CONSULENTI SOVIETICI PER BUSH

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DI MAURIZIO BLONDET

Lo ha confidato il presidente Bush al Washington Times, in un’intervista rilasciata il 12 gennaio: “se volete capire come la penso in politica estera, leggete il libro di Natan Sharansky, The Case for Democracy. E’ un gran libro”. Qui, la sorpresa non è solo nel fatto che Bush (notoriamente dislessico) abbia letto un libro. E’ nella personalità dell’autore-ispiratore. Natan Sharansky, con un passato di dissidente sovietico (dove si produsse soprattutto in polemiche provocatorie contro Solgenitsyn) emigrato in Israele, si è oggi convertito (come tanti suoi pari) in un fanatico neoconservatore aspramente ostile ai palestinesi, con venature razziste. Nel governo Sharon l’ex dissidente è in carica per gli “Affari della Diaspora”, delicato organo del sionismo internazionale. Ecco come ne ha parlato un giornalista insospettabile, M.J. Rosenberg del Washington Post, il 26 dicembre 2004: “Sharansky si batte per i diritti umani solo quando non riguardano il suo paese, Israele. In tutta la sua carriera post-sovietica Sharansky ha usato la sua fama per sostenere i diritti umani di chiunque, tranne i palestinesi. [Sharansky sostiene] che prima che ai palestinesi sia permesso di avere uno Stato e forse (forse, visto che è un sostenitore sfegatato degli insediamenti) la fine dell’occupazione israeliana di Gaza e dei territori occupati’, essi devono sottostare ad una quantità di condizioni. Per i palestinesi i diritti sono soggetti a condizioni. E’ facile limitare i propri appelli per i diritti umani a nazioni diverse dalla propria”.Ora è stato Sharansky, in vari colloqui col Presidente nello studio ovale, a mettere a punto per Bush il discorso dell’inaugurazione, quello che delinea la politica della “lotta globale per la libertà”. Quasi certamente ad introdurre l’ex dissidente sovietico sono stati William Kristol, il direttore del Weekly Standard, figlio dell’ex trotskista Irving Kristol tramutatosi in neocon, e Charles Hrauhammer, il columnist più falco del Washington Post.
Entrambi ebrei e membri di fondazioni culturali neoconservatrici. Il Jerusalem Post si è rallegrato rumorosamente del nuovo agente d’influenza piazzato alle costole del presidente: “la Casa Bianca ha preso una pagina dal manuale di democrazia di Sharansky”, ha scritto. Fatto significativo, anche Condoleezza Rice ha citato Sharansky nella sua udienza di conferma al Senato.

Ma c’è di più. Due altissimi “esperti” della repressione sovietica sarebbero stati assunti come consulenti speciali per l’attuazione dell’ “Homeland Security” (sicurezza della patria) ossia dell’apparato poliziesco messo in atto con il pretesto della lotta al terrorismo in Usa. Uno è Evgeny Primakov, già responsabile del Kgb e della macchina repressiva sovietica. Primakov dovrebbe impiegare la sua ben nota esperienza professionale studiando, e sorvegliandone l’attuazione, le nuove carte d’identità federali americane. Il documento d’identità, mai prima obbligatorio in America, lo diventa in forza dell’Intelligence Reform Act varato dall’Amministrazione Bush. Tutta la storia personale di ogni cittadino, il suo credito e i suoi caratteri biometrici saranno contenuti nella memoria di una carta “intelligente”, che il cittadino dovrà portare con sé ed esibire a richiesta delle autorità per ogni attività: l’acquisto di un’auto, per salire su un aereo, per ogni transazione finanziaria.
I dati saranno trasferiti elettronicamente allo speciale Ufficio per la Sicurezza Interna, che così terrà aggiornato un dossier su ogni americano. Lo stesso Primakov ha definito il nuovo documento d’identità un “passaporto interno”, come quelli obbligatori ai tempi dell’Unione Sovietica. Una futura legge (Patriot Act) che si dice in preparazione presso la Homeland Security, farà fare un ulteriore passo avanti nel senso del controllo poliziesco: dovrà “stabilire un meccanismo interno per coordinare, come funzione dello Stato, un sistema di informatori”.

Un sistema di informatori. E’ proprio questa la specialità dell’altro consulente apparentemente arruolato dalla Homeland Security. Parliamo del redivivo Markus Wolf, l’ex capo della STASI, i servizi segreti della Germania Orientale. Celebrato dai romanzi di Le Carrè con il nome di “Karla”, Markus Wolf detto Misha (nessuno di questi è il suo vero nome) è nato nel 1929 da una famiglia ebrea e comunista di Stoccarda, presto riparata a Mosca sotto il compagno Stalin.
A diciott’anni studente-modello nella scuola quadri del Kominter a Kuchnarenkovo, inviato ufficialmente come giornalista a seguire il processo di Norimberga, è in realtà l’uomo di fiducia di Mosca e il garante nella Germania comunista della linea del Cremlino. Sono gli anni in cui nella Germania occupata i comunisti rimettono in funzione undici lager, fra cui Buchenwald e Oranienburg, per farci sparire decine di migliaia di tedeschi da epurare; e in cui 200 mila tedeschi vengono deportati in Urss. Markus Wolf si fa le ossa in queste attività, e intanto – enfant prodige, a 25 anni – mette in opera il più potente apparato di spionaggio, infiltrazione e provocazione del mondo comunista.

Markus Wolf riuscì a piazzare la spia Guillaume a fianco di Willy Frahm, alias Willy Brandt, il cancelliere socialdemocratico; ha “facilitato” organizzazioni terroristiche come la RAF e, probabilmente, le Brigate Rosse; si ritiene che, prima del crollo del regime sovietico, abbia creato numerose cellule “dormienti” di agenti pronti a rientrare in azione in Occidente, una specie di Gladio Rossa che sarebbe tuttora in funzione.
Ma soprattutto Markus Misha Wolf spiò il “suo” stesso popolo con tenacia instancabile: almeno due milioni di dossier sono stati reperiti, relativi ad altrettanti sudditi tedesco-orientali, messi insieme dalla STASI, un apparato che arrivò a contare 600 mila membri, pari a un “controllore” e “informatore” ogni sette adulti. Misha Wolf: l’ultimo ebreo comunista a riciclarsi come neocon; non più in Urss ma nel superstato che sempre più gli somiglia, gli USSA, United Sovietic States of America.

Maurizio Blondet
Fonte: www.effedieffe.com
25.01.05

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