UOMINI E TOPI: LA VERA SCELTA ESISTENZIALE

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DI SERGIO DI CORI MODIGLIANI

Libero pensiero

“Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà…. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col timore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti.” – Primo Levi

Post pasquale.
Dedicato a tutti coloro che credono in una possibile Resurrezione del proprio Sè umano.

Ieri notte, lo scrittore Gabriel Garcia Marquez se n’è andato per sempre.
In Colombia, dov’era nato e vissuto, il governo ha dichiarato il lutto nazionale per tre giorni.
Sulla sua tomba, come da lui richiesto, verranno messe due fotografie: quella di Mercedes, la sua fedele compagna di tutta la vita, e l’immagine della squadra di calcio del Medellìn l’ultima volta che ha vinto lo scudetto, essendo lui un accanito tifoso di questo sport.
A Buenos Aires, Lima, Montevideo, Città del Messico, L’Avana, in tutto il continente americano di lingua spagnola, la radio e la televisione hanno interrotto le trasmissioni correnti per dare l’annuncio della sua dipartita verso il Grande Mistero Terrestre.
Lo piange, a ragione, un intero continente.

Perchè Gabriel Garcia Marquez li ha sdoganati, imponendo all’attenzione planetaria l’esistenza di quella cultura, di quei popoli, di quelle etnie, e tutti i governi -consapevoli di questo fatto- glie lo riconoscono oggi ufficialmente.
Il libro che lo ha proiettato alla curiosità mondiale era un romanzo, si chiamava “Cent’anni di solitudine” e venne pubblicato a Bogotà nell’aprile del 1967, quasi cinquant’anni fa.
Fino a quel momento, il Sud America non esisteva nella consapevolezza e nell’immaginario collettivo dell’Europa e degli Usa, i veri produttori di trend, mode, ideologie, passioni collettive.
I due più importanti scrittori sudamericani, Cortazar e Borges (entrambi argentini) erano apprezzati, riveriti e seguiti, soltanto da un ristretto numero di lettori colti, di cui pochi nel continente americano, anche perchè Cortazar abitava per lo più a Parigi dove si occupava di surrealismo e Borges amava soggiornare a Londra dove teneva delle conferenze per lo più parlando dell’Iliade e di esoterismo alchemico.
Marquez seguiva un altro percorso, fedele ai quattro cardini propulsivi della sua vita, come lui ci ha confessato “le quattro grandi passioni che mi hanno da sempre animato e sorretto: le femmine, la politica, la letteratura, il calcio”.
Nel febbraio del 1966, quando l’America, dal Messico al Polo Sud, era in grande ebollizione sociale e si stava diffondendo una massiccia coscienza collettiva anti-imperialista, un mattino, Marquez aveva annunciato alla sua fidanzata Mercedes “Vado a Parigi a scrivere un libro, un passaporto per tutti noi, ho bisogno di mettere una distanza tra me e la mia America: vado a mettere la testa nella bocca del leone aristocratico. Se mi aspetti, quando torno, ti sposo”.
Lei gli disse:”Va bene, se per te è così importante, vai pure. Ti aspetterò un anno”.
Undici mesi dopo, le spedì un telegramma: “Torno tra una settimana per cercarmi un editore, la moglie l’ho già trovata: prepara pure le carte e dai l’annuncio alla tua famiglia”.
Il suo romanzo venne tradotto subito in tutto il mondo, ottenendo un enorme successo dovunque.
E il Sud America, grazie a quel libro, finì sulle prime pagine di tutti i giornali del pianeta.
Fino a quel momento, la lettura di quel continente era stata sempre e soltanto di matrice europea e statunitense, con un santino collettivo autoctono -il dottor Ernesto Guevara, detto “El Che”- che era diventato un’icona pop del marketing giovanile, un manifesto da incollare al muro sopra al letto, accanto a quelli di John Lennon, Jimmy Hendrix, il generale Giap e Lenin.
Quel romanzo, invece, proiettò sulla scena mondiale, per la prima volta, l’idea della diversità globale, l’esistenza di una cultura territoriale che era stata capace e in grado di coltivarsi, di affermarsi nei secoli, alchemizzando dentro di sè l’eredità del colonialismo europeo accompagnata dalla consapevolezza di essere niente di più che schiavi poveri, ma regalandole il recupero di una tradizione autoctona che la critica definì “realismo magico”.
Aprì una nuova stagione della cultura politica occidentale, quella che, di lì a breve, avrebbe portato l’intero continente sudamericano alla rivolta e all’aperta ribellione contro i colossi della finanza globale anglo-franco-italiano-statunitense, finita nei primi anni ’70 in un bagno di sangue, perchè il Sud Aamerica stava diventando un pericoloso esempio di una alternativa possibile, reale e realistica, alla logica del capitalismo consumistico euro-atlantico.
Marquez fu il collante di quella grande epopea, il grande megafono, la voce del popolo, di quelli che lui amava definire “i grandi afoni cancellati dall’aristocrazia europea”. Da allora, fu sempre protagonista della scena politica e della cronaca, anche quella gossip, come nel 2001 quando per mesi e mesi in tutto il Sud America si parlò di un piccolo evento, accaduto a Bogotà, ma che divenne il nutrimento di una gigantesca polemica collettiva sui Diritti Civili, animata dalla femministe sudamericane: in un settimanale locale pop, infatti, nella rubrica degli annunci era comparso il seguente trafiletto: “Scrittore molto famoso, che va per gli 80 anni, cerca femmina armoniosa e sensuale, di etnia sudamericana doc, disposta ad accompagnarlo per andare ad assistere agli allenamentri della squadra di calcio della nazionale”. I giornalisti colombiani impiegarono molto poco tempo per capire che era lui e il fatto divenne di pubblico dominio. Intervistarono la sua compagna che dichiarò “Cosa volete che vi dica? C’è chi prende il viagra o la cocaina e c’è invece chi mette annunci, i maschi sono bambini fatti così”. Ancora ne parlano, in certi ambienti.
Qualche mese fa, quando presenziò alla festa di lancio ufficiale dei mondiali di calcio gli chiesero quali fossero gli eventi più importanti avvenuti nel secolo XX in Colombia.
Marquez rispose: “Non vi sono dubbi: la pestilenza della colera nel 1922, l’esplosione de La Violencia nel 1948, la pubblicazione del mio romanzo nel 1967 e la vittoria della Colombia per 5-0 contro l’Argentina nel 1993. Il fatto è che tutto ciò è assolutamente vero e documentato”.
Il Sud America piange, oggi, la sua dipartita.

C’era un tempo in cui esistevano gli scrittori.
“I tempi sono cambiati, gli scrittori non servono più” sostengono alcuni.
Non sono d’accordo.
I tempi non sono cambiati affatto, sono identici al 1967, al 1754, al 1306, al 162.
Sono cambiate le mode, gli stili, le abitudini, le comunicazioni, le modalità, gli usi e i costumi.
Ma la Specie Umana è rimasta al palo, altrimenti sarebbe per noi incomprensibile la lettura della Antica Bibbia, mentre invece la si può godere ancora oggi, leggendola, coma la cronaca attuale del costante dissidio tra l’arroganza di un ristretto gruppo di arroganti prepotenti privilegiati e il resto dell’umanità -cioè la maggioranza- che si ribella a questa idea.
Noi siamo in grado di divertirci, ancora oggi, quando leggiamo Otello di Shakespeare, perchè esiste ancora il femminicidio e le donne vengono strozzate senza alcun motivo, così come esiste ancora, nel meccanismo sentimentale dei potenti, la diabolica ipocrisia dei Jago di turno.
A questo servono gli scrittori.
A ricordare alla gente come siamo, che cosa siamo, da dove veniamo, ma soprattutto dove stiamo andando e dove possiamo andare, mantenendo intatta la gloriosa speranza di poter arrivare un giorno a fare quel salto che renderà l’epopea di Caino e Abele un evento del nostro passato collettivo di Specie: per il momento stiamo ancora lì, alla pagina tre della Bibbia.

Non esiste, e non è m
ai esistita, nessuna società che a un certo tempo si sia evoluta, abbia realizzato un piccolo passo avanti, sia progredita, senza avere dietro una poderosa classe intellettuale di scrittori, di artisti, di pensatori, soprattutto di narratori.
Nella sua monumentale e splendida autobiografia, Harry Truman raccontava come, una sera, parlando con Roosevelt e Keynes, il presidente Usa avesse loro confessato: “Siamo sinceri, non ce l’avremmo mai fatta se non fosse stato per Dos Passos, Saroyan, Caldwell, soprattutto Steinbeck. Senza di loro, l’America non avrebbe capito. Soprattutto non lo avrebbe mai saputo”.
Così come Marquez sconvolse in positivo il popolo sudamericano nel 1967, così, esattamente 30 anni prima, nel 1937, la società americana era rimasta sconvolta dalla lettura del romanzo “Uomini e topi” di John Steinbeck. Era la prima volta che i reietti dell’umanità diventavano protagonisti assoluti di una storia popolare in Usa, bianchi di pelle, provenienti tra l’altro da quella classe media che aveva creduto nel paese del sogno e delle opportunità, falcidiati dalla speculazione dei colossi della finanza che nel 1929 avevano fatto implodere la nazione provocando una catastrofe economica planetaria. Uomini ormai privi di dignità e di identità, costretti a vivere come topi,l’animale più vorace e bulimico esistente sul pianeta, che si intrufola dovunque pur di mangiare, che si adatta a ogni circostanza, a ogni ambiente, e che porta nel suo bagaglio genetico super immunizzato i germi di malattie contagiose in grado di sterminare l’umanità. “Siamo uomini o topi?” scrisse il giovanissimo Walter Cronkite sul New York Times “condannati alla mera sopravvivenza deambulando in cerca di cibo o meritevoli della dignità che solo e soltanto dal riconoscimento della nostra espressione nel lavoro ci può essere garantita?”. Il dibattito intellettuale dell’epoca ruotò di 180 gradi e passò d’un colpo dall’economia ai Diritti Civili, alla discussione sulla salvaguardia della propria Cultura, come sarebbe accaduto 30 anni dopo in Sudamerica dopo il libro di Marquez.
Hollywood saltò subito in groppa al trend lanciando una nuova star, Henry Fonda, nel film tratto dal romanzo. Uscì l’anno dopo anche in Italia, nonostante lo sbarramento del fascismo dinanzi alla produzione letteraria oltreoceano. Fu grazie all’elegante attività di un nobile dell’epoca (sia di censo che di animo) il conte Valentino Bompiani, il quale chiese al ministero il permesso di tradurlo, dando la commessa “a una delle migliori intelligenze fasciste in circolazione”, ottenendolo immediatamente. Uscì in una mirabile versione, per i tipi di quella casa editrice alle prime armi, tradotto da Cesare Pavese, noto a tutti, negli ambienti colti, per essere un intellettuale anti-fascista della buona borghesia torinese.
Approfittando della mancanza di informazioni dell’epoca, il regime italiano lo presentò sostenendo che si trattava della descrizione della povertà della vita americana, una società descritta allora da Telesio Interlandi su “La difesa della razza” come un mondo “ormai giunto al declino e alla fine ingloriosa e vile della loro parabola storica”. Ma il romanzo cominciò a circolare e a essere discusso da menti pensanti che sapevano come presentarlo e pochi mesi dopo venne tolto dalla circolazione. Il conte Bompiani fece in tempo a fuggire a Parigi prima di essere arrestato. Nel 1940 veniva bollato come “romanzo pericoloso per la cultura nazionale”.

Quaranta anni dopo, nel 1977, presentando a Dallas, nel Texas, il suo programma di “rinnovamento planetario per il risveglio delle coscienze d’occidente” un senatore del Partito Repubblicano Usa, Powell, diffondeva il suo “memorandum”, di cui consiglio a tutti, caldamente, la lettura (lo trovate dovunque in rete sotto la dizione di memorandum di Powell) nelle cui pagine spiegava la fondamentale importanza che aveva assumere il controllo mediatico del pianeta, occupare i centri nevralgici universitari, impossessarsi dei quotidiani e delle televisioni e comprare con danaro sonante gli intellettuali e gli artisti per impedire che producessero materiale di strumentazione critica che potesse stimolare il ragionamento. In quella occasione si parlò anche dell’Italia, considerata la piattaforma ideale, vero e proprio laboratorio. I grossi colossi finanziari dell’epoca erano disponibili a sostenere l’enorme sforzo economico richiesto. Il piano relativo al nostro paese venne affidato quindi, nella sua esecuzione piatta, a un materassaio di Frosinone, Licio Gelli, che provvide a costruire la rete italiana, affidando all’inizio a Maurizio Costanzo il compito ufficiale di idiotizzare la massa, prima attraverso il lancio sperimentale di un quotidiano popolare ad altissima tiratura, da lui diretto, che si chiamava “L’Occhio”, e poi attraverso la televisione.
Come avvenne, per filo e per segno.
Il resto è storia nota a tutti.
Così, poco a poco, l’Italia ha cominciato a trasformarsi disossandosi, snaturando la propria ricca e invidiabile tradizione culturale. Per diventare il paese che è oggi, la nazione più ignorante e dormiente di tutto l’occidente, la più corrotta di tutte, quella più deprivata di competenza professionale, quella con il più alto tasso di analfabetismo di ritorno, con il più basso indice di lettura e un trend attuale verso il peggioramento, con un sistema editoriale finanziato e sorretto da enti statali e governativi presieduti da funzionari di partito che quel piano dovevano portare avanti. Un paese privo di editori pensanti e competenti, divenuti impiegati di consorzi bancari, ma soprattutto un paese dove non esistono quasi più intellettuali critici, artisti, scrittori, disposti a svolgere la propria mansione e funzione interpretandola come responsabilità civile, dediti soltanto alla deferenza servile, peraltro ben pagata.
Un paese privo di megafoni, è condannato a produrre un esercito di eroi afoni, dediti a una inutile divulgazione, perchè quando non ci sono più voci, anche l’udito si adatta e quindi si spegne. Se nessuno parla più nè scrive, poco a poco scompaiono le orecchie e il pubblico.
E’ l’offerta culturale che crea e determina la qualità della domanda.
Il senatore Powell a Dallas, a metà degli anni’70, lo spiegò con accurata precisione chirurgica.
Così ci hanno trasformato in topi.
E’ ciò che siamo diventati.
Topi di destra, topi di sinistra, topi credenti, topi atei, del nord e del sud, maschi e femmine.
Pronti a reagire come nei laboratori di ricerca alla banalità dello stimolo-risposta, sempre a caccia di cibo, irretiti nella bulimia del narcisismo, senza più storie interessanti da ascoltare, senza più storie istruttive da leggere.
Possiamo uscire dall’euro domattina, o restarci per altri 22 anni, non cambia nulla.
Possiamo tenerci Matteo Renzi per altri quattro anni, oppure sostituirlo con un altro tra sei mesi, come ha fatto lui con Enrico Letta e come aveva fatto Letta con Mario Monti, non accadrebbe nulla. Sono intercambiabili.
Si nominano tra di loro.
Si chiama Sindrome MM, acronimo che sta per Maquillaje Mediatico.
L’altra faccia della medaglia, che è speculare, sta per Mafia Mentale.
Comprensibile per chiunque abbia la voglia e la volontà di voler comprendere.
E’ così, ed è inutile illudersi che possa essere diverso, si andrebbe incontro a cocenti delusioni. L’unica modalità scientifica per evitare una delusione consiste nel non covare illusioni, bensì lavorare sulle certezze.
E noi italiani, volendolo, ne abbiamo eccome!
Un paese che candida alle elezioni indagati, condannati, ignorantoni, individui privi di ogni merito e di ogni competenza tecnica, indifferentemente maschi o femmine, settentrionali o meridionali, si conda
nna da solo al suo inevitabile tramonto.
E’ di una banalità quasi ovvia.

Questo post è dedicato a tutti i miei connazionali cristiani per celebrare la Santa Pasqua.
Al di là della scampagnata e degli aspetti spiritualmente intrinsechi della festività, sarebbe bello cogliere anche la grande metafora che si nasconde dietro l’immagine della resurrezione del Cristo.
Per farla nostra.
E accettare, come nuovo percorso unificante, in grado di accoglierci tutti, al di là delle differenze e delle ideologie di provenienza, l’idea di identificare come unica strada possibile quella che passa attraverso la inderogabile necessità di una Resurrezione Culturale della nostra etnia, come popolo, come nazione, come individui pensanti.
Per avere il coraggio di morire come topi.
E risorgere come uomini e donne.
Gli italiani non pensano più. I topi neppure.
Con l’augurio di cuore che vi venga all’improvviso una insopprimibile voglia di avere tra di noi degli Steinbeck e dei Marquez, per squarciarci il cuore e la mente.
Senza quell’ausilio, siamo diventati i topi di Licio Gelli, e topi di laboratorio rimarremo.
Sarebbe ora che pretendessimo tutti di voler ritornare a essere di nuovo umani.
Squisitamente Umani.
Solo questo, di per sè, sarebbe già l’inizio della necessaria rivoluzione di cui abbiamo bisogno.
Altro che riforme!

Buona Pasqua a tutti.

Sergio Di Cori Modigliani
Fonte: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it
Link: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2014/04/uomini-e-topi-la-vera-scelta.html
18.04.2014

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