UN’EUROPA NATA COME L’ITALIA: UNITA MA SENZA UNIT

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Nel dibattito sull’Europa l’Italia avrebbe un sorprendente esempio storico cui far riferimento: una recente unificazione nazionale priva di consenso popolare e vissuta dal Regno delle due Sicilie come una vera e propria occupazione militare (e di classe) teorizzata da avanguardie della borghesia piemontese e direttamente collegata agli interessi mercantili britannici di avere uno scalo sul Mediterraneo.

La nostra pessima Unità senza italiani, il cui primo elemento di unificazione è stato il regime fascista e il secondo il regime democristiano Rai, si è basata strutturalmente su un ufficioso federalismo dei feudi e dei baronati locali. Vale a dire che in talune aree d’Italia lo Stato ha chiuso più di un occhio su Costituzione, riforma agraria e obbligo scolastico.

L’assenza di un piano industriale omogeneo che riguardasse l’intero territorio nazionale, il fallimento della Cassa del Mezzogiorno e il conseguente fenomeno di emigrazione di massa verso il Nord sono state le condizioni necessarie e sufficienti per il mantenimento dell’equilibrio tra Stato burocratico, capitalismo settentrionale e latifondi ex borbonici.

Cosa c’entra la storia d’Italia con la crisi europea di oggi? Arrivo al punto. Il problema di un Sud Italia sacrificato per “ragion di Stato” alla povertà e all’immobilismo ha determinato, durante la Prima Repubblica, tre tipi di risposta: 1) la linea governista (che ha pensato come ineluttabile il sacrificio di metà Paese al fine della stabilità); 2) la rivolta di tipo localistico e separatista (dal Movimento per l’Indipendenza della Sicilia nel primo dopoguerra ai Moti di Reggio Calabria del 1970); 3) la risposta del Pci e dei sindacati: né populismo regressivo né eterno presente governista ma proposta di utopia e trasformazione.

La sinistra marxista o marxiana si oppose severamente a tutti i moti autonomisti e restaurativi, che non poteva non considerare come un peggioramento delle condizioni di vita popolari, ma non chiuse mai gli occhi di fronte alla “Questione meridionale”, cercando di indirizzarne il malcontento verso un conflitto di classe unitario e nazionale: le lotte sindacali.

La questione europea si fonda su presupposti simili.

Certo, i poteri in campo sono radicalmente mutati, il capitalismo reale si è fatto finanziario e transnazionale, siamo nel mezzo di una guerra speculativa mondiale che si combatte radendo al suolo gli Stati e assorbendone enti pubblici e pacchetti azionari svalutati e svenduti da governi tecnici o sotto attacco. Tutto il dolore che stiamo provando in questi anni deriva da questo bombardamento invisibile e silenzioso, come nel film The Happening di Shyamalan dove una forza misteriosa deprime e uccide la popolazione ma non si riesce a capire di cosa si tratti.

Un giorno, quando ne usciremo, la speculazione finanziaria e il liberismo dovranno essere iscritti tra i crimini contro l’umanità.

Eppure sono sempre tre le risposte possibili al dramma di un’unificazione valutaria coatta e prepotente, che schiaccia le regioni meridionali svuotandole di democrazia e diritto.

La prima è l’immobilismo della “larga intesa”, la cui parabola è ben descritta dalla profezia della Costa Concordia.

La seconda è la rivolta regressiva e nazionalista (la cui capacità egemonica è imponente; si rimane allibiti ad esempio leggendo un intellettuale come Costanzo Preve che invita a votare Le Pen e definisce l’immigrazione come un’arma del “mondialismo” contro gli Stati nazionali. Anche nel nostro campo l’utopia schiacciata dal terrore può produrre mostri e deliri rosso-bruni: facciamo attenzione!).

La risposta che noi dobbiamo dare deve essere diversa. Né con la Bce, né coi nazionalisti! Cambiare è possibile? Dipende.

La “Nuova questione meridionale” si affronta innanzitutto non negandola. Studiandola scientificamente, divulgando nozioni e proposte di riforma valutaria praticabili. Solo con la scienza può essere smagnetizzata la calamita populista.

In secondo luogo, a mio avviso, è necessario adottare un punto di vista radicalmente e definitivamente europeo.

Indietro non si torna. Di fronte a poteri transnazionali in grado di sbriciolare in due colpi di mouse uno Stato, pensare di dare una riposta di tipo nazionale è solo una bella favola. Occorre contribuire alla costruzione di un sindacato europeo. Dare vita a battaglie, a manifestazioni, a scioperi continentali.

Dobbiamo essere europei come ieri siamo stati italiani, non per ideologia ma per prassi: si può combattere un potere solo se si ha una forza altrettanto grande ed efficace.

Davide Nota

Fonte: www.esseblog.it
Link: http://www.esseblog.it/autori/davide-nota/uneuropa-nata-come-litalia-unita-ma-senza-unita.html
8.12.2013

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