“Sono morti centomila civili”

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Ricerca choc sulla guerra in Iraq.
Le nuove statistiche pubblicate dalla rivista medica inglese «The Lancet» «Il 95% vittime di bombe e raid».
L’indagine condotta su 808 famiglie

E così, oltre alle 377 tonnellate di super-esplosivo, mancherebbero all’appello anche 100 mila iracheni. Centomila persone uccise dall’inizio della guerra, «in gran parte donne e bambini». Centomila, «stimate per difetto». Come dire gli abitanti di Lecce, o due volte la città di Mantova.
La stima (la denuncia) viene dall’autorevole rivista medica The Lancet , che a quattro giorni dalle elezioni Usa pubblica online uno studio condotto dai ricercatori di tre università, due americane (Johns Hopkins e Columbia) e una di Bagdad (Al-Mustansiriya). Nessuno ha contato centomila cadaveri. In genere la contabilità dei caduti riesce più facile quando si muore in divisa. Ieri per esempio è stato ucciso un soldato americano, e la lista si è subito aggiornata: 1.082 morti dal 20 marzo 2003. Oltre 800 vittime nel 2004 tra poliziotti e soldati iracheni (gli ultimi ieri, 11 uomini della Guardia Nazionale massacrati dai sequestratori che hanno messo online le foto dei loro corpi). C’è chi riesce a registrare, come fa The Brookings Institution, il numero delle autobomba (138 dal maggio 2003 al 13 ottobre 2004, con 1.442 morti e 6.620 feriti), o quello degli interpreti iracheni uccisi dalla guerriglia (52 nel 2004). Ma chi fa la somma di tutti i civili che ci lasciano la pelle? Nessuno, finora. Non ci sono dati governativi. Di solito si citano le stime (ricavate dai giornali) dell’associazione pacifista «Iraq Body Account»: 15 mila civili iracheni ammazzati dall’inizio dell’invasione.
Sono molti di più, dice ora The Lancet (il bisturi), rivista britannica fondata nel 1823 dal chirurgo Thomas Wakley con il motto «informare, riformare, intrattenere». In Iraq, denuncia The Lancet , dopo l’arrivo dei liberatori si muore più di prima. Ci sono 100 mila «extra deaths», centomila defunti che nel vecchio Iraq, stando ai tassi di mortalità ante-guerra, non sarebbero morti. Le principali cause di decesso: prima della «liberazione», attacchi di cuore e malattie croniche. Dopo, la violenza. Un iracheno ha 58 probabilità in più di morire rispetto a 18 mesi fa. I responsabili, secondo lo studio di Lancet , sono al 95% le bombe e i raid aerei americani.

Un’accusa pesantissima, che arriva sul Web nelle ore decisive della campagna elettorale Usa. Come sono giunti i ricercatori a queste conclusioni? Con strumenti di indagine statistica ritenuti validi tra l’altro da professori di statistica medica come Richard Peto dell’università di Oxford. Anche se lo stesso Lancet avverte che i dati da cui si sono ricavate le proiezioni sono «di qualità limitata», perché dipendono dalle interviste condotte sul campo.

Ovvero nelle famiglie. Nel settembre di quest’anno una squadra di ricercatori iracheni, in maggioranza medici, ha girato l’Iraq a gruppi di tre, fermandosi in 33 aree, in ciascuna delle quali ha selezionato a caso 30 nuclei familiari. Di queste 988 famiglie, 808 hanno accettato di collaborare. La domanda per tutti: quante nascite e quanti decessi a partire dal gennaio 2002. In 78 famiglie gli studiosi hanno chiesto i certificati di morte, ottenendoli in 63 casi. Ecco i risultati del confronto: in 808 case irachene, 46 morti prima della guerra, 142 dopo. Tradotto in statistiche: si è passati da 5 a 12,3 decessi ogni mille abitanti per anno. Questo però tenendo conto dell’effetto Falluja: un terzo di quei 142 morti totali si registra in un quartiere della roccaforte sunnita, dove i combattimenti e i raid Usa negli ultimi mesi sono stati più pesanti. Ma anche escludendo Falluja, restano 73 cadaveri: il tasso di mortalità si attesta su 7,9 ogni mille abitanti, comunque una volta e mezzo in più del periodo anteguerra. Dodici di quelle 73 morti non sono attribuite alle forze della coalizione, 28 sono bambini (mortalità infantile, da 29 a 57 ogni mille abitanti).
Da questi dati («di qualità limitata») i ricercatori sono giunti alla stima su base nazionale («probabilmente sbagliata per difetto»: 98 mila «extra deaths», 98 mila «morti extra» nel 97% del territorio iracheno (eccetto l’area di Falluja).

The Lancet è un settimanale che esce al venerdì. Ma sul numero in edicola oggi non c’è lo studio comparso ieri nell’edizione Web. «Non abbiamo fatto in tempo a metterlo», ha detto alla Ap un portavoce del giornale, aggiungendo che sul numero del 5 novembre forse sarà troppo tardi. «L’urgenza» dell’uscita online si giustifica con la scadenza elettorale? Nella corsa alla Casa Bianca giocheranno un piccolo ruolo anche quelle 808 famiglie scelte per caso? Conteranno, oltre alle 377 tonnellate di esplosivo di cui discutono Bush e Kerry, le statistiche su quei «100 mila iracheni scomparsi»?

Michele Farina

Fonte:www.corriere.it
29.10.04

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