VERSO LA BATTAGLIA DI BERLINO: ANGELA MERKEL NEL BUNKER

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DI FEDERICO DEZZANI

federicodezzani.altervista.org

Aumentano poderose le spinte centrifughe che stanno disintegrando l’Unione Europea: la situazione, come in tutte le fasi che precedono il collasso di un sistema, è ogni giorno più convulsa e concitata, generando una serie di crisi che si susseguono senza soluzione di continuità, dal Portogallo alla Grecia, dall’Italia alla Svezia. L’intera impalcatura europea scricchiola ed è sufficiente un colpo violento per romperne il precario equilibro: ecco perché bisogna tenere gli occhi puntati sulla Germania e sulle imminenti elezioni regionali. Se è ancora possibile tamponare le crisi nell’europeriferia per qualche mese, una forte emorragia di voti per la CDU alla prossima tornata elettorale, seguita dalla caduta di Angela Merkel, sarebbe l’inizio del collasso sistemico. Da quando ha lanciato la politica delle porte aperte a tutti dietro pressioni atlantiche, la cancelliera tedesca vive infatti nel bunker: la battaglia di Berlino incombe.

Una scommessa clamorosamente errata

È sempre più precario il quadro politico in Europa: a distanza di cinque anni dall’esplosione dell’eurocrisi in tutta la sua virulenza, il malessere economico si è allargato a macchia d’olio, partendo dalla Grecia per estendersi a Cipro, Italia, Slovenia, Spagna e Portogallo, fino ad infettare la Francia, sempre più periferica rispetto al “nocciolo tedesco”. Con un naturale ritardo, dovuto allo sfasamento temporale tra il peggioramento della situazione economica e la sua percezione da parte degli elettori, la crisi si è riversata anche sulla politica: l’ingegnosa idea di creare finti partiti anti-sistema (Syriza, Movimento 5 Stelle, Podemos, etc.) è una difesa tattica, non certo una soluzione strategica.

Ticchetta inesorabile l’orologio della situazione macroeconomica ed il tempo lavora contro le oligarchie euro-atlantiche: fallito il blitz di sfruttare l’eurocrisi per ottenere i massonici Stati Uniti d’Europa e la correlata unione fiscale, ogni mese che passa le condizioni delle finanze pubbliche e dell’economia inesorabilmente.

Arrivati così all’inizio del 2016 l’Unione Europea si presenta in avanzato stato di decomposizione, dalla penisola iberica a quella balcanica, da quella italiana a quella scandinava: le criticità si moltiplicano, le falle aumentano, l’intera impalcatura scricchiola. Non si cerca neppure di “rigettare a mare” la forze centrifughe che marciano verso il cuore del continente, ma piuttosto si ignorano, sia a livello politico che mediatico, mentre le istituzioni di Bruxelles si accartocciano su se stesse e si allestiscono linee di difesa ogni giorno più indietreggiate.

IMF Warns of Renewed ‘Grexit’ Fears Without Credible Greece Plan1 scrive l’8 febbraio l’agenzia Bloomberg, mentre il differenziale tra bund ed titoli greci torna stabilmente sopra i 1.000 punti base. Il Paese è di nuovo in ebollizione per il piano d’austerità accettato da Alexis Tsipras nonostante il referendum del 5 luglio? L’esecutivo si regge su una maggioranza di appena tre voti in Parlamento? Atene è di nuovo in recessione ed il debito pubblico è vicino al 180% del PIL? Non ci interessa.

In Portogallo si è insediato, nonostante le trame del presidente della Repubblica al limite del colpo di Stato, un governo di sinistra che rifiuta l’ortodossia finanziaria della Troika? Il differenziale con il bund viaggia sopra i 300 punti base? Il debito pubblico ed il sistema bancario fanno sudare freddo? Non ora.

In Spagna non c’è ancora un governo a distanza di quasi due mesi dalle elezioni? Il deficit del 2015 si avvicina al 5% del PIL2 ed il debito pubblico al 100%? Adesso abbiamo altro cui pensare.

In Italia le sofferenze bancarie ed il debito pubblico hanno raggiunto livelli di guardia? Il refolo di ripresa rischia di trasformarsi in una tempesta di recessione? Metteteci una pezza cacciando l’ex-enfant prodige Matteo Renzi ed installando l’ennesimo tecnocrate del gruppo Bilderberg, ma non ci assillate, perché abbiamo questioni più urgenti.

Se queste crisi sono tutte, più o meno, procrastinabili di altri tre o sei mesi, ne esiste una più grave della altre? Un’emergenza che non può essere rimandata come le altre? Sì, ed è la crisi migratoria: una scommessa dell’establishment euro-atlantico che si è rivelata un clamoroso fallimento, accelerando, anziché frenare, la dissoluzione dell’Unione Europea.

Della questione ci siano occupati più e più volte: in questa sede ci basta ricordare che il processo d’integrazione europeo, “per definizione una cessione di sovranità a livello comunitario possibile solo nei momenti di crisi più acuta3 come afferma il professore Mario Monti, è basato sul continuo susseguirsi di emergenze, propedeutiche a strappare porzioni crescenti di indipendenza ai Parlamenti nazionali, per attribuirli agli organismi di Bruxelles. La crisi migratoria va collocata in questa cornice.

Generata dalle Primavere Arabe ordite dalla NATO, alimentata dagli islamisti (vedi Alba della Libia in Tripolitania) appoggiati da angloamericani ed autocrazie sunnite, fomentata dagli alleati “dell’Occidente” nella regione (vedi l’azione destabilizzatrice di Ankara in Siria), l’attivazione di imponenti flussi migratori, “epocali” secondo Sergio Mattarella e “ventennali” secondo il Capo di Stato Maggiore americano Martin Dempsey4, era, al pari della crisi dell’euro, un’emergenza creata a tavolino dall’establishment euro-atlantico, così da consentire l’applicazione del “metodo Monnet” (da Jean Monnet, uno dei padri nobili dell’Europa unita) finalizzato ad estorcere altra autonomia decisionale ai membri della UE. Non solo: come l’eurocrisi si era accanita essenzialmente sui Paesi dell’Europa meridionale, così i flussi migratori avviati nella tarda estate del 2015 si prefiggevano di destabilizzare il Centro-Nord dell’Europa, fino a quel momento salvatosi.

Nell’operazione gioca un ruolo determinante la cancelliera Angela Merkel che, quando nel mese di agosto si mette in moto, risalendo i Balcani, la fiumana di profughi siriani ospitati in Turchia (senza alcun motivo apparente, ma sicuramente a causa delle pressioni delle autorità di Ankara e delle Ong operanti in loco), cambia improvvisamente opinione (poco settimane prima era rimbalzata sui media il video della bambina palestinese in lacrime davanti alla cancelliera, “perché la Germania non può accogliere tutti”) e dà il via alla politica delle porte aperte ai migranti.

Sì noti che, così facendo, Angela Dorothea Kasner, non agisce nella veste di cancelliera della Bundesrepublik, ma di agente delle oligarchie euro-atlantiche: il premier ungherese Viktor Orban, che nella narrazione della crisi migratoria è dipinto dai media come “l’antagonista”, essendo tra i primi ad erigere un muro ai confini con la Serbia, non esita infatti a chiamare in causa lo speculatore George Soros5, accusandolo di alimentare la tratta balcanica.

Per dare un tocco di scientificità alla nostra analisi, possiamo citare a questo proposito la curiosa indagine svolta dallo scienziato russo Vladimir Shalak (ripresa dal sito Sputnik con l’articolo “Indovinate chi invita i profughi in Germania6) che, analizzando l’origine dei messaggi in arabo su Twitter che invitano i migranti a recarsi nell’ospitale ed accogliente Germania, scopre che i tweet provengono solo per il 6% dalla Repubblica Federale e per il 41% da Paesi anglofoni (USA, GB, Australia e Canada). L’establishment atlantico, in sostanza, invita i profughi generati dalle guerre della NATO a raggiungere la Germania, contando sul fatto che la cancelliera (quasi sicuramente contro voglia, essendo molto attenta agli umori dell’elettorato) spalanchi le porte.

Proprio come l’eurocrisi si dimostra una clamorosa scommessa sbagliata che, anziché produrre gli Stati Uniti d’Europa (vedi i tentativi in extremis di strappare un Tesoro comune), alimenta tensioni nell’Europa occidentale come non si vedevano dalla fine delle guerra, così anche l’emergenza migratoria si trasforma in una disfatta strategica: invece dell’ottenimento della retribuzione pro-quota obbligatoria dei migranti (un intervento a gamba tesa sulla sovranità dei singoli Stati, privati della facoltà di decidere quali e quante persone accogliere), si genera una frattura così profonda in seno alla UE da mettere in discussione persino l’accordo di Schengen sulla libera circolazione delle persone.

Maggiore è infatti l’autonomia dei membri dell’Unione Europea dai legacci euro-atlantici, più forte è l’insubordinazione nella gestione della crisi migratoria. Il gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, tutte senza euro, tranne l’ultima) rifiuta categoricamente la suddivisione obbligatoria dei migranti e l’Austria (esclusa dal perimetro della NATO) annuncia il 16 gennaio la volontà di ristabilire i controlli alle frontiere7, seguita dall’introduzione di un tetto limite ai profughi che potranno entrare in Austria (127.500 fino al 2019)8. La reazione di Bruxelles è ovviamente furibonda: il tetto ai richiedenti asilo è illegale! Vienna non si scompone e tira dritto.

L’effetto sortito dall’ondata migratoria è quindi l’esatto opposto di quello auspicato dalle oligarchie massonico-finanziarie che tirano i fili dell’Unione Europea: lo spaesamento, la frustrazione e l’impotenza di questi ambienti è palpabile nell’articolo “Putin is a bigger threat to Europe’s existence than Isis9 apparso sul The Guardian l’11 febbraio, a firma nientemeno che dallo speculatore George Soros. Il finanziere (in affari con la famiglia Rothschild dai tempi degli assalti speculatici col Quantun Fund) si cimenta in un discorso così paradossale, forzato ed allo stesso tempo bambinesco, da far sorridere: la UE rischia di disgregarsi per colpa della crisi migratoria che è deliberatamente alimentata da Vladimir Putin, deciso a trarre il massimo profitto dal collasso dell’Unione!

“Putin’s aim is to foster the EU’s disintegration, and the best way to do so is to flood Europe with Syrian refugees. (…) Russian planes have been bombing the civilian population in southern Syria forcing them to flee to Jordan and Lebanon. (…) Putin is a gifted tactician, but not a strategic thinker. There is no reason to believe he intervened in Syria in order to aggravate the European refugee crisis (…) But once Putin saw the opportunity to hasten the EU’s disintegration, he seized it.”

Vladimir Putin, secondo Soros, bombarda la Siria; vede che la gente che scappa; i profughi vanno in Europa; lì fanno casino; la UE si disgrega e quindi Putin bombarda ancora di più. Perbacco! Ma chi ha creato, finanziato ed armato l’ISIS?

Il peggio per le oligarchie euro-atlantiche deve ancora venire: la politica delle aperte imposta ad Angela Merkel, necessaria per inondare l’Europa centro-settentrionale di migranti, si ripercuote inesorabilmente sugli umori dell’elettorato, provocando un repentino crollo della popolarità della cancelliera, della CDU e dell’esecutivo. I piani, basati sulla ripartizione obbligatoria dei profughi e sul rapido rientro della crisi, si rivelano sbagliati: incombono ora in Germania le elezioni regionali ed una sconfitta di Angela Merkel, seguita dal suo siluramento dalla Cancelleria, rischiano di infliggere il colpo letale alla già moribonda Unione Europea.

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