E A PROPOSITO DI GAZA

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DI LIA
Haramlik

Questa mattina le notizie da Gaza erano la prima cosa che vedevi su El Pais online, con la foto che riporto qui sopra sulla loro homepage.
Su Repubblica e il Corriere – quando ho visto io, almeno – non c’era un cavolo.
Ed è che, come diceva Marco, “sono i giornali a sistematizzare per noi “il mondo “e a darci la priorità delle informazioni – a decidere quindi in parole povere cosa è importante e cosa non lo è.
Da noi, come è noto, Gaza e la Palestina tutta sono importanti solo se provocano dei fastidi a Israele. La loro distruzione non ha nessuna rilevanza, invece.

Leggi El Pais e ti metti le mani nei capelli:

Gli effetti dell’embargo imposto da febbraio del 2006 sono bestiali. La mancanza di anestetici è allarmante, le apparecchiature mediche non possono essere riparate, la mancanza di medicinali angoscia il personale medico.

Il Governo di Ehud Olmert non distingue tra civili e miliziani. “Se lanciano missili, i palestinesi ne pagheranno il prezzo”, ha dichiarato ieri il laburista Matan Vilnai, viceministro della Difesa.
Come se non stessero pagando dalla vittoria di Hamas alle elezioni di 21 mesi fa.
Il deterioramento delle condizioni economiche è brutale. Il 70% dei palestinesi di Gaza riceve aiuti alimentari dalle agenzie internazionali. Come ha detto Dov Weisglass, consiglere di Sharon e per alcune settimane di Olmert, davanti ai sorrisi dei membri del Governo: “Bisogna farli dimagrire”.
L’anemia si estende, il sistema sanitario sfiora il collasso.

Ecco: tutto questo è illegale, secondo il diritto internazionale, e un governo che fa questo a un’intera popolazione è un governo di delinquenti.
Questa elementare considerazione è presente sulla stampa, nell’opinione pubblica e nei discorsi di normali e civili paesi europei. Da noi, pare un’esclusiva di qualche gruppuscolo di una microgalassia politicamente indefinita, e poco più.
Come al solito, qui ci si chiede perché.

Quando ero in Egitto, non mi spiegavo questo fenomeno se non in termini di complotto giornalistico: per quanto una non sia complottista nemmeno caratterialmente, io proprio non me la riuscivo a dare un’altra spiegazione.
Non capivo, con tutta la buona volontà.
Ora che sono in Italia e che conosco un po’ meglio l’aria che tira, invece, ho l’impressione che la spiegazione sia più articolata: è certamente vero che la nostra stampa tende a rispondere a tutto fuorché al dovere di informazione e che da noi si esprime un punto di vista marcatamente filoisraeliano, fino alla negazione dell’evidenza.
E’ pure vero, tuttavia, che non proprio tutto-tutto il paese, giornalismo compreso, è marcio e disonesto fino alle fondamenta.
Fosse anche solo per motivi di statistica.
E quindi, forse, le colpe del drammatico silenzio in cui affonda la Palestina vanno suddivise in modo più esteso di quanto non mi sembrasse da lontano: la causa palestinese, da noi, ha pochi interpreti credibili e persino – mi si passi il termine – pochi interpreti rispettabili.

E’ come un gatto che si morde la coda, questa situazione.
Ieri scrivevo nei commenti al post qui sotto: “Io sono tra i firmatari dell’appello a favore di Branca uscito su Reset. In Cattolica – l’università di Branca – quell’appello ha raccolto pochissime firme per un motivo, tra gli altri, che mi colpisce parecchio: il fatto che Branca e Campanini siano stati sostenuti dalla Comunità Antagonista Padana (i dissidenti della Lega, nonché integralisti cattolici seguaci di Blondet). Il che vuol dire che la sinistra se l’è data a gambe e si è ben guardata dal sottoscrivere il pur sacrosanto appello contro le esternazioni di Magdi Allam.
Mi chiedo come mi sarei sentita io, nel caso fossi stata una docente di quell’università all’epoca dell’appello, scoprendomi in siffatta compagnia (vedi foto).
Probabilmente me ne sarei fatta una ragione, a livello personale, perché – da testimone diretta dei metodi di Magdi Allam – avrei fatto una semplice graduatoria di pericolosità tra questi e la gente del CAP.
Ma capisco anche che ci sia chi si preoccupa, dinanzi a certi ambienti.
E, se lo capisco io, ancora di più dovrebbe capirlo chi ha o aspira ad avere un ruolo di responsabilità tra i sostenitori di certe cause.
Il che non vuol dire – come in genere avviene – “stabiliamo ottimi rapporti con loro senza dirlo troppo in giro“. E’ una tattica dal fiato e dalle gambe corte, questa, giacché puoi anche farle avvicinare, le persone in buona fede, selezionando i tuoi argomenti tra cose dicibili e cose meno dicibili. Poi le perdi, però.
Uno gratta un po’ sotto la superficie e se la dà a gambe, per come stanno le cose al momento.

Capire che certe cause vanno portate avanti da posizioni limpide e – ripeto, passatemi il termine – rispettabili, vuol dire essere chiari nella sostanza, non nella propaganda.
Vuol dire guardarlo fino in fondo, un percorso, prima di decidere di percorrerlo – fosse anche solo per un pezzo – assieme ad altri.
E dichiararlo, per intero.

Altrimenti si rimane soli, o in quattro gatti rancorosi e inutili a sé e alla causa.
Cosa che non sarebbe manco grave, bada bene, se non fosse per il discredito che finisce sulla causa stessa.

Penso questo, insomma: che da noi la causa palestinese è screditata, svilita e gettata ai margini del discorso pubblico anche – non solo, ma anche – per le strumentalizzazioni, i tatticismi miopi, l’elasticità etica, i piccoli interessi personali, le microambizioni di pittoreschi pagliacci, i silenzi, le ambiguità e il settarismo spinto a livello di disturbo comportamentale di una bella fetta dell’ambiente che se ne fa interprete.
Questo, senza togliere un grammo di responsabilità alla fiacchezza di quella sinistra perbene e presentabile che dovrebbe toglierla da certe mani, tanta causa, e che invece preferisce alzare le spalle e occuparsi di argomenti più gratificanti.

Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: uno sfacelo, nell’indifferenza generale.

Lia
Fonte: http://www.ilcircolo.net/lia/
Link: http://www.ilcircolo.net/lia/001310.php
26.10.07

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