubMed e di diversi libri. Fa parte dei ‘Top Italian Scientists’ con H-index (Google Scholar) di 48.  Dal 2017 è in pensione, ma continua a svolgere una brillante attività di ricerca.

 

Professor Bellavite come funziona normalmente quando un farmaco deve entrare sul mercato? Ci sono dei tempi ben precisi da rispettare e dei lavori da pubblicare e sottoporre alla revisione del mondo scientifico? Tale procedura è stata tenuta in considerazione per i vaccini in arrivo?

“In Italia qualsiasi farmaco deve essere autorizzato da AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e in Europa da EMA (European Medicines Agency) che esaminano il dossier presentato dal produttore, che deve comprendere prove precliniche di laboratorio e prove cliniche su esseri umani, di fase 1 (prove di sicurezza e tollerabilità di varie dosi su volontari sani), fase 2 e 3 (prove su gruppi di volontari in cui si confronta efficacia e effetti avversi in gruppi trattati o col farmaco o col placebo).

Per i farmaci normali sono richieste anche prove di farmacocinetica, vale a dire dimostrazioni di dove si accumulano nel corpo e di quanto tempo vi rimangono prima di essere eliminati; i vaccini invece sono esentati dalla presentazione di queste prove, per cui non si conosce il destino del vaccino nel corpo in cui è stato iniettato.

Le fasi 2 e 3 di solito sono separate perché la fase 3 è fatta con numero più grande di volontari. Con i vaccini, i gruppi che sperimentano la fase 2 e soprattutto 3 devono essere abbastanza numerosi da consentire di vedere una differenza nel rischio di contrarre la malattia. Inoltre, studi sulla sicurezza in piccoli numeri non sono predittivi di eventi rari, che possono essere rilevati solo in ampi studi di fase IV condotti dopo l’immissione in commercio di un vaccino. Si dovrebbe quindi continuare a monitorare attentamente i risultati e una migliore farmacovigilanza dovrebbe far parte dello sviluppo di qualsiasi vaccino. I tempi di esecuzione degli studi dipendono dalla velocità e dall’accuratezza con cui li si porta avanti, ovviamente.

Nel caso dei vaccini anticovid, tutti gli esperti sostengono che i tempi sono stati straordinariamente accorciati rispetto alle normali fasi di studio di un vaccino, che normalmente richiedono da 5 a 10 anni. La pubblicazione su una rivista scientifica di un lavoro di ricerca sottoposto a revisione ‘tra pari’  (peer-review) non sarebbe strettamente necessaria per l’autorizzazione, ma è ovviamente fondamentale in casi come quello di cui stiamo parlando per la sua rilevanza su tutta la popolazione mondiale e per permettere un confronto aperto e trasparente dei vari prodotti in competizione. Sinceramente, dubito che la procedura aperta e trasparente sia tenuta in considerazione per i vaccini in arrivo, ma ci sono molti esperti più illustri di me che hanno la medesima preoccupazione. Finora si conoscono alcuni risultati di fase 1, pochi di fase 2 e nessuno di fase 3 se non alcuni risultati parziali di uno fatto in Brasile. E per quanto riguarda le reazioni avverse ai vaccini, conosciamo solo quelle rilevate in piccoli gruppi e insorgenti nel breve periodo, in genere entro una settimana dall’inoculo”.

 

Stiamo parlando di più vaccini (c’è quello cinese, quello russo e poi quelli europei e americani) che peculiarità hanno e in cosa si differenziano? Che caratteristiche hanno quelli che riguarderanno l’Italia e perché si dice che sono diversi da quelli usati fino a oggi? 

“Confermo che ci sono molti tipi diversi di vaccini, in fasi diverse di studio e sperimentazione. Per l’Italia, in particolare, sono previsti vari vaccini, di diverse tipologie che sono raggruppabili in tre tipi:

A) Vaccino AstraZeneca/Università di Oxford (ChAdOx1nCov-19 coltivato in linea cellulare HEK293 da aborto) e Johnson§Johnson (Ad26, coltivato in linea cellulare Per.C6 da aborto), fatti con Adenovirus non replicanti, che portano una sequenza RNA della proteina ‘spike’ del virus SARS-CoV-2. Anche quello russo ‘Sputnik’ (fatto con due diversi adenovirus Ad5 e Ad26)  e il nuovo ‘Italiano’ (GrAd-Cov2) sono di questa concezione. Il virus “vettore” entra nelle cellule (non si sa quali) e le induce a produrre quel pezzo di proteina spike che va a innescare la risposta immunitaria.

Il problema qui è che la prima risposta immunitaria attesa è verso le stesse cellule che producono la proteina virale con possibili conseguenze auto-immunitarie.

Inoltre c’è il problema etico dell’uso di cellule ottenute da un aborto volontario che sono usate per coltivare gli Adenovirus di tutti questi vaccini. Secondo la Chiesa, un vaccino fatto provocando deliberatamente un aborto potrebbe (forse) essere accettabile da un credente solo se non esistessero valide alternative. Da questo punto di vista, sarebbe importante che non si stabilisse un monopolio come avviene per i vaccini a virus vivi iniettati nei bambini, tra i quali non esiste possibilità di scelta, né di obiezione di coscienza, da parte dei genitori o dei medici. Oltre alle questioni di coscienza, c’è un ulteriore problema tecnico per il fatto che le cellule HEK293 derivate dall’aborto sono di tipo nervoso e quindi piccole quantità di contaminanti di proteine o acidi nucleici umani (inevitabili in questi vaccini) vengono iniettate nel corpo assieme al virus vettore, con conseguenze ancora da valutare.

B) Pfizer-Biontech, Moderna e CureVac fatti con un RNA messaggero, prodotto ‘in vitro’ inserito in speciali nanoparticelle fatte di lipidi (grassi) capaci, una volta iniettate, di trasportare un RNA messaggero nella cellula umana, inducendola a produrre la proteina spike codificata dal messaggero.

Qui si evita il problema etico, ma gli altri sostanzialmente sono simili a quelli del punto sopra menzionato. Tanto è vero che gli studi di fase 1 hanno evidenziato effetti avversi, piuttosto frequenti, più o meno dello stesso tipo e nelle stesse proporzioni del vaccino adenovirale, con risultati leggermente peggiori per CureVac. Probabilmente tra i diversi competitori prevarrà sul mercato quello che avrà il minor prezzo e la maggiore facilità nel trasporto e stoccaggio. Speriamo che alla fin fine le scelte saranno indirizzate verso i vaccini che mostreranno il migliore profilo benefici/rischi nel medio-lungo periodo e non secondo altri ‘criteri’.

C) Sanofi-GSK fatto con una proteina spike ‘ricombinante’, cioè prodotta dai batteri e poi purificata e coniugata con un ‘adiuvante’ (AS03) fatto di sostanze come lo squalene (una sostanza organica ricavata dal fegato di squalo) capaci di stimolare fortemente il sistema immunitario nel momento in cui si introduce l’antigene. Il vaccino è un po’ in ritardo rispetto agli altri, ma non è detto che non possa recuperare il tempo perduto, perché dietro c’è una grande ‘potenza’ industriale.
Questo vaccino vanta maggiore esperienza nell’uso dell’adiuvante nella vita reale, fatta con l’antinfluenzale. In teoria, un vaccino di questo tipo potrebbe avere meno effetti avversi, perché non inserisce alcun RNA nelle nostre cellule e quindi non si dovrebbe presentare il problema del rischio di autoimmunità menzionato per gli altri due. Il problema non è, però, assente perché la proteina spike del virus ha molte omologie strutturali e sequenze di aminoacidi comuni a proteine umane e quindi la risposta immunitaria potrebbe dirigersi verso sostanze del corpo umano diverse dal virus, particolarmente in soggetti che abbiano una predisposizione genetica, come avviene per altri vaccini. Va precisato che anche nell’infezione da virus ‘selvaggio’ sono stati segnalati meccanismi patogeni che implicano autoimmunità.

Ci sono tanti altri vaccini in varie fasi di sperimentazione, ma qui ricordo solo una cosa alquanto curiosa. Esistono dei vaccini già ampiamente utilizzati in Cina e Brasile nonché in vendita in Internet. Questi sono stati fabbricati con i virus SARS-COV-2 ‘veri e propri’, inattivati e legati all’adiuvante alluminio idrossido. Vaccini della vecchia generazione, diciamo. La cosa curiosa è che questi vaccini sono fatti solo in Cina e per produrli c’è stato bisogno di coltivare quantità enormi dello stesso virus che ha provocato la pandemia. In altre parole, i cinesi sono stati i primi a diffondere il virus (lasciamo perdere come sia successo, che non è ancora chiaro), gli unici a coltivarlo su scala industriale e i primi a vendere il vaccino fatto con lo stesso virus. Altrettanto curioso è il fatto che siano coloro che hanno sofferto meno per la pandemia”.

 

Al di là delle dichiarazioni dei produttori, al momento ci sono prove di efficacia e di sicurezza per i vaccini di cui si sta parlando? Le apprensioni concernenti il possibile inserimento del RNA virale nel genoma umano possono essere smentite? Ci sono studi sugli effetti avversi o si tratta di farmaci dalla tecnologia totalmente nuova e la cui somministrazione alla popolazione sarà un esperimento vero e proprio?  

“Le prove di sicurezza di fase 1 ci sono per i vaccini dei tipi A e B sopra menzionati e sono piuttosto preoccupanti, anche se non sono riportati ufficialmente casi letali che siano attribuiti ai vaccini.

Le apprensioni per la sicurezza dell’inserimento del RNA virale nelle cellule e del suo funzionamento come messaggero le ho menzionate sopra. Personalmente, non credo che esista un grosso rischio di inserimento “nel genoma umano” perché l’RNA messaggero dovrebbe funzionare solo nel citoplasma, senza trascriversi in DNA. Che poi ciò possa ugualmente avvenire per meccanismi che non conosciamo bene (es. intervento di qualche ‘trascrittasi inversa’ data da altri virus) non mi sentirei di escluderlo in linea di principio. Inoltre, per passare nella linea germinativa dovrebbe succedere proprio nei gameti, il che sarebbe ancora più raro e inconcepibile. Trattandosi di un’eventualità disastrosa, ovviamente va tenuta presente come ‘worst scenario’ e non va sottovalutata.

Non c’è dubbio che la somministrazione alla popolazione di un nuovo vaccino sarà un vero e proprio esperimento (precisamente saremmo nella fase 4 della sperimentazione).

Voglio essere chiaro: non c’è niente di male nel fare un esperimento sulla popolazione! La medicina è anche una scienza sperimentale ed è sempre avanzata mediante le sperimentazioni, con solo tre vincoli: che siano tecnicamente ben fatte, che siano aperte ad accogliere risultati negativi e che siano etiche. La eticità, che dovrebbe essere certificata da un comitato indipendente, ha come PRIMO presupposto che la partecipazione sia volontaria. Anche per questo, la vaccinazione anticovid deve essere fatta solo ed esclusivamente a volontari e non deve essere introdotta alcuna forma di forzatura o penalizzazione per chi non intendesse partecipare all’esperimento.

Aggiungo che la proposta di vaccinazione deve essere corretta, nel senso di non far credere a chi intende vaccinarsi che il beneficio sia sicuro. Solo dopo la fase IV si potrà dire, con una certa probabilità, QUANTO sia sicuro. La scienza farmacologica è statistica e quantitativa. Mi pare quasi assurdo doverlo ricordare, se non fosse che sui canali pubblici si sentono ogni giorno proclami di segno diverso da parte di politici o opinionisti.”

 

Possiamo chiarire la questione dell’immunità? Stiamo sentendo dire che è necessario raggiungere un’adeguata immunità di comunità, cosiddetta di ‘gregge’, per evitare l’obbligatorietà del vaccino. Qual è la soglia che la definisce? Dopo una malattia come la COVID-19 restano anticorpi, tant’è che vi sono anche i donatori di plasma, ma per quanto tempo durano? Cosa si sa invece della durata degli anticorpi indotti dalla vaccinazione? 

“Finché non ci sono i dati non possiamo sapere molto. Sull’immunità di gregge c’è un’enorme confusione che ho posto in luce anche nel caso dei vaccini dell’infanzia. Essa consiste nella protezione dei non vaccinati quando una sufficiente quantità di persone è immunizzata per via naturale o per vaccinazione, in modo tale che l’immunità della popolazione interrompe la diffusione del virus.

Però essa presuppone vari aspetti tecnici importanti tra cui:

1) essa scatta solo oltre una certa SOGLIA di immunità, cioè oltre una percentuale di popolazione che ha raggiunto l’immunità: al di sotto di questa soglia (es. 95% per il morbillo e molto meno per la maggior parte delle altre malattie) non si può parlare di immunità di gruppo;

2) se il vaccino è efficace, l’immunità di gregge non protegge i vaccinati, i quali sono protetti dal loro vaccino: pertanto chi intende vaccinarsi non deve obbligare un altro a vaccinarsi con l’argomento che l’altrui vaccinazione serve a se stesso (qui c’è solo il problema degli immunodepressi che comunque è affrontabile tecnicamente in vario modo e si pone solo coi vaccini a virus vivi attenuati, si può leggere a riguardo il lavoro mio e di Alberto Donzelli);

3) se il vaccino non è abbastanza efficace o non interrompe i contagi, l’immunità di gregge non si raggiunge mai, pertanto è inutile parlarne e certo non può essere invocato questo argomento per convincere o costringere qualcuno a vaccinarsi”.

 

Se tutti i virus mutano per adattarsi alla nostra specie e difendersi dal nostro sistema immunitario, anche se il vaccino fosse efficace, non rischia di non esserlo più dopo 6 mesi/un anno? Ci dovremo allora vaccinare tutta la vita?

“Certo sono possibili diversi scenari, dal più favorevole in cui va tutto bene, al peggior fallimento di tutta la campagna, Dio non voglia per l’insorgenza di problemi di sicurezza inaspettati.

Personalmente ritengo che nessun vaccino darà una protezione a lungo termine, sia per le probabilissime mutazioni del virus che una vaccinazione di massa non farebbe che incentivare per la pressione evolutiva, sia perché non si è mai visto un vaccino con virus inattivati o con pezzi di virus o batteri dare protezioni per tutta la vita.

L’immunità potrebbe forse mantenersi nel caso in cui il soggetto vaccinato subisse dei nuovi ‘incontri’ con un virus circolante perché in tal modo riceverebbe un involontario richiamo. Ma se il virus subisse delle mutazioni, anche per la pressione esercitata dalla vaccinazione sistematica della popolazione, ecco che ci troveremmo di fronte allo scenario di proposte vaccinali ripetute negli anni, con tutto ciò che ne consegue in termine di rischi.

Ricordo che l’unico vaccino che ha probabilmente consentito di eradicare (o quasi) una malattia è stato quello vivo attenuato della polio (OPV), il quale però aveva una caratteristica che nessun vaccino ha mai avuto; si diffonde per via orofecale e ‘infetta’ le persone non vaccinate. Questo vaccino ha però il difetto di subire mutazioni che fanno tornare il virus in una forma patogena. I bambini africani ancora colpiti da paralisi flaccida dopo il vaccino ne sanno qualcosa, come le persone italiane che hanno subito il danno da vaccino nei decenni dal 1960 al 1980 circa, prima che l’OPV fosse sostituito dall’attuale vaccino con virus inattivato. Il vaiolo è stato definitivamente eliminato con l’isolamento degli infetti e la vaccinazione ad anello negli ultimi focolai”.

 

Nel mese di novembre sul New York Post è stata pubblicata un’intervista al Chief Medical Officer di Moderna che ha avvisato che “non è stato provato che il vaccino possa prevenire la diffusione del virus”.  Sempre nel mese di novembre anche la rivista Lancet ha pubblicato uno studio che esprime dubbi sui vaccini in arrivo. Quali sarebbero allora, allo stato delle conoscenze attuali, i benefici che si vogliono, e si possono REALMENTE ottenere, con questi farmaci? 

“Quella dello studioso di Moderna è una ammissione onesta e corretta. Parlando col dottor Alberto Donzelli egli mi ha ricordato che proprio questo è un argomento ‘forte’ di prudenza e di ricerca scientifica. Come avviene per altri vaccini tra cui notoriamente quello della pertosse, come dimostrato in un lavoro scritto da me, Alberto Donzelli e Vittorio Demicheliè possibile che il microbo continui a albergare nelle vie respiratorie del vaccinato, il quale ha solo meno sintomi del ‘vero’ malato; in tal caso, mentre il malato sta a casa in isolamento, il soggetto vaccinato può inavvertitamente diffondere il contagio fra i suoi contatti. Per questo con la pertosse l’immunità di gregge non è possibile e il vaccino riduce i sintomi della malattia per l’individuo vaccinato. Anche altri esperti, come il prof. Antonio Cassone già direttore del dipartimento di malattie infettive dell’ISS, hanno sostenuto questo concetto.

Nel caso del COVID-19, questo grave problema potrà essere risolto solo ed esclusivamente dall’osservazione del comportamento del vaccino ‘sul campo’, se saranno fatte apposite e accurate ricerche. Un motivo in più perché i responsabili della sanità pubblica considerino il periodo dopo l’immissione in commercio dei vaccini come un periodo di stretta sperimentazione di fase IV e non, come si sente ribadire in continuazione sia da politici che da opinionisti televisivi, la salvezza dell’umanità”.

 

Dunque, allo stato delle conoscenze attuali, possiamo affermare che il vaccino anti-covid sia “un bene comune” – come sostiene il Ministro Speranza – in grado di portare benefici certi, oppure bisognerà considerare l’osservazione del comportamento dello stesso “sul campo”, le reazioni che provocherà nel breve, medio e lungo periodo? Quali saranno, invece, i costi per i bilanci della sanità e quindi anche per le nostre tasche? 

“Che sia un bene comune si vedrà. Come ho accennato sopra la fase attuale è ancora di sperimentazione sull’uomo (confronto tra vaccino e placebo in grandi gruppi) e non conosciamo bene né l’efficacia né i rischi, come evidenziato da vari autori su riviste scientifiche autorevoli. A solo titolo di esempio cito un punto dei risultati parziali del vaccino Pfizer appena emanati dalla FDA americana. Mentre una certa efficacia generica del vaccino pare probabile, le valutazioni cambiano se si guarda ai casi più gravi di malattia. Su 18.198 vaccinati si è verificato finora un caso di covid-19 grave, mentre su 18.325 soggetti del gruppo placebo si sono verificati tre casi. In pratica la vaccinazione avrebbe consentito di avere un caso in meno di malattia grave ogni 9.000 vaccinati. L’efficacia che viene riportata sarebbe del 66% ma non è statisticamente significativa. Inoltre non sono forniti dati sull’eventuale effetto del vaccino nella trasmissione interumana del virus.

Per quanto riguarda i costi sono certamente altissimi, anche se in parte sono stati già pagati in anticipo per accaparrarsi il diritto alle forniture e le priorità. Non conosco cifre precise, ma non credo di essere molto lontano dal vero dicendo che il costo di una dose potrebbe essere piuttosto elevato, cui si deve aggiungere tutto ciò che serve e il personale per la distribuzione e somministrazione.

Ovviamente, se questo servisse veramente ad un gran numero di persone, il costo sarebbe un argomento secondario, pur considerando che le risorse comunque limitate vengono già deviate da altri interventi verso i vaccini”.

 

I rischi vaccinali si misurano con la vaccino-vigilanza. Il ministro Speranza ha annunciato che l’Aifa predisporrà un comitato scientifico che, per tutto il periodo della campagna vaccinale, avrà il compito di analizzare i dati raccolti. Finora questo sistema di vaccino-vigilanza è stato efficiente in Italia e negli altri paesi?

“Quello della vaccino-vigilanza è un argomento determinante per la fase IV di cui ho parlato. Purtroppo qui devo toccare un punto dolente. La vaccino-vigilanza è fatta con metodi antiquati, perché si basa fondamentalmente sulla segnalazione ‘spontanea’ delle reazioni avverse. Inoltre, per gli eventi avversi gravi dopo la vaccinazione si procede ad una analisi del ‘nesso di causalità’ che dovrebbe accertare se la causa della patologia riscontrata è proprio il vaccino o sono state altre cause. Questo argomento è molto delicato e spesso succede che una reazione avversa venga attribuita a cause diverse, come ho dimostrato in un recente lavoro pubblicato su rivista peer-reviewed che si può leggere online e scaricare gratuitamente.

Ad aggravare la situazione sta il fatto che il tipo di vigilanza ‘spontanea’ funziona malissimo e rileva una minima frazione di quanto avviene nella realtà. Chi avesse dei dubbi su questa affermazione potrebbe leggersi attentamente i rapporti AIFA degli ultimi anni e un recente testo scritto da me e dal dr. Donzelli sulla vigilanza delle reazioni avverse al vaccino del morbillo-parotite-rosolia-varicella.  Nel lavoro citato abbiamo scritto che sono assolutamente necessari programmi di sorveglianza attiva in campioni rappresentativi di popolazione, con risultati presentati separatamente da quelli di segnalazione spontanea, e la valutazione della causalità deve essere eseguita con attenzione e utilizzando una tecnica corretta per eventi gravi che si presentassero come malattie complesse e multifattoriali, come quelle autoimmunitarie e con gravi disturbi neurologici.

Mi fa piacere che il ministro abbia annunciato che l’AIFA predisporrà un comitato scientifico e mi farebbe altrettanto piacere sapere cosa pensa l’Agenzia a riguardo dei problemi posti dai difetti della farmacovigilanza, cui ho fatto cenno. In passato inviai le mie preoccupazioni all’Agenzia senza avere riscontro e resto comunque disponibile a offrire la mia consulenza, gratis, se ci fossero dei casi particolari in cui servisse il parere di un patologo generale”.

 

Nonostante gli entusiasmi delle case farmaceutiche e i proclami politiciun numero sempre maggiore di esponenti della comunità medica e scientifica sta manifestando dubbi e lanciando l’allarme sui possibili rischi. Anche la principale rivista medica inglese, il British Medical Journal, si espressa in merito attraverso il commento di Peter Doshi, Associated Editor. Qual è la Sua posizione Professor Bellavite? Lei si vaccinerà? 

“Credo proprio che non mi vaccinerò, sia perché ho paura degli effetti avversi conoscendo il mio sistema immunitario, sia perché credo in altri metodi di prevenzione. Però sia chiaro che questa è una mia scelta personale e non intendo sconsigliare alcuno/a di sottoporsi all’immunizzazione artificiale; chiedo solo, da scienziato, che la ‘fase post-marketing’ sia eseguita coi criteri di prudenza e scientificità cui ho sopra accennato.

Mentre qui dei politici in vista chiedono il silenziamento di coloro che osano sollevare dubbi sui vaccini, Peter Doshi commenta i risultati ‘annunciati’ da Pfizer e Moderna.

In estrema sintesi i risultati dei vaccini Pfizer e Moderna – in base alle dichiarazioni dei produttori – segnalano un’efficacia dei loro vaccini come riduzione del rischio relativo  (cioè la differenza tra vaccinati e non vaccinati), NON una riduzione del rischio assoluto (cioè la riduzione del rischio di ammalarsi veramente per una singola persona che si vaccina), che sembra essere una riduzione del rischio individuale inferiore all’1%. In secondo luogo, i risultati annunciati si riferiscono al covid-19 di qualsiasi gravità e non alla capacità del vaccino di salvare vite umane, né alla capacità di prevenire l’infezione, né all’efficacia in sottogruppi importanti (ad es. anziani fragili). Terzo, questi risultati riflettono un punto temporale relativamente precoce dopo la vaccinazione e non sappiamo nulla delle prestazioni dei vaccini a 3, 6 o 12 mesi. Doshi dice che gli studi stanno mirando all’obiettivo sbagliato, e sottolinea l’urgente necessità di correggere il corso delle sperimentazioni, studiando obiettivi più importanti come la prevenzione delle malattie gravi e la trasmissione tra persone ad alto rischio.

Mentre la discussione si sposta già sulla distribuzione del vaccino, non dobbiamo perdere di vista la necessità di avere le PROVE, con un controllo indipendente dei dati sottostanti.

Il recente incidente di ‘mezza dose’ nello studio del vaccino covid-19 di Oxford è stato apparentemente notato solo a causa di effetti collaterali più lievi del previsto. Nello studio col vaccino Pfizer, più della metà dei vaccinati ha sperimentato mal di testa, dolori muscolari o brividi, segno di reazioni piuttosto violente, ma con ampi margini di errore intorno ai dati. Il comunicato stampa di Moderna afferma che il 9% ha sperimentato dolori muscolari sistemici di GRADO ‘3’ e il 10% affaticamento di grado 3. La dichiarazione di Pfizer ha riportato che il 3,8% ha sperimentato stanchezza di grado 3 e il 2% mal di testa di grado 3. Gli eventi avversi di grado 3 sono considerati GRAVI, definiti come effetti che impediscono di svolgere l’attività quotidiana”.

 

È chiaro a molti che la situazione richiede una valutazione più accorta del rapporto rischi-benefici eppure i miliardi in gioco spingono alla fretta di inoculare i vaccini anti-covid e il terrore diffuso indurrà parecchie persone a farseli iniettare. Già si paventa  la possibile obbligatorietà, nel caso non sia raggiunto un numero sufficiente di vaccinati, e si parla di ‘passaporto vaccinale’. Addirittura qualcuno è arrivato a negare le cure per chi non si vaccinerà, si sta creando un clima sociale pericoloso, quasi si sta inculcando l’odio verso chi prova a vederci chiaro e a farsi domande, peraltro del tutto razionali. 

Il copione e gli attori sono gli stessi dei tempi della legge Lorenzin del 2017 e le vergognose radiazioni dei medici cui abbiamo assistito sono state, forse, solo un piccolo assaggio di cosa potrebbe presto succedere ancora. Non trova sconcertante che un cittadino o un medico, in Italia, non possano avanzare delle perplessità? Come fermare questo clima isterico? 

“Le preoccupazioni sono legittime. Il caso che lei ricorda della legge ‘Lorenzin’ 119/2027 è emblematico: si trattò di una operazione iniziata nel 2014 sotto pressioni internazionali (sta scritto nella presentazione della legge e nei documenti AIFA), comprendente la nomina a capo della prevenzione del Ministero di un membro del consiglio di amministrazione della Fondazione Smith-Kline legata alla multinazionale Glaxo, incaricato di organizzare i calendari vaccinali in vista della stretta sull’obbligo. Nel 2016, la Federazione dei Medici emanò un documento sui vaccini prospettando sanzioni disciplinari per i medici ‘non allineati’. Nella primavera del 2017 partì una massiccia campagna mediatica per una epidemia di morbillo attribuita al presunto calo di vaccinazioni, mentre si trattava di un aumento di casi ricorrente in questa malattia, indipendente dalla coperture vaccinali come ho dimostrato in una relazione che deposi alla commissione Igiene e Sanità del Senato. La ministra dichiarò due volte in televisione che in Inghilterra c’era stata una epidemia di morbillo con duecento morti, dato non vero. Ai primi di giugno fu emesso un DPR senza reali motivi di necessità e urgenza, per finire all’approvazione dell’obbligo vaccinale a fine luglio 2017.

Va notato, inoltre, che nella legge sta scritto che l’obbligo sarebbe stato rivisto dopo tre anni, cioè nel 2020, ma non è stato fatto nulla. Ho sentito alte autorità europee dichiarare esplicitamente che ci vuole un ‘grande reset’ della società e dell’economia e che i vaccini sarebbero uno dei capisaldi per questo nuovo ordine mondiale. Il che sinceramente mi preoccupa più della paura di qualche effetto avverso di vaccini OGM. Per fermare queste tendenze e rasserenare il clima sociale ci vorrebbe un intervento di qualche alta autorità morale o religiosa”.

 

In questi mesi si è sentito parlare solo di vaccino come ‘unico modo per tornare alla normalità’. Non si è dato peso alle cure possibili, non si è mai menzionata né tuttora si ragiona di prevenzione: non si parla dell’importanza della qualità del cibo, dell’aria, dell’acqua che invece sono le prime naturali barriere verso qualsiasi malattia. Non si fa cenno alcuno agli stili di vita salutari, non si insegna a rafforzare il sistema immunitario. Ci sono invece molte sostanze che possono essere d’aiuto per ottimizzare anche la resistenza alle infezioni respiratorie e studi scientifici che lo dimostrano. Nel concludere questa intervista può dare ai lettori qualche indicazione in merito?

“Ci sarebbero tante cose da dire, anche sull’attività fisica regolare, le tecniche di relax e massaggi, i ricambi d’aria, le igienizzazioni delle superfici, ma mi soffermo solo su un punto che riguarda la dieta: un’alimentazione sobria, sana ed equilibrata è ricca di principi attivi che possono sostenere il sistema immunitario, comprese le giuste dosi di vitamine (A,E,C e D), zinco e flavonoidi, la cui utilità è stata riportata dalla letteratura medica in tante condizioni di stress del sistema immunitario, comprese le malattie virali.

Per quanto riguarda eventuali integratori tra le sostanze più promettenti cito, ad esempio, l’acetilcisteina, che ha dimostrato di essere efficace nella prevenzione dell’influenza e che molti autori ritengono possa giocare un ruolo anche nella prevenzione del COVID-19, se solo venisse meglio studiata e sperimentata. Ma nelle recenti linee-guida del Ministero si legge che gli integratori non sarebbero raccomandabili perché a loro dire non vi sarebbero ‘evidenze solide’, concetto ovvio, ma anche discutibile nel caso di una malattia nuova.

Per richiamare l’attenzione su questo problema, col dr. Donzelli abbiamo scritto un articolo su una rivista internazionale di alto livello ‘Antioxidants’ in cui abbiamo descritto le salutari proprietà dell’esperidina e della vitamina C presenti negli agrumi, che sono oltretutto dei frutti della nostra dieta mediterranea.

Anche se non c’è la ‘prova’ di efficacia di sostanze nutraceutiche nel COVID-19 – anche perché il grosso delle sperimentazioni, per non dire tutte, salvo pochissime eccezioni, sono fatte da case farmaceutiche sui loro farmaci – è indubbiamente triste che la popolazione sia stata lasciata per tanto tempo priva di indicazioni proprio su questo argomento che, invece, avrebbe potuto costituire uno dei capisaldi della prevenzione”.


FONTE: https://valentinabennati.it/vaccinazione-anti-covid-sara-un-vero-e-proprio-esperimento/

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