La globalizzazione è spacciata

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DI RAUL ILARGI MEIJER
theautomaticearth.com
Leggo molto, e l’ho fatto per anni, di finanza e argomenti affini (e sono molti), il che significa che mi sono inevitabilmente imbattuto in cataste di discorsi insensati. Ma per qualche ragione, e credo di sapere il perchè, il Q3 del 2016 (third quarter, suddivisione dell’anno per la finanza e le imprese in quattro quarti, Q3: 1 Luglio – 30 Settembre, ndt) si piazza per un posto in cima (o in fondo) a questa lista, e il Q4 (fourth quarter, ultimo periodo dell’anno, ndt) è piazzato benissimo per fare ancora meglio/peggio.
A parte la crescente quantità di discussioni “politiche” smidollate, che nemmeno meritano la definizione, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, ed oltre, ci sono le organizzazioni transnazionali, quali NATO, FMI, UE, e via discutendo, che appaiono ciascuna soffocata dalla propria hybris, tutte questioni che ho affrontato in passato (https://www.theautomaticearth .com/2016/08/globalization-is- dead-but-the-idea-is-not/https://www.theautomaticeart h.com/2016/09/why-there-is-tru mp/) ma apparentemente senza ottenere alcuna risonanza.
La fine della crescita espone nella sua nudità la stupidità e ignoranza di tutti, tranne (e anche qui per cautela, dico forse) pochi e preziosi nel numero dei nostri leader. Non poteva, in un certo senso, andare diversamente, perchè un’era di crescita fa semplicemente affiorare ai vertici gente diversa da quella che invece può venire espressa in momenti di contrazione. Penso saremo d’accordo su questo punto.
I leader in periodo di crescita non devono fare altro che “sedurre” i votanti alla persuasione che siano capaci di fare in modo che tale crescita continui e possibilmente crearne di più (anche se in realtà non hanno nessun controllo su essa). Tutti possono reggere il gioco. E in fatti chiunque sia sufficientemente ben agganciato ai meccanismi di potere può potenzialmente aspirare al ruolo.
I leader in tempi di contrazione hanno davanti difficoltà ben più sostanziali; gli tocca convincere i votanti di essere in grado di minimizzare “le sofferenze delle masse”. Una massa priva di garanzie alla quale chiaramente nessuno vuol ritrovarsi a fare parte. E lì è proprio difficile “vendersi”.
Ogni fine di un ciclo di crescita deve cambiare e pertanto inevitabilmente cambierà la struttura democratica, qualsiasi società democratica, anzi qualsiasi società in generale. Condurrà a nuovi partiti e nuovi leader e non ci sarà da sorprendersi se tali partiti inizieranno a mettere in discussione la struttura stessa della configurazione democratica di cui sono parte, se non altro perchè quella struttura è già soggetta a cambiamenti in ogni caso.
La stretta connessione tra un’era di crescita economica (e/o contrazione) e i politici al potere durante tale fase, si riflette nell’affermazione di Hazel Henderson: “l’economia non è altro che un travestimento della politica“.
Da un lato ti trovi la classe al potere che tenta di tenersi stretta al suo potere in declino, producendo falsi numeri positivi a vagonate e sostenendo che comunque non esiste alternativa possibile alla loro (semmai soltanto dosi maggiori della stessa ricetta) e dall’altro lato c’è una vaga affiliazione, nella misura in cui si può parlare di affiliazione, di destra e sinistra, individui e partiti, in grado di subodorare cambiamenti in corso che potranno usare a proprio beneficio.
Soltanto che non sanno ancora come fare uso delle proprie possibilità. Ma troveranno il modo, quantomeno alcuni tra essi lo troveranno. Accusare persone o gruppi di persone per tutto ciò che non va sarà la prima maniera di manifestarsi, perchè è semplicemente facilissimo. Questo è il perchè la classe al potere, i partiti tradizionali, inizieranno progressivamente ad estinguersi: gli verranno addossate le colpe, e perlopiù meritatamente, per la caduta del sistema economico.
Questo sarà il criterio principale: se sei percepito come parte della vecchia guardia, sei fuori. Non succede certo in un battito, ma in ogni caso l’ascesa di Trump, Farage e simili è stata molto più veloce di quanto chiunque potesse pensare fino a tempi recenti.
Si nutrono di discontento, ma sono in grado di farlo soltanto perchè questo discontento è stato del tutto ignorato dalle classi dominanti di ogni luogo. Il che ha molto ha che fare con il fatto che tali governanti si sono senza dubbio arricchiti, mentre i “piani bassi” della società sicuramente no.
Inoltre, se il più della gente potesse ancora vantare comode esistenze da classe media, l’ostilità a migranti e rifugiati sarebbe stata ben minore che i vari Trump, Wilders, Le Pen o Alternative fur Deutschland non avrebbero trovato le loro  miniere d’oro. La percezione che i nuovi arrivati siano a qualche titolo responsabili del peggioramento delle condizioni di vita crea terreno fertile per chiunque voglia servirsene.
E siccome la sinistra estrema ideologicamente non tocca l’argomento, la destra si prende tutto per assenza di concorrenza. Bernie Sanders e Jeremy Corbyn possono anche avere idee coraggiose in materia di redistribuzione della ricchezza, ma c’è tuttora eccessiva resistenza a misure di questo tipo, da parte delle classi al potere e dei loro votanti, per avere qualche possibilità di farne qualcosa in concreto.
Chiaramente i partiti di destra tradizionali sono anch’essi coscienti dell’opportunità, anche Hillary (si, certo.. è di “sinistra”….), Theresa May, Sarkozy, la Merkel stanno tutti orchestrando sagge virate verso destra, allontanandosi dalle, un tempo confortevoli, sedie al centro. Hanno tutti il sentore che il potere non emanerà più dal centro, ed è certamente molto il potere, e molto meno i principi, ciò che gli interessa.
Ma abbiamo detto a sufficienza a proposito di politici e partiti, sicuramente destinati a essere spazzati via dal voto popolare. Ben più difficile sarà sbarazzarsi delle organizzazioni transnazionali, come l’UE o l’FMI (e molte altre) nonostante che esse rappresentino un progetto fallito probabilmente ancora di più che soggetti assetati di potere a un mero livello locale o nazionale. Il principio guida è semplice: A cosa hanno portato i tentativi di centralizzazione? Alle attuali economie in contrazione.
A questo scopo, diamo un’occhiata a un articolo di Bloomberg a caso sull’ultimo incontro dell’FMI di questa settimana, e le “opinioni dell’esperto” su esso:
I leader affrontano una minaccia esistenziale all’ordine mondiale al convegno dell’FMI (titolo del pezzo)
Le elite decisionali mondiali convergono su Washington questa settimana per degli incontri che toccheranno la spinosa situazione che la fede nella globalizzazione è ormai a disagio di fronte alle evidenti disparità che crea. Dal voto Britannico a favore dell’uscita dalla UE, a Donald Trump che avanza al grido di “l’America prima di tutto”, aumentano le pressioni per porre un freno e ridurre l’integrazione economica, la quale è stata sempre tema all’ordine del giorno per FMI e Banca Mondiale per almeno 70 anni. Alimentata da salari stagnanti e insicurezza lavorativa in costante crescita, la sommossa populista minaccia di gettare definitivamente nella depressione una economia che la dirigente dell’FMI Christine Lagarde ammette essere già adesso “debole, fragile”.
 
La domanda di meno integrazione e più barriere commerciali pone anche dei rischi per i mercati finanziari importanti che restano suscettibili a improvvisi cambiamenti nell’umore degli investitori, come abbiamo notato in occasione dei crolli repentini del titolo di Deutsche Bank causati da incertezze sulla sua tenuta finanziaria. “La rappresaglia contro la globalizzazione si manifesta in sentimenti nazionalisti accentuati, sfiducia per il mondo esterno e desiderio di maggiore isolamento protezionistico”, sostiene Luis Kuijs di Oxford Economics Hong Kong, che è stato in passato anche burocrate del FMI. “Se perdiamo consensi sulla nostra idea del mondo che vorremmo strutturare, il mondo sarà probabilmente peggiore”.
 
Ma il consenso c’è, Louis: un crescente consenso contro lo status quo. Anche questa è una forma di consenso, e dal momento che sostieni che è il consenso ciò che conta, allora siamo apposto, no?
Trovo anche il termine mercati finanziari “importanti” (elevated markets nel testo) interessante, per quanto non ho idea di cosa intenda dire esattamente, tiro a indovinare.
“Nell’ultima analisi dell’economia mondiale (World economic outlook) pubblicatà martedì scorso, il fondo ha sottolineato le minacce poste dal movimento anti-commercio (anti-trade movement) a una espansione globale già compromessa. Dopo una crescita del 3,2% nel 2015, l’espansione dell’economia mondiale rallenterà del 3,1% quest’anno prima di rimbalzare al 3,4% nel 2017, stando al documento, stime che sono rimaste inalterate rispetto alle scorse proiezioni di luglio. Le previsioni per la crescita dell’economia USA sono state ribassate all’ 1,6% quest’anno e al 2,2% nel 2017.
 
“Vorremo vedere la fine di questa preoccupante tendenza al protezionismo nel mondo e maggiori progressi nel guardare avanti stipulando accordi di libero scambio (free trade agreements) e ulteriori misure di stimolo ai commerci. Sostiene Maurice Obstfeld, direttore del dipartimento di ricerca del FMI, in una intervista televisiva a Bloomberg con Tom Keene. Lagarde ha ribadito la scorsa settimana che i rappresentanti politici che saranno presenti all’incontro annuale congiunto FMI-Banca mondiale del 7-9 Ottobre avranno due priorità. Prima: non compromettere, il che significa prima di tutto non cedere alla tentazione di ergere barriere protezionistiche ai commerci. E in secondo luogo, farsi carico di azioni concrete per rilanciare la stagnante economia globale e renderla più inclusiva”.
 
Posso capire che un voto contro i vari Hollande, Hillary, Cameron costituisca una “rappresaglia contro la globalizzazione”. Quello che non capisco è come finisca per essere etichettata come movimento anti-commercio (anti-trade movement). Quando mai un Trump ha espresso sentimenti avversi al commercio? Contro trattati di commercio internazionale esistenti, ed in cantiere, certamente si.
Ma questi trattati non definiscono il significato di “commercio” ad esclusione di ogni altra definizione possibile. Quanto a “protezionismo”, si tratta di un termine formulato per fare apparire qualcosa di normalissimo e possibilmente opportuno come un concetto negativo. Ogni singola società del pianeta dovrebbe proteggere le sue esigenze di base evitando che finiscano sotto il controllo di stranieri, sia per profitto, sia per potere.
Niente di buono può mai venirne dalla cessione di questa facoltà di controllo per nessuna società, assolutamente mai. Non c’è niente di sbagliato con voler proteggere la propria capacità di controllo sul proprio approvvigionamento idrico, autosussistenza alimentare, garanzia di alloggi sicuri, parliamo di cose che, al contrario, non andrebbero mai negoziate o scambiate sui mercati globali.
Quindi se “non compromettere” (do not harm) significa non proteggere le proprie necessità di base, non si tratta che di pretese autoreferenziali e a beneficio dei soli interessati, cortesemente fornite da quel tipo di gente sociopatica i cui comodi ruoli dirigenziali e comodi grassi conti bancari dipendono direttamente nella vostra progressiva perdita di controllo personale sopra le stesse esigenze di base per sopravvivere nella vita.
E’ ciò che accade a ogni organismo che ha raggiunto i limiti della sua crescita: inizia a “nutrirsi dell’ospite”. Che si parli di un tumore, dell’Impero Romano, o dei nostri attuali modelli economici basati sul presupposto della crescita perenne, tecnicamente è lo stesso perchè sono azionati dallo stesso irragionevole principio.
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Vedete la linea che risale in fondo a destra nel grafico? Bene, si chiama previsione di crescita dell’FMI. Sono sempre sbagliate e sempre rivedute al ribasso, al punto di fare dubitare se il termine “previsione” sia appropriato.
Il conseguimento anche di tali modesti obiettivi può dimostrarsi difficoltoso. Il libero scambio è diventato argomento velenoso nella campagna presidenziale USA, dove la candidata Democratica Hillary Clinton al momento è critica nei confronti del trattato di libero scambio con i paesi del Pacifico, non ancora ratificato dagli USA, di cui era grande sostenitrice in fase di negoziazione.
 
Il contendente Repubblicano Trump ha abbaiato contro Messico e Cina, minacciando di innalzare grosse tariffe doganali sulle importazioni da entrambi i paesi. Innervositi dal voto Britannico di Giugno che ha sancito l’abbandono della UE, i leader Europei sono coscienti che potrebbe essere solo l’inizio di un terremoto politico che minaccia le vecchie certezze del continente.
Nel caso voi non lo avesse già intuito, “le vecchie certezze del continente” sono un termine per designare dei precisi obiettivi più che uno stato di cose. Vecchio in tal caso vale a dire non più vecchio, diciamo del 1950, volendo esagerare. Torniamo indietro di 100 anni e “vecchie certezze del continente” significa qualcosa di radicalmente diverso.
Il prossimo anno si terranno le elezioni in Germania e Francia, maggiori economie dell’Eurozona, nonchè nei Paesi Bassi. In ciascuno di questi paesi le forze anti-establishment stanno guadagnando terreno. Insieme al crescente risentimento verso la UE da Budapest a Madrid, osservatori politici hanno giudicato l’attuale avanzata del populismo come la più grande minaccia al blocco (UE) dalla sua creazione, dalle ceneri della sconda guerra mondiale al presente. Vi sono inoltre segnali crescenti che l’Unione e la Gran Bretagna sono indirizzati verso una cosiddetta “uscita dura”, che ridurrà nettamente i commerci dei paesi del blocco, ed i legami finanziari, con l’isola-nazione. Il Primo Ministro Britannico Theresa May ha dichiarato, il 2 Ottobre, che è intenzionata a dare effettivo inizio al ritiro del suo Paese dalla UE nel primo quarto dell’anno prossimo.
Ho già in passato commentato l’utilizzo fuorviante del termine populismo. Nel suo nucleo di significato, vorrebbe dire semplicemente qualcosa come: a nome e a favore del popolo. Come una cosa del genere possa essere presentata come una sorta di minaccia alla Democrazia per me resta un mistero. Sarebbe stato meglio si scegliessero un altro termine, ma si accontentano di questo.
E tra gli accoliti dei media occidentali, il termine abbraccia da Trump a Beppe Grillo con tutto ciò che ci sta in mezzo, passando dall’Ungherese Orban a Nigel Farage, Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, la AFD Tedesca. Tutti questi movimenti, tra essi molto differenti, hanno praticamente una sola cosa in comune: protestano contro uno status quo già fallito e in rapido processo di deterioramento, e ricevono massiccio supporto popolare per questa ragione.
Dal momento che è la gente a portare sulle spalle il peso del fallimento, mai e poi mai coloro che stanno al governo: persino i politici Greci continuano a pagare a sè stessi stipendi relativamente grassi.
 
Quanto alla Gran Bretagna, è un caso studio di completa cecità. Coloro che sono o sono stati fino a tempo recente ben serviti, fossero di destra o sinistra, hanno perso contatto con ciò che accadeva nel mondo intorno a loro da non considerare il Brexit nemmeno una ipotesi lontanamente realistica. E nelle 15 settimane trascorse dal voto a favore del Brexit, tutto ciò che si è fatto in Gran Bretagna è scaricare le colpe su qualcuno, tutto meno sè stessi, per la grave colpa di non essere nemmeno riusciti lontanamente ad immaginare ciò che al contrario era sull’aria e sul punto di accadere.
 
Probabilmente il maggior soggetto beneficiario del libero commercio nella passata generazione, la Cina, continua a mantenere un accesso ristretto a numerose tra le sue industrie-chiave, e gli economisti mostrano preoccupazione a proposito di politiche sempre più mercantiliste. Oltre a questo, la Cina cerca di espandere il suo ruolo nel quadro globale esistente. L’entrata dello Yuan nel paniere delle valute di riserva dell’FMI, sancito il primo di Ottobre, ne è l’esempio più recente. Un conflitto commerciale senza esclusione di mezzi sarebbe disastroso per l’economia Cinese, con le barriere doganali minacciate da Trump capaci di spazzare via qualcosa come il 5% del suo PIL, secondo un calcolo formulato da Daiwa Capital markets.
 
John Williamson, la cui teoria a marchio Washington su libero commercio e deregulation è stato effettivamente l’ethos dominante per FMI e Banca Mondiale per decadi, ha sostenuto che il crash finanziario del 2008/2009 ha ridotto il sostegno all’integrazione economica. “Erano tutti d’accordo sulla globalizzazione prima della crisi e la crisi ha fatto smarrire questo consenso”. Williamson è stato membro anziano dell’istituto Peterson per l’economia internazionale, attualmente in pensione.
 
La crescente opposizione all’integrazione economica è stato alimentato da una ripresa globale insufficiente. “Probabilmente il più vistoso fatto macroeconomico relativo alle economie avanzate oggi è il permanere di un’anemia della domanda nonostante i bassi tassi d’interesse”, scrive l’ex economista capo dell’FMI Olivier Blanchard  la settimana scorsa in una nota per il Peterson institute.
 
Questi esperti dimostrano di avere un sentore che qualcosa non torna, ma nessuno possiede risposte. Cosa che non puoi semplicemente ammettere apertamente se ti ritieni un esperto. Gli esperti devono sempre far finta di sapere tutto, o quantomeno essere coscienti di non sapere ciò che non sanno. Vi era “accordo sulla globalizzazione prima della crisi”, adesso non esiste più, e questo è tutto.
Che è destino che non possano mai più ritornare, nè la globalizzazione nè la sua popolarità, è un passo oltre per tali esperti. Ammetterlo pubblicamente, se non altro. Che Blanchard esprima sorpresa per una “domanda anemica” mentre i tassi d’interesse sono essi stessi anemici è qualcos’altro.
Che entrambe le cose siano due facce della stessa moneta, o quantomeno potrebbe esserlo, dovrebbe almeno citarlo come ipotesi. Vale a dire, tassi d’interesse bassi sono causa di deflazione, nonostante si suppone debbano dare luogo al contrario. Gli economisti sono perlopiù gente con scarsi punti di riferimento.
L’economia globale ha ricavato un pò di sollievo dal semplice fatto di innalzare i tassi di interesse di un blando 3% nella prima metà dell’anno in corso, secondo David Hensley, direttore degli affari economici globali della JP Morgan. Molto stimolo verrà da un alleggerimento dei carichi piuttosto che da una fresca, nuova iniezione di crescita, ha sostenuto Peter Hooper di Deutsche bank securities, ex burocrate della Federal reserve. Le recessioni in Brasile e Russia sono destinate a finire, mentre negli USA i tagli d’inventario e dell’estrazione di gas e petrolio andranno riducendosi. 

Consentitemi di intromettermi sul punto sopra: “alleggerire i carichi” è un concetto privo di senso, come lo è anche l’affermazione che “le recessioni di Brasile e Russia sono destinate a finire”. E’ tutto sogno a occhi aperti stimolato dalle personali speranze dell’autore. Fumaci e bevici sopra e starai bene per qualche ora, il che però, non lo rende assolutamente vero.
“Immagino l’economia mondiale come qualcosa di simile a un’auto in corsa senza conducente e bloccata su una corsia lenta”, ha detto David Stockton, ex burocrate della FED, attuale capo economista dei consulenti LH Meyer. Tutti quanti si sentono passeggeri ma sono piuttosto nervosi, perchè hanno la sensazione di non vedere nessuno alla guida”.
Questa mi è piaciuta particolarmente, perchè non mi aspettavo simili ammissioni da Stockton. Tuttavia credo che la metafora appropriata non sia “auto in corsa senza conducente bloccata su una corsia lenta”, ma piuttosto una delle carrozzine nel carosello di un parco giochi, dove puoi restarci seduto per sempre, potrebbe non fermarsi mai e resterai sempre nello stesso posto. E l’unica parvenza di controllo su questo è il proprietario che ti chiede i soldi se vuoi fare un altro giro.
O in alternativa, per restare in tema parco giochi, è un autoscontro, che ti consente di colpire le altre automobiline ed essere a sua volta colpito, ma non potrà lasciare mai il recinto. Questa è l’economia globale, non va da nessuna parte e nel frattempo i soldi finiscono facilmente e in fretta.
Nonostante tutto, per la prima volta negli ultimi anni, Stockton ha ammesso di avvertire un rischio che la sua previsione di una crescita continua su numeri attorno al 3% per il prossimo anno. E ciò viene dalla possibilità di politiche fiscali più permissive in USA e Europa. In USA, sia Trump che Clinton hanno promesso di incoraggiare la spesa per le infrastrutture stradale, dei ponti e simile. In Europa, l’avanzata populista fornisce un potente incentivo ad abbandonare l’austerità per i governi prima delle prossime elezioni, e  magari oltre. Che una mossa del genere placherà coloro che sono rimasti nel lato perdente della globalizzazione è comunque suscettibile di dubbio.
“Il consenso nei circoli legislativi era che maggiori commerci si traducevano in maggior crescita economica”, ha sostenuto Ding Shuang capo economista Cinese, ex FMI dal 1997 al 2010. “Ma i benefici non sono stati ripartiti equamente, quindi adesso assistiamo a una ondata anti globalizzazinoe, anti libero commercio”. “La globalizzazione rimarrà in stallo, per il momento, almeno finchè non troviamo il modo di distribuirne i benefici”, ha aggiunto.
La globalizzazione è finita. E mentre discutiamo se ciò risponde a necessità o meno, e io continuo personalmente a sostenere che la fine della crescita comporta necessariamente la fine di ogni centralizzazione, globalizzazione inclusa. Il fatto è che la globalizzazione non è mai stata intesa da nessuno come distribuzione di nulla, a parte forse di ricchezza tra le mani delle elites e bassi salari per chiunque altro.
 
L’UE e l’FMI non hanno ottenuto nulla di quanto avevano promesso, come allo stesso modo non l’hanno fatto i partiti tradizionali, in USA, Regno Unito, come in Europa in generale. Hanno promesso crescita e la crescita è finita. Avranno ottenuto risultati per i loro padroni ma hanno perso nei confronti di chiunque altro. 
Il resto è solo aria fritta. Il problema è che non si può assolutamente escludere che arriveranno a servirsi dell’esercito e della polizia, che controllano, per tenersi aggrapparti a ciò che hanno. Anzi, temo sia qualcosa che succederà di sicuro. Ma sarebbe fattibile solo se la società prendesse una strada dittatoriale, e anche lì resterebbe problematico.
Stiamo trascendendo verso uno stadio completamente diverso delle nostre vite, economie, società. La crescita è finita, svanita da un pezzo per farsi sostituire dal debito. Ci vorrà un pezzo per abituarsi. Ma nessuno potrà dire che tutto questo ci ha colto di sorpresa.

Raúl Ilargi Meijer

Fonte: www.theautomaticearth.com

Link: https://www.theautomaticearth.com/2016/10/the-imf-and-all-the-other-losers/

7.10.2016

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

 

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