Il piano economico di Trump non funzionerà

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DI MIKE WHITNEY

counterpunch.org

Il piano economico di Trump sarà buono per l’economia USA ?

Pare che gli Americani siano convinti di si. Secondo un recente sondaggio di Gallup: “Gli Americani hanno aspettative relativamente alte sul presidente eletto… Sostanziali maggioranze (di oltre il 60%) credono che l’amministrazione Trump migliorerà l’economia e creerà posti di lavoro. Una maggioranza esigua (52%) crede inoltre che migliorerà il sistema sanitario”.

Ancor più notevole, a novembre l’indicatore della fiducia dei consumatori è balzato al 93,8 , marcando un significativo miglioramento nell’attitudine generale dei consumatori rispetto all’economia.

Gli analisti attribuiscono questo cambio di prospettiva alla recente elezione presidenziale che ha mostrato una notevole impennata di ottimismo “In tutti i sottogruppi di reddito e di età nel paese”.

“La reazione iniziale dei consumatori alla vittoria di Trump è stata di esprimere maggiore ottimismo rispetto alle loro finanze personali, come pure una percezione più positiva delle loro prospettive sull’economia nazionale”, ha sostenuto Richard Curtin, capoeconomista responsabile del sondaggio.

Dunque non solo la gente concede a Trump il beneficio del dubbio, pensano effettivamente che la loro situazione economica sia destinata a migliorare sotto il nuovo presidente.

Questi risultati sono particolarmente significativi se pensiamo che l’economia l’ha fatta da padrone tra le maggiori questioni che hanno influito sulla scelta nelle elezioni di Novembre, ma che inoltre (secondo un sondaggio Edison Research): “The votanti su cinque sostengono che il paese era decisamente sulla pista sbagliata e circa lo stesso numero sosteneva che percepivano l’economia come né buona né pessima. Due terzi dei votanti hanno sostenuto che la loro situazione finanziaria personale era peggiore o uguale di quello che era quattro anni fa. Circa un votante su tre ha sostenuto che si aspetta che la vita sarà peggiore per la prossima generazione”.

In altre parole, le elezioni hanno rappresentato un referendum sulla gestione dell’economia da parte di Obama, nella quale il 60% degli interrogati ha pensato sia stato un fallimento. Questi risultati suggeriscono inoltre che, se Obama avesse fatto un qualsiasi tentativo di contrastare la stagnazione dei salari, l’erosione dei redditi della classe media, il debito degli studenti, la diffusissima insicurezza economica, oggi Hillary Clinton sarebbe probabilmente presidente. E’ accaduto, al contrario, che fosse l’outsider anti-establishment che ha promesso un fondamentale cambio di direzione a prevalere, Donald Trump.

E’ particolarmente il caso di far notare ciò adesso che sono esplose proteste in varie città americane ed i liberali accusano i sostenitori di Trump di aver votato per un razzista. La maggioranza dei votanti di Trump non ha votato per un razzista (i sondaggi mostrano pure che la maggioranza degli intervistati è a favore della possibilità per immigranti illegali senza documenti di ottenere la cittadinanza USA) e non sono qualificabili come nazionalisti bianchi. Hanno votato per qualcuno che credevano avrebbe cambiato delle leggi in materia economica che ritengono deleterie per i propri interessi. Trump ha vinto l’elezione perchè si è concentrato su questi problemi e sul come risolverli, quelli che interessano alla gente normale, ai lavoratori, mentre si asteneva da fare altre cose come ad esempio andare in escandescenze e accusare i Russi di tutti i mali del mondo. Hillary Clinton ha ottenuto esattamente ciò che si meritava.

Ma adesso la domanda è: potrà Trump ottenere quanto ha promesso?

Non è una questione importante per i soli Americani, ma per la stessa amministrazione Trump che si rende conto che le sue prospettive di successo dipendono in larga parte da un rinnovamento dell’economia. Steve Bannon, che è massimo stratega e consigliere di Trump, sa che non sarà in grado di costituire una coalizione forte e diversificata al suo interno che appoggi la sua rivoluzione politica se prima non si dimostrerà di esser in grado di stimolare la crescita e migliorare le condizioni delle classi meno abbienti. Ecco perchè migliorare l’economia è una priorità assoluta.

Citando lo stesso Bannon:

“I globalisti hanno cestinato la working class americana per creare una classe media in Asia. Il problema per gli Americani adesso è non finire completamente rovinati. Se manteniamo quanto promesso prenderemo il 60% dei voti bianchi e il 40% dei voti Ispanici e Neri e governeremo per 50 anni. Questo è ciò che i Democratici non hanno capito. Parlavano solo a gente che possiede compagnie con 9 miliardi di $ di capitalizzazione di mercato che impiegano 9 dipendenti. Questa non è la realtà, hanno completamente perso di vista cos’è la realtà, di cosa si tratta…”

“Tutto quanto ha a che vedere con i posti di lavoro. I conservatori diverranno matti: io sono quello che spinge per un piano di rinnovo infrastrutturale da 1000 miliardi di $. Con tassi di interesse negativi in tutto il mondo è questo il momento giusto per ricostruire tutto. Cantieri navali, acciaierie, facciamoli ripartire tutti. Ce la metteremo tutta confidando che funzionerà. Sarà eccitante come negli anni ’30, più grosso della rivoluzione Reaganiana: conservatori e populisti in un grande movimento per il nazionalismo economico” (Ringside with Steve Bannon, Hollywood Reporter)

Non pretendo di sapere niente di più su Steve Bannon rispetto a ciò che ho potuto leggere sui giornali e su internet. Ma penso di sapere, tuttavia, che se parlava con sincerità quando parlava di sconfiggere l’establishment corrotto al potere e costruire una coalizione che “governerà per 50 anni” dovrà per forza trovarsi un modo di smorzare i suoi punti di vista duri sull’immigrazione per mettere in atto la sua strategia economica. Mi attendo che Trump si accontenterà di qualche sistema per minimizzare il danno che ha fatto a se stesso e dare più margine di manovra al congresso su come gestire la spinosa questione immigrazione. In sostanza dovrà fare qualche scommessa per poter governare.

Bannon è il maggior architetto del piano economico di Trump, un piano che si è già guadagnato vasto supporto da parte del pubblico, ma un piano che non avrà successo se non largamente modificato. Ed ecco il perchè:

Il piano economico di Trump si può suddividere in tre parti: ridurre le tasse, deregolamentazione, stimolo fiscale.

Per quanto riguarda la riduzione delle tasse, ci sono essenzialmente tre aspetti:

  1. La tassazione delle aziende, che Trump vuole abbassare dal 35% al 15%
  2. Una riduzione fiscale sul cosiddetto “ritorno dei capitali”, che abbassa i tassi da pagare su circa 2000 miliardi di $ di capitali attualmente nascosti all’estero dai business multimilionari intenti ad evadere le tasse alle imprese (di cui sopra) per anni e anni. Trump intende concedere a questi evasori un “giubileo fiscale” una tantum  con una penalità del 10% da pagare per le compagnie che desiderassero rimpatriare i loro capitali in USA. Trump ritiene che questa possibilità, concessa una sola volta potrà aumentare investimenti e lavoro negli Stati Uniti. I critici sostengono che il piano non funzionerà a meno che l’economia non si rafforzi e la domanda cresca.
  3. Trump vuole inoltre ridurre l’aliquota fiscale più alta dal 39,6% attuale al 33%, operando invece solo modeste riduzioni alle altre aliquote. Sotto il piano Trump: “Un contribuente che guadagna tra 48.000$ e 83.000$ risparmierebbe 1000$ all’anno circa, mentre coloro che si trovano nello 0,01% più ricco, ossia coloro che guadagnano più di  3,7$ milioni di dollari l’anno, riceveranno 1 milione di $ l’anno soltanto in risparmio sul fisco” (USA Today).

Ecco una breve sintesi dell’economista Dean Baker:

“Secondo una analisi del Tax policy center del Brookings Institute e dell’Urban Institute, il piano tasse di Trump ridurrà le entrate fiscali di oltre 9000 miliardi (circa il 4% del PIL) nel corso della prossima decade. Questo piano di tagli aggiungerà in effetti circa 800 miliardi al deficit appena entrerà in effetto, e questo crescerà sempre di più nel tempo…”

“Secondo il Tax policy center, oltre la metà dei tagli alle tasse proposti da Trump beneficieranno l’1% più ricco della popolazione. Lo 0,1% più ricco sarà beneficiario di tagli fiscali per quasi 1,5 milioni di $ l’anno. I tagli alle tasse di Trump sono coerenti col principio fondante del partito Repubblicano, che sfortunatamente è anche quello di molti Democratici, che è di mettere più soldi possibili nelle tasche dei ricchi” (Republican deficit hawks abandon their religion, Smirking Chimp).

Come possiamo notare, gran parte dei benefici fiscali promessi andranno agli estremamente ricchi. Come può andare d’accordo con la promessa di campagna elettorale di Trump che:

“Sto proponendo una riduzione fiscale equa che benefici tutti, ma specialmente gli Americani a medio reddito. La riduzione fiscale si concentrerà sulla classe lavoratrice e sulla classe media, saranno loro a riceverne il massimo beneficio”.

I tagli alle tasse suonano come un serio tradimento di Trump ai suoi elettori. Sembrano anche una strategia a medio termine e mal inspirata che deraglierà il piano di Bannon di una grande coalizione basata su forte crescita economica e salari in crescita. Questa ultima iterazione della teoria del Trickle-down (https://it.wikipedia.org/wiki/Trickle-down) non lo aiuterà a raggiungere lo scopo.

Sfortunatamente le restanti parti del piano economico di Trump sono altrettanto pessime. Ad esempio, Trump è determinato a revocare molte delle clausole della legge Dodd-Frank del 2010, il blando provvedimento che il Congresso votò per cercare di evitare un’altra crisi finanziaria. Al momento il membro del Congresso Texano Job Hensarling, vivace critico della Dodds-Frank, pare essere in vantaggio per la corsa al posto di Segretario del Tesoro USA. Hensarling, che solo la settimana scorsa ha dichiarato “La Dodds-Frank è stato un grosso errore” spinge per sostituirla con la sua personale proposta amichevole per Wall Street che rimpiazzerebbe la legge in vigore con una alternativa “pro-crescita, a favore dei consumatori” che proteggerebbe le banche dalla “regolamentazione strozza-crescita”. (Housingwire)

E sarebbe questo ciò che ci serve veramente? Più leggi per proteggere le banche? Leggiamo dal Fortune magazine:

“Hensarling vuole poteri pieni al mercato. A suo modo di vedere, l’incoraggiare le banche a tratttenere molto capitale (come prescrive la Dodds-Frank) è sufficiente per protegger il mercato dagli imprevisti, rendendo le banche troppo più sicure per quanto viene richiesto dalla fitta rete di stress test che la stessa legge prevede, dei complessi limiti ai commerci e l’impedire mutui e concessioni di carte di credito bollati come “abusivi” dai regolatori. Adesso che i Repubblicani controllano il Congresso e la Casa Bianca è parecchio possibile che il manifesto di Hensarling, o considerevole parte di esso, divenga legge…”

“Non mi fermerò finchè la Dodds-Frank non sarà estirpata e gettata nella spazzatura della Storia”, ha dichiarato Hensarling in un recente discorso. La parte centrale della proposta di Hensarling è procurare esenzione alle banche dagli esigenti requisiti di controllo previsti dalla Dodds-Frank”.(This Congressman Could Turn the Dodd-Frank Financial Reforms Upside Down, Fortune)

L’idea che un membro del Congresso possa dedicare tutte le sue energie a sollevare la proibizione sui “mutui abusivi” appena 8 anni dopo che mutui predatori, tossici e abusivi hanno fatto implodere il sistema finanziario globale costando circa cinquantamila milardi di dollari e anni di tentativi agonizzanti di risistemazione suona quasi come tradimento. Eppure, alla fine Hensarling potrebbe diventare uno dei consiglieri-chiave di Trump per la regolazione finanziaria…Vai a capire..

Insomma, quali sono le reali intenzioni di Trump? Cosa vuole realmente ottenere? Da un lato si scaglia contro la FED perché assiste ignara mentre si gonfia un’altra bolla degli asset e dall’altro tenta di rimuovere gli ostacoli regolatori che prevengono la possibilità di tali bolle. E che senso ha?

Diciamo un pò di più sulla crociata di Trump contro la regolamentazione. Dal Wall Street Journal:

“Donald Trump ha scelto la critica di lungo corso della regolamentazione severa per ispirare i piani della sua nuova amministrazione per riscrivere le regole della finanza, incluso il potenziale smantellamento di molte delle clausole del Dodds-Frank act. Paul Atkins è stato membro Repubblicano della Commissione sulla Sicurezza degli scambi dal 2002 al 2008 dove ha parlato contro le grosse multe comminate alle compagnie, sostenendo che puniscono gli azionisti. Adesso Atkins, che ha 58 anni, è membro del team di transizione del Presidente eletto incaricato di consigliare nuove politiche sulla regolamentazione finanziaria. Mr Trump ha specificato poco delle sue vedute sulla regolamentazione finanziaria a parte la promessa di smantellare l’atto Dodds-Frank del 2010” (Donald Trump’s Point Man on Financial Regulation: A Former Regulator Who Favors a Light Touch, Wall Street Journal)

Trump intende inoltre smantellare il CFPB (Consumer financial protection bureau) che ha di recente imposto una multa di 100 milioni di $ alla Wells Fargo che ha usato i dipendenti della banca per creare oltre 2 milioni di account non autorizzati per raggiungere gli obiettivi di vendita. L’azione ha avuto i plausi delle associazioni consumatori ed è per questo che Trump farà di tutto per toglere mordente a questa agenzia. Il Presidente eletto pare stia affilando le armi per eliminare qualsiasi regola che impedisca a Wall street di tirarsi dentro profitti ancora più grossi, a prescindere dal fatto che così facendo metterà a rischio i cittadini americani o meno.

Come si combina questo con le dichiarazioni di Steve Bannon sul desiderio di una grande coalizione ed un’economia forte?

Non riesco a capire, si direbbe Bannon ci creda veramente e che sia un pragmatico lavoratore che sa ciò che dice e odia Wall street, l’establishment Repubblicano e i media mainstream. Fantastico no?

Ma come si combina la dura ascesa di Bannon dal basso, la sua partecipazione nell’ascesa del Tea party, la sua combattività estrema, con queste concessioni fiscali ai ricchi, una deregolamentazione anti-lavoratori e una politica fiscale di cui si avvantaggiano solo gli iper-ricchi? Io non capisco.

In una intervista con Buzzfeed news Bannon lamenta della nuova ondata di capitalismo estremo marchio “Ayn Rand” che oggettivizza le persone e le trasforma in merci di scambio. Approfondisce il concetto facendo una breve sintesi della crisi finanziaria che molti trovano stimolante. Ecco un breve estratto:

“la crisi del 2008, che comunque non considero neanche conclusa, è mossa dall’avarizia e dalla sete di denaro, in primo luogo delle banche d’investimento. Una delle ragioni è che si sono mai affrontati realmente i problemi del 2008. In particolare il fatto, pensiamoci, nessun amministratore delegato di banca responsabile per la crisi del 2008 è mai stato denunciato. Infatti le cose stanno peggiorando. Niente dei loro bonus e delle loro azioni gli sono state sequestrate. Dunque i motivi che li hanno condotti ad accumulare ricchezza nei 15 anni che hanno condotto alla crisi non sono stati nemmeno scalfiti, e credo sia questo che dia slancio alla rivolta populista che vediamo manifestarsi col Tea party…

I bailout sono stati qualcosa di assolutamente oltraggioso e questo è il perchè: hanno salvato amministratori e azionisti direttamente responsabili del disastro. Infatti uno dei comitati del Congresso indicò al dipartimento di Giustizia 35 amministratori delegati, segnalando come fossero imputabili, nessuna denuncia è mai scattata o procedimento legale è partito. E  i contribuenti della classe media, gente che lavora, gente che guadagna meno di 50.000 o 60.000 $ l’anno hanno dovuto sopportare il peso di dover salvare queste elite.

Le aziende di contabilità, gli studi legali, le banche d’investimento, le aziende di consulenza, l’elite delle elite, l’elite colta, che sapevano a cosa andavano incontro, si sono prese a forza tutti i vantaggi e poi si sono rivolte al governo, sono andati col cappello in mano dal governo a farsi salvare. E non sono mai stati chiamati a rispondere dei loro imbrogli. Ma fidati, prima o poi saranno chiamati a rispondere”. (This Is How Steve Bannon Sees The Entire World, Buzzfeed News)

Ripeto: “Dovranno pagare per ciò che hanno fatto”.

Ottimo. Vuole metterli in galera. Vuole processare i banchieri fargli ammettere le loro responsabilità e sbatterli dentro. Chi non lo vorrebbe? Qualsiasi lavoratore americano lo vorrebbe. Ecco come Bannon si è attratto un fedele seguito: è perchè la sua analisi della crisi finanziaria e del suo seguito sono perfettamente giuste. Gli Americani sanno di essere stati rapinati, sanno che Wall Street è infestata di delinquenti e parassiti e sanno che il paese è governato da una oligarchia corrotta di speculatori che si ritengono sopra la legge.

Bannon ha attinto a potenti sentimenti di frustrazione e rabbia e ha costruito un movimento di successo attorno ad essi. Ma dov’è la sostanza? La sua politica economica semplicemente non è in grado di portare quanto promette. Bannon parla, ma è difficile dire quanto sia intenzionato a mettere in pratica tutto ciò che predica.

Gli abbassamenti delle tasse non rimettono in piedi i lavoratori e nemmeno la deregolamentazione. E quanto alla terza parte del programma economico di Trump, lo stimolo fiscale?

Bannon sostiene che sia la forza dietro al piano di mille miliardi di $ per le infrastrutture. Sfortunatamente tale programma è poco più di un imbroglio. Lasciatemi spiegare il perchè:

In genere, quando la gente pensa allo stimolo fiscale, si immagina costosi progetti di costruzione Keynesiani con lavoratori pagarti lautamente dallo Stato che costruiscono strade, ponti, sistemi di trasporto, scuole. Non è questo ciò di cui si tratta. Secondo l’economista Jared Bernstein:

“Invece che semplicemente allocare le risorse richieste come da approccio tradizionale essi propongono di offrire 137 miliardi di incentivi fiscali agli investitori privati che vogliono costruire strade a pedaggio, ponti a pedaggio, o altri progetti che generano flussi di profitti”.

Dal momento che il piano dipende da investitori privati, può finanziare solo progetti che generano servizi a pagamento, quindi profitti. Strade rurali, sistemi di approvvigionamento idrico e scuole pubbliche non ricadono nella categoria. Nemmeno i trasporti pubblici passano il criterio della profittabilità (dipende dai sussidi pubblici)” (Trump’s misguided flirtation with Keynesianism, Politico)

Non funzionerà, è semplicemente autodistruttivo. Si tratta di dosi maggiori della stessa medicina, più sussidi al big business. L’intera ragione dello stimolo fiscale è fare arrivare denaro nelle tasche della gente che lo spenderanno, rilanciare l’economia, dare impulso alla crescita, generare maggiore domanda e tirare l’economia fuori da 8 anni di incertezza. La ricostruzione delle infrastrutture è secondaria, infatti, non importa nemmeno. Ciò che conta è mettere soldi in circolo in una economia perennemente moribonda.

Leggiamo qualcosa in più sul gran progetto di sperpero nelle infrastrutture di Trump da un articolo sul Washington Post:

“Il piano di Trump non è realmente un piano sulle infrastrutture. E’ un piano di tagli fiscali per l’industria dei trasporti e gli investitori nel settore costruzioni e un massiccio piano di sovvenzionamento alle aziende che si accaparrano gli appalti. Che il piano di Trump non vada a finanziare direttamente nuove strade, ponti, canali e aereoporti, come avrebbe fatto il piano 2016 per le infrastrutture di Hillary Clinton. Al contrario, il piano di Trump procura agevolazioni fiscali agli investitori del settore privato che entrano in progetti di costruzione finalizzati al profitto. Non c’è un requisito a prescrivere che le agevolazioni fiscali siano utilizzate per le costruzioni: possono finire tutti a ingrassare le tasche degli investitori in progetti precedentemente avviati…

Secondo, come risultato di quanto sopra, il piano di Trump non è realmente un piano finalizzato all’occupazione. Ciò perchè il piano sovvenziona gli investitori, non i progetti; finanzia esenzioni fiscali, non ponti; perchè non c’è requisito che prevede come finanziare i progetti, non c’è semplicemente nessuna garanzia che il piano produrrà una singola nuova assunziona effettiva…

Nascoste dentro il piano ci saranno disposizioni per abbassare le misure di protezione del lavoro prevalenti nei siti di costruzione, che mettono in pericolo il potere negoziale dei sindacati e in ultima istanza erodono i guadagni dei lavoratori. Le regole ambientali verranno quasi certamente messe da parte col pretesto di accelerare le costruzioniTrump’s big infrastructure plan? It’s a trap. Washington Post))

Le cosiddette “partnership pubblico-privato” sono solo un ulteriore modo per il grosso business di mungere soldi dalle casse dello Stato. Non aiutano l’economia e nemmeno i lavoratori. Se Bannon parla sul serio quando parla di costruire la sua economia sulle spalle di una economia forte, esiste un modo più semplice per riuscirci. Innanzitutto liberarsi degli ideologi dei privilegi per le multinazionali ed economisti radicalisti del “lato offerta” le cui teorie non funzionano mai. Poi assumere una squadra di economisti con esperienza di prima mano nell’implementare programmi di stimolo di questa entità (Joseph Stiglitz, James Galbraith, Dean Baker, Michael Hudson, Jack Rasmus).

Poi partire, per così dire, dai frutti sui rami bassi, vale a dire immettere denaro in programmi già esistenti che producono risultati verificati. Ad esempio nell’epico articolo di James Galbraith “non ci sarà ritorno al normale” l’economista raccomanda di aumentare i trasferimenti di welfare e sicurezza sociale. Pensiamoci. Quelli che vivono di welfare spendono fino all’ultimo centesimo che ricevono ogni mese, il che significa che se i soldi che ricevono di, diciamo 200$ al mese, tutti quei soldi andranno dritti dritti nell’economia è questo è esattamente ciò che lo stimolo fiscale si prefigge di conseguire. Allo stesso modo, aumentare i sussidi alimentari per i poveri, abbassare l’età di idoneità per accedere a Medicare, riassumere una porzione dei 500.000 lavoratori Federali che hanno perso il loro lavoro nel crash del 2008. Queste politiche reimmetteranno soldi nell’economia immediatamente, stimoleranno la crescita, aumenteranno i salari e rafforzeranno le prospettive di qualsiasi partito politico capiti essere al governo.

Il punto è che lo stimolo fiscale non deve necessariamente prendere la forma dello sperpero e non richiede di mettere “lavoratori a scavare buche”. Ciò che si richiede è una squadra di consiglieri economici competenti che sanno ciò che fanno e la volontà politica di metterlo in pratica. Il piano economico di Trump non fa niente di ciò, tutto ciò che fa è aumentare leggermente il PIL mentre migliaia di miliardi di dollari viaggiano verso i conti bancari di mega aziende e maneggioni di Wall Street.

Se Bannon intende veramente riaggiustare l’economia e riedificare il partito Repubblicano, il mio consiglio sarebbe: telefona a Galbraith.

Mike Whitney

Fonte: www.counterpunch.org

Link:  http://www.counterpunch.org/2016/11/25/trumps-economic-plan- this-isnt-going-to-work/

25.11.2016

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

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