VIVERE SOTTO L’ISIS. LA VITA DI OGNI GIORNO NEL ‘CALIFFATO’ ISLAMICO, CON LEGGI DEL 7 SECOLO, METODI ULTRAMODERNI E VIOLENZA SPIETATA

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DI PATRICK COCKBURN

independent.co.uk

E’ uno tra i più strani paesi mai creati. Lo ‘Stato Islamico’ vuole costringere tutta l’umanità a credere nella sua visione di un’utopia religiosa e sociale dei primi tempi dell’Islam. Le donne vanno trattate come serve, non gli è permesso di uscire di casa se non accompagnate da un familiare di sesso maschile. La gente considerata pagana, come gli Yazidis, possono essere comprati e venduti come schiavi. Le punizioni, come le decapitazioni, le amputazioni e le fustigazioni, sono la norma. Tutti quelli che non giurano fedeltà al ‘Califfato’ istituito dal suo leader Abu Bakr al-Baghdadi il 29 giugno dell’anno scorso, sono considerati dei nemici.

Da otto mesi il mondo assiste con orrore incredulo al modo in cui l’ISIS, autoproclamatosi ‘Stato Islamico’, ha imposto la sua legge su una vasta area dell’Iraq settentrionale e della Siria orientale abitata in totale da circa sei milioni di persone. Atrocità e atti di distruzione, come bruciare vivo il pilota Giordano, la decapitazione di prigionieri e la distruzione delle rovine di antiche città, sono effettuati deliberatamente in pubblico come dimostrazione di forza e di sfida. Per un movimento che fonda le sue radici nelle leggi islamiche del 7° secolo, l’ISIS ha un approccio molto moderno e manipolativo di attirare l’attenzione mondiale, usando come mezzo preferito gli atti di forza e di spietata violenza.

Non si tratta di azioni bizzarre ed estemporanee di uno strano culto religioso, ma di uno stato potente, di una vera macchina da guerra . In rapida successione, l’anno scorso, i combattenti ISIS hanno inflitto diverse sconfitte all’esercito iracheno, ai curdi iracheni Peshmerga, all’esercito siriano e ai ribelli siriani. Hanno assediato per 134 giorni la citta siriana-curda di Kobani e resistito a 700 attacchi aerei statunitensi che miravano a piccole città dove quelli dell’ISIS si erano originariamente concentrati. Gli oppositori del califfato negano che si tratti di un vero e proprio stato, tuttavia è molto ben organizzato, con un sistema fiscale, con un sistema di controllo dell’economia locale e in grado di imporre le sue leggi tra la popolazione.

L’ISIS può essere visto da molti con fascino inorridito, ma le condizioni all’interno del suo territorio restano un terrificante mistero per il mondo esterno. Questa non è una sorpresa, poiché spesso vengono imprigionati ed uccisi giornalisti locali e stranieri che riportano sulle attività dell’ISIS. Nonostante queste difficoltà, l’Independent ha cercato di tracciare un quadro completo di come è la vita all’interno dello Stato Islamico intervistando persone che hanno recentemente vissuto in città arabe sunnite come Mosul e Fallujah che sono sotto il controllo totale – o per l’80% come nel caso di Ramadi, capitale della provincia di Anbar – dell’ISIS.

L’anno scorso i Cristiani, gli Yazidi, gli Shabak e gli Sciiti perseguitati da ISIS come eretici o idolatri, sono fuggiti o sono stati uccisi, quindi quasi tutti gli intervistati sono arabi sunniti che vivono in Iraq, ad eccezione di alcuni curdi che vivono ancora a Mosul.

L’obiettivo della ricerca è scoprire che cosa si prova a vivere nello Stato islamico. Ci sono tantissime domande che necessitano di una risposta. La gente li sostiene o si oppone? Oppure hanno sentimenti contrastanti sulle leggi imposte da ISIS? E se sì, perché? Che cosa si prova a vivere in un luogo in cui a una donna sposata che si fa vedere per strada senza il niqab, viene imposto di andare subito a chiamare suo marito a cui saranno poi inferte 40 frustate? Come si comportano i combattenti stranieri? Qual è la reazione della popolazione locale alle richieste di ISIS che le donne non sposate devono sposare uno dei combattenti? E, più prosaicamente, che cosa mangia la gente, cosa beve e cosa cucina? Come ottiene l’elettricità? Le risposte a queste domande mostreranno molti casi di brutalità, ma mostreranno anche in che modo questo stato islamico in lotta riesce a fornire alla sua gente cibo e servizi a costi contenuti.

Un punto da sottolineare è che nessuno degli intervistati, anche quelli che li odiano, prevedono che ISIS si tolga di mezzo presto, anche se aumenta la pressione da parte dei suoi nemici, che aumentano di numero di giorno in giorno. Tra questi gli Stati Uniti, l’Iran, l’esercito iracheno, le milizie sciite, i curdi iracheni Peshmerga, i curdi siriani e l’esercito siriano, per citare solo i più importanti. Le forze anti-ISIS stanno iniziando a segnare delle vittorie importanti sui campi di battaglia e diminuiscono sempre di più le probabilità di vittoria dello Stato islamico. Durante la scorsa settimana circa 20.000 miliziani sciiti, 3.000 forze di sicurezza irachene, 200 commandos del Ministero della Difesa e 1.000 membri delle tribù sunnite hanno marciato e preso d’assalto la città di Tikrit, città natale di Saddam Hussein.

“I numeri sono impressionanti” ha detto il Generale Martin Dempsey, Presidente dei Capi di Stato Maggiore congiunti statunitensi, sostenendo che ci sono solo “centinaia” di combattenti ISIS contro questa massiccia forza filo-governativa, anche se altri rapporti indicano che il numero raggiunga o superi i 1000.

La caduta di Tikrit sarebbe un grave disfatta per lo Stato Islamico, anche se si tende ad esagerarne l’impatto. ISIS afferma che le sue vittorie sono guidate dal divino, ma non ha mai sentito il dovere di combattere e sacrificare fino all’ultimo uomo per difendere ogni sua roccaforte. Descrive le sue strategie di manovra fluide, “come un serpente che si insinua tra le rocce”. Pur essendo essenzialmente una forza di guerriglia, che raggiunge i risultati più efficaci quando agisce di sorpresa, con quel cocktail micidiale di tattiche collaudate, attentatori suicidi, esplosivi improvvisati e cecchini. Tutto questo corredato da riprese ben architettate delle atrocità eseguite, diffuse sulla rete e sui social network, allo scopo di spaventare e demoralizzare i suoi nemici.

L’ISIS può anche essere in ritirata, ma può permettersi di farlo, dal momento che l’anno scorso ha conquistato una superficie più grande della Gran Bretagna. La sua forza non è solo militare o geografica, ma politica – e questo è un punto sollevato da molti degli intervistati. L’avversione e la paura che molti arabi sunniti hanno per ISIS sono equilibrate e spesso superate da sentimenti analoghi verso le forze governative irachene. Al cuore del problema c’è il fatto che l’anno scorso, con le sue vittorie militari, ISIS ha preso il comando delle comunità arabe sunnite in Iraq e Siria.
Finora non è emersa alcuna alternativa sunnita credibile a ISIS. Un assalto a Mosul da parte del governo iracheno, dei miliziani sciiti o curdi Peshmerga a Mosul, sarebbe interpretato dagli arabi sunniti come un attacco alla loro comunità nel suo insieme.

“I Curdi non possono combattere per Mosul da soli, poichè non sono arabi” ha detto Fuad Hussein, capo di stato maggiore del presidente curdo Massoud Barzani. “E io non credo che i miliziani Shiiti sarebbero disposti a combattere; in ogni caso, la gente del posto non li accetterebbe”.

Se non emerge alcuna alternativa a ISIS che possa chiamare a raccolta i sunniti, allora tutti i sei milioni o giù di lì di arabi sunniti in Iraq potrebbero essere considerati sostenitori di ISIS, indipendentemente dalle loro reali. Nel lungo periodo, ISIS potrebbe rivelarsi il becchino degli arabi sunniti in Iraq, dove risiede il 20% della popolazione, alimentando l’ostilità del restante 80% degli iracheni sciiti o curdi.

Lo Stato islamico si è insediato nelle settimane successive alla presa di Mosul, la seconda maggiore città dell’Iraq, da parte di ISIS, precisamente il 10 giugno del 2014. E’ stato solo allora che i paesi di tutto il mondo hanno iniziato a rendersi conto del fatto che ISIS fosse una seria minaccia per tutti. Riorganizzatosi nel 2010 sotto Abu Bakr al-Baghdadi, dopo la morte del leader precedente, ISIS ha approfittato della rivolta siriana del 2011 per espandere le sue forze e riprendere diffusamente la guerriglia. Le proteste sunnite contro la repressione da parte del governo iracheno si sono tramutate in resistenza armata. Nella prima metà del 2014 ISIS ha sconfitto cinque divisioni irachene, un terzo dell’esercito iracheno, finendo con l’assumere il controllo della maggior parte della gigantesca provincia di Anbar. Un successo cruciale è stato quello del 3 gennaio del 2014, quando le forze dell’ISIS hanno preso la città di Falluja, 40 km a ovest di Baghdad, e l’esercito iracheno non è più riuscito a riconquistarla.

Questa è stata la prima volta che l’ISIS si è insediato in un grande centro abitato; ed è importante riuscire a capire come si comportava e perché questo comportamento è diventato sempre più estremo a mano a mano che si consolidata il suo potere. Le storie di due uomini, Abbas (noto come Abu Mohammed) e Omar Abu Ali, provenienti dalle roccaforti sunnite militanti di Falluja e dalla vicina città di al-Kharmah, spiegano visivamente quello che è accaduto in quei primi mesi cruciali di ascesa del potere dell’ISIS.

Abbas è un agricoltore sunnita di 53 anni di Fallujah. Ricorda il giorno felice in cui ISIS entrò per la prima volta nella sua città: “All’inizio…eravamo tutti felici e la definimmo la ‘Conquista Islamica’. La gente li festeggiava e li acclamava, considerandoli suoi paladini combattenti”.

L’ ISIS disse alla gente di Fallujah che era venuto a creare uno stato islamico e in un primo momento questo non sembrò così pesante. Fu istituita un’ Authority Sharia per risolvere i problemi locali. Abbas racconta che “tutto è andato bene finché l’ISIS non ha preso Mosul”. Da quel momento in poi sono aumentate le restrizioni per la popolazione. Alle moschee, gli imam locali furono sostituiti da persone di altri stati arabi e dell’ Afghanistan. Durante i primi sei mesi di governo dell’ISIS, il movimento incoraggiava la gente ad andare alla moschea, ma dopo la presa di Mosul questo divenne un obbligo e chiunque avesse violato la regola riceveva 40 frustate. Una commissione di capi della comunità protestò con ISIS e ricevettero questa risposta interessante: “Anche ai tempi del Profeta Mohamed le leggi non erano severe all’inizio e le bevande alcoliche furono ammesse nei tre primi anni del potere islamico”. Fu solo dopo che si diffuse il dominio dell’Islam che le norme diventarono più severe. Così fu nel 7° secolo e così era oggi, 1400 anni dopo a Fallujah.”

Abbas, un leader della comunità di Fallujah, con due figli e tre figlie, ha detto che non voleva lasciare la città perché tutta la sua famiglia era lì, anche se la vita di ogni giorno era già difficile e lo stava diventando sempre più. A partire dal mese di febbraio “la gente soffre per la mancanza di acqua e di energia elettrica, che si produceva da sola con i generatori, perché l’offerta pubblica durava solo dalle tre alle cinque ora ogni due giorni”. Il prezzo del gas da cucina è salito all’equivalente di 50 sterline a bombola e molti hanno iniziato ad usare la legna. Le comunicazioni sono difficili perché ISIS ha fatto saltare in aria sei mesi fa la torre per le comunicazioni cellulari; ma alcuni civili sono riusciti ad utilizzare linee di internet via satellite”.

Tuttavia, non sono state le dure condizioni di vita ma due problemi riguardanti i suoi figli che hanno spinto Abbas a lasciare Falluja in tutta fretta il 2 gennaio scorso. La prima ragione della fuga è stata una nuova legge imposta da ISIS secondo la quale ogni famiglia aveva l’obbligo di mandare almeno un figlio a combattere per la causa. Abbas non voleva che suo figlio Mohamed fosse richiamato. (In precedenza, le famiglie potevano evitare la coscrizione pagando una forte multa, ma all’inizio di quest’anno nelle zone controllate da ISIS è diventato un obbligo inevitabile).

La seconda ragione riguardava una delle figlie di Abbas. Ci dice che un giorno “un combattente straniero al posto di blocco del bazar cittadino ha seguito mia figlia, che stava facendo la spesa con sua madre, e l’ha seguita fino a casa. Poi ha bussato alla porta e ha chiesto di poter incontrare il capofamiglia. L’ho invitato ad entrare e gli ho chiesto cosa potessi fare per lui. Lui mi ha chiesto la mano di mia figlia. Io ho respinto la sua richiesta dicendogli che era uso della nostra tribù non dare le nostre figlie in sposa agli stranieri. Lui si è mostrato scioccato per la mia risposta e in seguito ha tentato più volte di assalire le mie figlie. Ho capito che era meglio sparire”. Abbas e la sua famiglia ora sono nella zona del Governo delal regione del Kurdistan. E’ molto rammaricato che l’ISIS non si sia attenuto alle politiche moderate dei primi tempi, cioè prima della presa di Mosul. Dopo questo evento ha iniziato ad imporre regole neanche menzionate dalla Sharia. Abbas dice: “Abbiamo bisogno che l’ISIS ci liberi dall’attuale governo ma questo non significa che li appoggiamo in tutto incondizionatamente”. Si ricorda di quando l’ISIS ha iniziato a proibire le sigarette, le pipe e i narghilè, perché, secondo loro, distraevano la gente dalla preghiera, oltre a bandire i tagli di capelli di stile occidentale e le magliette con sopra scritte in inglese o immagini di donne. Alle donne oggi è proibito uscire di casa non accompagnate da un familiare di sesso maschile. Abbas dice che “tutto questo per noi è stato uno choc e abbiamo dovuto lasciare la città”.

Una visione molto più cinica invece è quella di Omar Abu Ali, un agricoltore arabo sunnita di 45 anni di al-Kharmah (nota anche come Garma), 10 miglia a nord-est di Fallujah. Ha due figli maschi e tre figlie femmine e ci dice che, quando ISIS prese il controllo della sua città l’anno scorso: “I miei figli gioirono per l’arrivo dei ribelli, ma io non ero molto ottimista”. L’arrivo di ISIS non ha migliorato le nostre già dure condizione di vita ad al-Kharmah e non ha creduto alla propaganda di “I soldati di Allah sconfiggeranno i demoni del Primo Ministro iracheno Nouri al-Maliki”. Tuttavia, ammette che molta gente della sua città ci credeva in questo, benchè la sua esperienza gli suggeriva che Saddam Hussein, Maliki e ISIS rappresentassero tutti il male per la gente di al-Kharmah: “Hanno fatto della nostra città un campo di battaglia e a perdere saremo solo noi”.

Al-Kharmah è vicina alla linea del fronte di Baghdad e vive una condizione di semi-assedio con scarsezza di beni di consumo e di prima necessità: un litro di benzina costa £ 2,70 sterline e un sacchetto di farina più di £ 65 sterline. Omar ha cercato di rifornirsi di una quantità di pane sufficiente a far vivere la sua famiglia per una settimana o più, perché ai forni manca spesso la farina. I bombardamenti sono continui e nel mese di febbraio scorso è saltato in aria anche l’ultimo impianto di depurazione delle acque cittadine, anche se non è chiaro chi sia stato il responsabile, se l’artiglieria o gli attacchi degli aerei statunitensi. “La città ora è in condizioni terribili a causa della mancanza di acqua pulita”.
Omar ha lavorato per cinque mesi per l’ISIS, anche se non è chiaro quali fossero le sue mansioni, tentando di tutto per evitare che i suoi figli di 14 e 16 anni fossero reclutati dai ribelli. Missili e granate piovevano su al-Kharmah ogni momento, anche se Omar ci dice che raramente hanno colpito i combattenti ISIS, poiché questi si nascondevano nelle case dei civili e nelle scuole. “Il giorno che sono fuggito fu colpita una scuola di al-Kharmah e morirono molti bambini” ricorda.

Omar ci dice anche che “..la gente della mia città è stata uccisa non solo dai combattenti ribelli, ma anche dagli attacchi aerei statunitensi e dall’artiglieria dell’esercito iracheno. Per Omar “non c’e’ alcuna differenza tra questi e le uccisioni selvagge di quelli dell’ISIS”. Omar ha tentato di fuggire per più di due mesi ma non aveva il denaro necessario, così ha venduto tutti i suoi mobili. Ora vive a Irbil, la capitale Curda, dove i suoi figli e le sue figlie lavorano in aziende agricole locali. “E’ comunque sempre meglio che vivere ad al-Kharmah”.

Americani, iracheni, ISIS, tutti questi hanno portato la rovina nella sua terra, e ci elenca tutte le guerre che da dieci anni a questa parte dilaniano il suo paese. “Tutti ci stanno uccidendo”dice. “Noi non abbiamo amici”.

Patrick Cockburn

Fonte: www.independent.co.uk

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15.03.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERATA63

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