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Noam Chomsky svela l’imbroglio delle presidenziali americane/INTERVISTA

Si chiede di votare per Bush o per Kerry per la faccia che hanno e non per le politiche che propongono. In realtà, la maggioranza degli americani ha opinioni – sull’Iraq come sulla sanità – che non hanno rappresentanza in nessuno dei due candidati. La partecipazione negli Usa si esaurisce nell’atto meccanico di spingere una leva. Atto che coinvolge appena la metà dei cittadini. L’analisi spietata del celebre linguista

DI PATRICIA LOMBROSO

«Il fattore che impressiona in queste elezioni presidenziali, più nelle elezioni presidenziali del 2000, anche se non costituisce più una novità, è osservare, ancora una volta, come la volontà espressa dalla maggioranza della popolazione americana – sia nelle tematiche di politica estera sia di politica interna – non sia in accordo con entrambi i partiti, democratici e repubblicani. Quest’anno poi, la gigantesca macchina di propaganda politica – il cui obiettivo è quello di restringere sempre più il margine di partecipazione attiva al processo elettorale per la politica governativa – ha effettuato un salto qualitativo notevole. L’elettore viene chiamato a scegliere Kerry o Bush per le “qualità” mediatiche pubblicitarie di un leader forte e carismatico, oppure di una persona che piacerebbe incontrare al bar. Ecco la triste storia di queste “elezioni”». E’ con questa analisi spietatamente lucida di Noam Chomsky che inizia la nostra intervista sulle elezioni presidenziali del prossimo 2 novembre, descritte come «le elezioni più importanti ed epocali» dalla maggior parte della sinistra radicale americana.Qual è il tono dell’America e come valuta la partecipazione dell’opinione pubblica alla campagna presidenziale del 2004? In cosa diverge dalle elezioni del 2000?

Esiste certamente, questa volta, una maggiore volontà di partecipare; esiste un maggior coinvolgimento in vari settori della popolazione e in alcuni ambiti dell’industria vicini al partito repubblicano ma contrari a Bush. Ma se nei sondaggi tra l’opinione pubblica si pongono i seguenti quesiti alla popolazione: perché opta per Bush o Kerry in relazione al loro programma politico; o alle proposte di piani programmatici per il governo del paese; o alle varie posizioni rispetto diverse tematiche, entrambi i partiti, quello democratico con Kerry, quello repubblicano con Bush, ottengono soltanto il 10 per cento del consenso popolare.

E perché sia Kerry che Bush raccolgono soltanto il 10 per cento?

Perché le tematiche fondamentali che stanno a cuore alla popolazione americana non vengono discusse nei dibattiti recenti, né costituiscono oggetto di confronto fra i due candidati. Per questo motivo, ripeto: il tono di queste ultime settimane è sì di una maggiore partecipazione da parte dell’opinione pubblica, a differenza delle elezioni presidenziali del 2000, ma questa partecipazione è senza volto. Non trova espressione nei candidati Bush e Kerry, i quali invece dovrebbero venir scelti sulla base del programma politico del governo futuro di milioni di americani. Questa campagna elettorale è essenzialmente centrata sulle «qualità» di personalizzazione del candidato. Ma non per le «issues» tematiche rappresentate ed identificate con quel preciso candidato.

Ci fornisca un’esemplificazione di questa volontà e delle tematiche che sono «senza volto».

A marzo di quest’anno, l’elettorato spagnolo doveva esprimersi con il voto sul ritiro dei contingenti militari della Spagna dall’Iraq, a meno che la gestione dei problemi connessi alla sicurezza, in Iraq, fosse sotto il diretto controllo delle Nazioni unite. Si dà il caso che, in quella stessa data, qui negli Stati uniti, circa il 70 o 80 per cento della popolazione americana, si fosse espresso allo stesso modo: spettava alle Nazioni unite e non agli Stati uniti gestire le fasi della ricostruzione economica in Iraq e della transizione del paese verso un nuovo sistema politico.

Dove identifica la differenza per gli Stati uniti?

Negli Stati uniti, questi fatti e dati non li conosce nessuno, a meno che non venga effettuato un apposito progetto di ricerca. In secondo luogo, le posizioni chiaramente espresse dalla maggioranza della popolazione è quasi impossibile vengano alla luce, durante la campagna elettorale per le presidenziali.

E’ interessante che questi dati siano opposti a quanto divulgato dai media e politologi sino ad oggi, in relazione al consenso della popolazione americana sul ruolo dell’Onu e non invece su quello unilaterale degli Stati uniti in Iraq. Quali altre tematiche nella sua ricerca presentano un consenso manipolato?

Il ruolo del Tribunale penale internazionale. La popolazione americana ritiene che gli Stati uniti dovrebbero essere obbligati a sottoscrivere le norme di diritto internazionale, come ogni altro paese. Ma nessuno dei due partiti, democratico e repubblicano, prende in considerazione questa volontà della popolazione. Lo stesso discorso vale per il dibattito nel mondo sull’importanza del Trattato di Kyoto. La grande maggioranza della popolazione ha detto che gli Stati uniti devono essere fra i firmatari del Trattato internazionale mentre nessuno dei due partiti ha intenzione di siglarlo. Per quanto riguarda la dottrina della cosiddetta guerra preventiva, vale a dire l’impiego della forza militare, appoggiata dall’establishment politico americano dei due partiti, trova l’opposizione della maggioranza della popolazione americana. E’ ferma convinzione che l’impiego della forza militare sia giustificata, a livello internazionale, nei limiti indicati dallo statuto delle Nazioni unite: Cioè, soltanto nel caso in cui un paese membro venga attaccato militarmente o sia sotto minaccia di un attacco di aggressione.

Perché queste posizioni dell’opinione pubblica non hanno la possibilità di emergere?

Perché il tipo di consenso richiesto all’opinione pubblica americana dalle élite politiche non ha nulla a che fare con quel che l’opinione pubblica realmente pensa.

E così, questo consenso «inventato», presentato durante i tre ultimi dibattiti fra Bush e Kerry, è diventato una «realtà politica»?

Certamente. In politica interna, il tema dell’assistenza sanitaria e medica sta a cuore a tutta la popolazione americana. 43 milioni di americani non hanno alcuna assistenza medica. L’80 per cento degli americani ritiene che il governo dovrebbe assicurare l’assistenza sanitaria a tutti, anche se ciò comportasse un aumento delle tasse. Nessuno dei due partiti li ascolta. La partecipazione al processo decisionale per la formazione di un governo viene limitata a quell’atto simbolico in cui l’elettore, ogni quattro anni, viene chiamato a spingere quella leva del seggio. E soprattutto, in questa elezione l’elettore viene chiamato a scegliere le qualità della persona. E’ una strategia di propaganda politica, ogni volta con innovazioni tecniche; la partecipazione dell’intera industria delle relazioni pubbliche viene coinvolta per evidenziare più una espressione facciale che una tematica di programmazione politica che corrisponda alla volontà della base popolare. Bush o Kerry? E’ una macchina pubblicitaria che questa volta più di altre, consciamente o inconsciamente, si affida alla pubblicizzazione di un Bush «forte che ci salverà» e di un Kerry «persona piacevole», non alla piattaforma programmatica di governo. Di conseguenza, questa volta probabilmente ci sarà una minore astensione dal voto. Ma nessuno dei due candidati, né Kerry né Bush, fa il tentativo di convincere la metà della popolazione americana che non vota (140 milioni), in prevalenza cittadini delle zone rurali, impiegati e operai.

Nella sua analisi, c’è una differenza fra i due candidati sul modo di uscire dall’Iraq?

In merito alla disastrosa politica americana in Iraq, non esiste una strategia per uscirne, se si analizzano le varie posizioni espresse durante i tre dibattiti presidenziali. Esiste certamente una forte critica di Kerry alla politica di Bush in Iraq, ma la critica è incardinata dentro margini molto limitati e circoscritti. Nessuno però sostiene che condurre una guerra di aggressione in Iraq da parte degli Usa sia sbagliato. La critica verte sul fatto che l’occupazione e l’invasione dell’Iraq non funzionano, oppure viene messo in risalto l’esorbitante costo in termini economici e politici. Ha forse sentito dire da qualche leader politico o governo – anche in Europa – che invadere un altro paese, come l’Iraq, costituisce il «crimine supremo» condannato dal Tribunale di Norimberga? Eppure, il testo precisa che l’aggressione militare costituisce la somma di tutti i crimini che possano essere commessi. Non fu questo il il crimine per cui è stata condannata la leadership nazista?

Ma esiste allarme mondiale per la degenerazione dell’invasione in Iraq. Preoccupa alcuni settori americani?

Alcuni settori della leadership industriale. Ma perché la situazione in Iraq urta contro i loro interessi.

Ciò non influirà sul ritiro dei contingenti Usa dall’Iraq, neppure se gli americani vi fossero costretti dal deteriorarsi dell’intero Medio Oriente?

Come possono farlo, gli Stati uniti? Mollare il controllo delle risorse energetiche del resto del mondo? E’ questa un leva fondamentale per il controllo egemonico dell’intero pianeta.

Donald Rumsfeld ha accennato al ritiro Usa e poi ha ritrattato…

Immaginiamo che l’Iraq possa diventare un paese indipendente, parzialmente democratico: quale sarebbe poi la sua politica? Se diventasse interamente democratico, avrebbe una maggioranza sciita. Questo governo ristabilirebbe le relazioni con l’Iran. Cercherebbero di ristabilire la loro leadership nel mondo arabo. Questo vorrebbe dire un confronto col maggior nemico: Israele e l’occupazione militare. Ciò implicherebbe un riarmo militare con anche armi di distruzione di massa. Ciò potrebbe provocare una rivolta nell’area sciita dell’Arabia saudita. E’ qui la maggior concentrazione di petrolio. Potrebbero gli Stati uniti permettere che tutto ciò avvenga? No. Allora come possono ritirarsi dall’Iraq? Gli americani già sapevano che l’invasione dell’Iraq avrebbe aumentato il terrorismo. Era tutto previsto. Per la leadership americana non ha importanza. Nel mondo arabo, le leadership sono mantenuta al potere dalla leadership Usa.

Fonte:www.ilmanifesto.it
19.10.04

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