CONTRO JULIAN ASSANGE UNA VENDETTA RAZZIALE

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FONTE: COMIDAD

C’è una contraddizione evidente nella vicenda di Julian Assange. Da una parte si osserva una persecuzione meticolosa e astiosa nei confronti del fondatore di Wikileaks, dall’altra parte c’è l’obiettiva esiguità dei moventi dichiarati di questa persecuzione. Non ci si riferisce soltanto alle assurde accuse di molestia sessuale da parte della ex neutrale Svezia; imputazioni che massacrano le “idee chiare e distinte” così care a Cartesio. Il problema maggiore riguarda proprio le accuse di spionaggio mosse dalla potenza verso la quale Assange rischia di essere estradato una volta nelle mani del governo svedese, cioè gli Stati Uniti. Il fatto che Wikileaks si sia procurato le informazioni che ha successivamente diffuso attraverso tecniche di pirateria informatica, oppure grazie all’aiuto di alcuni “insider”, non cambia la sostanza della questione, e cioè che la grandissima parte di queste informazioni riservatissime erano in effetti la classica aria fritta, in alcuni casi persino veline della propaganda. Negli USA molti commentatori, ufficiali e non, si sono cimentati nell’ardua impresa di spiegare all’opinione pubblica il danno incalcolabile che la banda Assange avrebbe inferto alla sicurezza statunitense. Ma nessun dato significativo è stato mai fornito per sostenere questa tesi, perciò ogni argomentazione ha sempre finito per ripiegare sulla retorica stantia del rapporto di “fiducia” fra gli Usa e i suoi alleati, che sarebbe stato incrinato da queste “rivelazioni”. In realtà nessun “alleato” si “fida” degli Stati Uniti, mentre la scorrettezza, l’inaffidabilità, la slealtà e la brutalità dei funzionari statunitensi è addirittura divenuta proverbiale in tutti gli ambienti internazionali.

La comunicazione interna ed estera degli Stati Uniti è conformata ai criteri della psicoguerra, perciò gli USA devono il loro prestigio internazionale esclusivamente alla paura che riescono ad incutere, al terrore suscitato dalla loro capacità di non ascolto, alla loro attitudine a trasformare ogni minima resistenza dei propri interlocutori in un pretesto vendicativo. E, per far davvero paura, la prospettiva della vendetta deve sempre essere sproporzionata, esagerata.
Assange è diventato un bersaglio della vendetta USA non per il danno che avrebbe inferto, bensì in quanto simbolo di un atteggiamento antiamericano. In Assange infatti non si riscontra nessuno dei pregiudizi di superiorità occidentale che caratterizzano la grande maggioranza dei progressisti – ed anche rivoluzionari – del sedicente Occidente, secondo i quali si può, e si deve, ogni tanto spremere una lagrimuccia sui poveri popoli del terzo mondo oppressi dallo strapotere delle multinazionali, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale; ma poi, se qualche politico locale cerca di opporsi a quello strapotere, allora non bisogna perdere un attimo per collocarlo nella lista dei dittatori e dei nemici dell’umanità.

Alcuni commentatori hanno fatto notare che Assange non sarebbe mai assurto ai livelli del divismo internazionale se non avesse ricevuto aiutini ed indulgenze da parte dell’establishment; ma, proprio per questo, la reazione vendicativa è tanto più feroce, proprio perché Assange non è stato al gioco della superiorità occidentale. In questo senso, la scelta di Assange di non accettare di fidarsi minimamente della mitica giustizia britannica e di rifugiarsi nell’ambasciata dell’umile Ecuador, fa parte di questa linea di demistificazione della fiaba occidentalista. Il suo caso è considerato tanto più grave perché egli è un australiano anglosassone, cioè membro di quella comunità internazionale di lingua inglese che, secondo Winston Churchill, avrebbe la missione di reggere le sorti del pianeta. Da ex primo ministro britannico, Churchill espose questa teoria in una sua opera degli anni ’50, la “Storia dei Popoli di Lingua Inglese”.

Assange è dunque considerato un traditore della sua razza. Una colpa imperdonabile da parte di un’oligarchia imperialistica che trova nella mitologica persuasione della propria superiorità razziale l’unico elemento che la possa differenziare, per metodi ed obiettivi, da una qualsiasi cosca criminale. Il razzismo costituisce infatti quella “falsa coscienza” che salva questa oligarchia criminale WASP dal rischio di vedersi per ciò che realmente è.

Anche la Svezia ha conosciuto un “traditore della propria razza”, ed anche della propria classe: il primo ministro Olof Palme. Palme proveniva da una famiglia aristocratica, e ci si aspettava che avrebbe mantenuto il socialismo svedese nell’ambito delle sue tradizioni paternalistiche; invece non solo Palme diede un impulso nuovo al socialismo svedese, ma fu anche l’unico socialdemocratico europeo ad opporsi seriamente alla guerra del Vietnam. Palme fu ucciso in un agguato nel 1986, e per il suo assassinio fu allestita un’inchiesta giudiziaria farraginosa ed inconcludente, uno sfacciato depistaggio, che la dice lunga sul grado di certezza del diritto in Svezia.

Nel suo discorso dal balcone dell’ambasciata dell’Ecuador, Assange si è rivolto anche al presidente Obama invitandolo a cessare “la caccia alle streghe”. In queste parole è riecheggiato un suo timore che va ben oltre il rischio di un’estradizione verso gli Stati Uniti e dell’eventualità di una condanna a morte per spionaggio. Probabilmente Assange pensava alla “Kill List” gestita da Obama, che consente al presidente USA di eliminare senza processo qualsiasi persona – anche di cittadinanza americana – considerata un pericolo per la sicurezza nazionale. Queste missioni di assassinio di Stato vengono spesso compiute utilizzando dei droni, e forse anche Assange ora teme di vedersene volare qualcuno sulla testa.

La legge istitutiva della “Kill List” fu voluta da Bush, ma Obama ha sinora firmato per oltre cento esecuzioni, più del doppio di quelle del suo predecessore. Ogni assassinio “mirato” comporta chiaramente una serie di vittime civili che non c’entrano nulla, ma la dottrina ufficiale è che, se stai nei paraggi, proprio innocente non puoi essere. [1]

Alcuni articoli del “New York Times” a riguardo hanno suscitato l’indignazione del senatore John McCain, il candidato in lizza contro Obama alle ultime elezioni presidenziali. McCain però non se l’è presa con Obama, ma con “le fughe di notizie” che comprometterebbero la “sicurezza nazionale”. McCain ha chiaramente barato e giocato sull’equivoco, poiché la “Kill List” non è affatto un segreto, visto che esiste una legge istitutiva; ma il richiamo di McCain aveva evidentemente un altro significato. Il problema infatti non riguarda i segreti, ma l’omertà mediatica che deve relegare certe notizie, pur ufficiali, ai margini della comunicazione. Le notizie isolate non fanno opinione pubblica.

Come ha insegnato Goebbels, solo la continua ripetizione crea opinione e, addirittura, confeziona una “verità virtuale”, alla quale è quasi impossibile sottrarsi. Da buon repubblicano, McCain vuole mantenere per sé la parte del “duro”, e pretende che i media continuino a reggere il gioco delle parti, offrendo del democratico Obama l’immagine di un presidente pacioccone e “riluttante” alla violenza. Obama è un fantoccio confezionato con l’accorto dosaggio di tutti gli ingredienti esteriori del “politically correct”, perciò, attenti a non smascherarlo. Insomma, qualche commento ogni tanto sulle pagine interne dei quotidiani, va anche bene, poiché tiene in piedi la farsa del “dibattito democratico”; ma guai a parlarne nei telegiornali in prima serata; lì il cattivo deve essere Assad. A proposito di uso mistificatorio del “politically correct”: il ministro della Giustizia-Procuratore Generale dell’amministrazione Obama è Eric Holder, anche lui un afroamericano; il primo afroamericano a ricoprire quel ruolo. Proprio a Holder è toccato di difendere pubblicamente due “dirty jobs” dell’amministrazione Obama, sia la “Kill List”, sia la decisione del Dipartimento di Giustizia di non procedere contro Goldman Sachs per frode bancaria, nonostante le tonnellate di prove raccolte. [2]

Il dibattito democratico in sé è piuttosto innocuo, perché sposta sempre la questione sulle alternative astratte: Libertà o Sicurezza? Legalità o Efficacia nella lotta al terrorismo? Quelle belle discussioni infinite. Qualche commentatore un po’ più realista ha fatto invece notare che in realtà la CIA ha sempre fatto fuori chi le pareva, senza mai aver avuto bisogno di leggi speciali antiterrorismo. Incredibile a dirsi, ma oggi il Pentagono e la CIA usano persino l’assassinio come alibi giustificativo per nascondere crimini più inconfessabili.

La “Kill List” è infatti strettamente intrecciata al nuovo superbusiness dei droni, dato che la maggioranza degli omicidi a firma presidenziale vengono commessi con questa arma ipertecnologica, che richiede enormi e continui stanziamenti di fondi da parte del Congresso americano, e perciò ha bisogno di un supporto legislativo. Come arma di guerra guerreggiata i droni si sono immediatamente rivelati una truffa del Pentagono, poiché per uno Stato straniero dotato di un minimo di risorse tecnologiche risulta relativamente facile disturbare questi velivoli senza pilota, come ha dimostrato l’Iran il dicembre scorso. [3]

Ecco perché nascono l’eterna emergenza del terrorismo e l’assassinio mirato per “motivi di sicurezza nazionale”, ovviamente contro bersagli deboli e non in grado di difendersi. Questi fraudolenti artifici propagandistici sono l’unico modo per giustificare il saccheggio di spesa pubblica determinato dal business dei droni.
Sarà per tutti un motivo di orgoglio nazionale sapere che oggi la capitale mondiale dei droni si trova in Sicilia, nella base USNavy di Sigonella. Tra le prime vittime dei voli dei droni di Sigonella c’è il vicino aeroporto civile di Fontanarossa, quasi sempre chiuso con i più vari pretesti. [4]

Fonte: www.comidad.org
Link: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=504
22.08.2012

NOTE

[1] http://depth=2&hl=it&prev=

http://ricerca.repubblica.it

[2] http://translate.google.it/translate

http://translate.google.it

[3] http://www.jacktech.it/news/hi-tech/techno-frontiere/drone-usa-iran-spiega-come-ha-ingannato-il-sistema-gps.aspx
[4] http://temi.repubblica.it/micromega-online/guerra-ai-siciliani-con-i-droni-di-sigonella/?printpage=undefined

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