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La Redazione

 

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Wall street: Trump – Cina, l’anello mancante

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A cura di Davide
Il 1 Ottobre 2016
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DI PEPE ESCOBAR
rt.com

Lo Yuan si appresta ad entrare ufficialmente nel paniere di valute internazionali di riserva del Fondo monetario internazionale questo sabato, dove sarà affiancato da dollaro, sterlina britannica, euro e yen.Questo evento è già di per sé un terremoto geoeconomico.

Non soltanto ciò rappresenta un ulteriore passo nell’irresistibile avanzata della Cina verso la supremazia economica; l’inclusione della valuta Cinese nei diritti speciali di prelievo (Special drawing rights, acronimo SDR) inciterà le banche centrali e i più ricchi fondi d’investimento, per primi quelli USA, a comprare sempre più assets Cinesi.

Al primo dibattito pre-ellettorale per le presidenziali USA, Donald Trump non ha risparmiato critiche alla attuale manipolazione valutaria imputata alla Cina, sostenendo che:
“Guardiamo che cosa sta facendo la Cina agli Stati Uniti, perchè producono le nostre merci: continuano a svalutare la loro moneta e nessuno nel governo fa qualcosa per opporsi…Usano gli Stati Uniti come salvadanaio per ricostruire la Cina, e molti altri paesi lo fanno”.

Bene, la Cina non “produce i prodotti Americani”, l’intero processo produttivo è made in China, poi esportato in USA. Il più dei profitti vanno alle multinazionali USA, tutto ciò che va dal design, licenze, diritti d’autore e brevetti, nonchè pubblicità, finanza, margini dalla vendite al dettaglio. Se i mantra che vengono incessantemente ripetuti hanno una qualche verità residuale, come che gli Stati Uniti hanno perso il loro settore manifatturiero trasferendolo alla Cina, la Cina è la fabbrica del mondo, non rivelano però la verità, un pò più nascosta,che a trarre profitto dalla situazione sono essenzialmente le maggiori multinazionali.

La Cina non “svaluta la sua moneta“; la banca centrale Cinese riaggiusta a scadenze periodiche il tasso di cambio dello Yuan in base a un ristretto margine di oscillazione previsto. I maggiori praticanti dell’alleggerimento quantitativo (QE, quantitative easing) sono infatti gli stessi Stati Uniti, Giappone e la BCE in Europa. E la valuta in cui avvengono gli scambi di beni di consumo reali continua ad essere il dollaro USA, non lo Yuan.

Pechino inoltre non sta “usando gli Stati Uniti come salvadanaio per ricostruire la Cina“. E’ una questione di bilancia dei pagamenti. Quando i consumatori USA spendono in prodotti made in China, molti di essi delocalizzati dalle multinazionali Americane, i soldi ritornano indietro in forma di flussi di capitali che mantengono i tassi d’interesse bassi e a sostenere l’egemonia mondiale dell’impero del caos.

Win-win, stile Wall Street

La soglia di attenzione di Trump è notoriamente minima Se i suoi consiglieri riescono a imprimere (twittare?) qualche riga sparsa nel suo cervello, potrebbe anche riuscire a spiegare al pubblico Americano come si svolge veramente il gioco USA-Cina, qualcosa che le parti interessate in entrambi i paesi sanno benissimo.

E l’anello mancante, quello cruciale, nella costruzione dell’intero discorso, è Wall Street.

Ecco come funziona. Un noto grosso hedge fund (fondo speculativo) contatta una multinazionale, o comunque una grossa compagnia USA con “Un’offerta che non potrete rifiutare“: Delocalizzare in Cina. Il passaggio implica necessariamente che tutte le proprità della compagnia saranno ipotecate in una contabilità a partita doppia mantenuta a Wall Street.

E Wall Street vince da entrambi i lati della partita: sia finanziando la delocalizzazione (e corrispondente estinzione di posti di lavoro USA) verso la Cina, o comprandosi le compagnie che si rifiutano di delocalizzare.

Poi si occupano di arbitrare sui salari rispetto ai prodotti che erano made in USA e adesso sono made in China; l’enorme differenza di stipendi tra USA e Cina, un fattore determinante nel tasso di cambio Dollaro-Yuan.

La Cina da parte sua ricicla i dollari USA che incamera comprando buoni del tesoro (bot) USA. Ciò, naturalmente, mantiene i prezzi dei bond alti, e ciò consente di mantenere i tassi di interesse USA bassi.

Tutto in effetti è ai suoi massimi: costo dei bond, valore percepito del dollaro nel mondo, tassi di cambio. Dollari entrano nell’economia Americana senza sosta, dopo, in teoria, sono usati per continuare a comprare freneticamente prodotti made in China.

Chiaramente, il prezzo dei prodotti made in China in USA è basso, è ciò è un “incentivo” sufficiente per le compagnie Americane per lo scotto da pagare, mantenere gli Americani normali, dipendenti dall’economia reale, disoccupati. Come notoriamente disse Steve Jobs: “questi lavori partono per non ritornare“.

Il tasso di cambio dollaro-yuan si manterrà alto finchè la Cina, ed altri, continueranno a riciclare i loro ricavati in eccesso per comprare in massa BOT Americani. Il punto cruciale è che ad ogni modo questi dollari non entrano mai a nessuno stadio nell’economia reale. Restano sempre “intrappolati” o nei confortevoli piani alti del capitalismo da casinò di Wall Street o nelle operazioni bancarie “rarefatte” delle banche troppo grosse per fallire (Too big to fail). La FED (Federal reserve) desidera che il gioco vada avanti all’infinito, così prevenendo un collasso improvviso dei tassi-

Anche Pechino da parte sua gioca volentieri e con gusto; come leader incontrastato delle esportazioni mondiali, l’agenda è di consolidare, ed espandere, la capacità produttiva (know how) fino a raggiungere lo status di paese moderatamente benestante dall’inizio della prossima decade.

Il punto è che per recuperare lavori nel settore manifatturiero in America, cosa che Trump continua a promettere, dovrebbe non meno che affrontare a viso aperto l’intera oligarchia finanziaria di Wall Street

Non è quindi una sorpresa se questi oligarchi, primi responsabili del trasferimento di tutti questi posti di lavoro in Asia e beneficiari diretti del racket dei generosi salvataggi con soldi dei contribuenti delle banche too big too fail, lo odiano con tutta la forza della loro bile placcata oro.

Spedire all’inferno i too big to fail

Nonostante tutta la sua patente incapacità di formulare pensieri più complicati delle capacità linguistiche di uno scolaro di terza elementare, Trump continua ad affastellare proposte scioccanti che ottengono amplissima risonanza, e ben più audaci dei confini del “paniere dei concetti deplorevoli” del politically correct.

Si oppone alla “Seconda guerra fredda” e alla strategia anti-Cinese del “Pivot to Asia” e dice apertamente “Non sarebbe meglio andare d’accordo con Russia e Cina piuttosto?”. Ha non meno che eliminato ogni rischio di terza guerra mondiale dichiarando che si opporrebbe senza riserve alla possibilità di un nuclear-first strike USA (dottrina militare che prevede l’impiego offensivo del nucleare, ndt).

Aborre totalmente il “libero mercato globale”, dal NAFTA al TTP e TTIP perchè ha “privato di senso e prospettiva le vite dei lavoratori Americani”, dal momento che le multinazionali USA (su “incentivo” di Wall street) delocalizzano e sono poi libere di reimportare in USA senza pagare dazi.

Trump aveva persino caldeggiato l’ipotesi di nazionalizzare le banche di Wall Street dopo la crisi finanziaria del 2008.

Quindi assistiamo all’ennesimo spettacolo surreale di un miliardario che denuncia la globalizzazione a opera delle multinazionali, responsabile della perdita di un numero praticamente incalcolabile di buoni posti di lavoro e relative agevolazioni sociali, senza contare il degrado delle infrastrutture. Tutto ciò avvenuto senza che assolutamente a nessuno, tra i membri dell’establishment USA, venisse in mente di denunciare ciò che rappresenta in realtà il più clamoroso trasferimento di ricchezza verso lo 0,0001% della storia conosciuta.

Sei prossimi due dibattiti presidenziali a Trump venisse in mente di puntare il mirino verso l’anello mancante nella sua intera narrazione, ossia lo 0,0001% o Wall Street, si metterebbe senza dubbio la vittoria in tasca.

 

Pepe Escobar

Fonte: www.rt.com

Link:  https://www.rt.com/op-edge/ 361057-wall-street-trump- china-/

29.09.2016

Traduzione per www.comedonchisciotte.org  a cura di CONZI

 

 

 
 
 

 

 
 
 
 

 

 

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