RESISTANBUL – ERDOGAN RISCHIA IL SENTIERO DEL “DEVI ANDARTENE”

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DI PEPE ESCOBAR
Asia Times

Siamo alla primavera turca? No, almeno non ancora.
Il Primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan è il nuovo Mubarak? No, almeno non ancora.

La storia continua ad avvertirci che basta una scintilla ad accendere un falò politico. La recente scintilla a Istanbul è stata fornita da un piccolo gruppo di ambientalisti molto giovani che hanno organizzato un sit-in pacifico, in stile Occupy, in Piazza Taksim per protestare contro la distruzione pianificata di uno dei pochi rimanenti spazi pubblici verdi del centro città, il parco Gezi.

La distruzione del parco Gezi segue un racket del neoliberalismo testato globalmente; sarà rimpiazzato da un simulacro – in questo caso la replica della Caserma dell’artiglieria ottomana- ospitando cos’altro se non un ulteriore centro commerciale.

È cruciale notare che il sindaco di Istanbul, anch’egli del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) attualmente al governo, possiede una catena di negozi che farebbe una fortuna con il centro commerciale. E l’uomo che tiene il contratto per questa “bonifica”, altri non è che il genero di Erdogan.

Prevedibilmente la dura repressione della polizia ha fatto sì che ai manifestanti si unissero anche gli alti ufficiali del partito d’opposizione più importante della Turchia, il Partito Popolare Repubblicano (CHP). E in poco tempo, il tema verde di Piazza Taksim si è trasformato nel “abbasso il dittatore” in stile piazza Tahrir.

Entro sabato, a Piazza Taksim si sono ammassate decine di migliaia di persone; una moltitudine ha camminato oltre il ponte sul Bosforo dalla parte asiatica di Istanbul, battendo pentole e padelle come nel cacerolazo in Argentina del 2002, calpestando apertamente la legge che non permette ai pedoni di attraversare il ponte. La polizia ha debitamente aggiornato la repressione con idranti, spray al peperoncino e gas lacrimogeni.

Il comportamento dei media turchi maggiormente intimoriti è stato prevedibilmente orrendo – forse non sorprendente quando 76 giornalisti sono in prigione accusati di supportare “terrore” e altri non specificati “crimini”. Ciò può anche essere interpretato come un riflesso degli Stati Uniti e della NATO sostenuta da un prezioso alleato – come se “OK, rompete qualche cranio, ma non uccidete nessuno”.

La carta stampata almeno ha esibito alcune caratteristiche che compensano. Hurriyet – un giornale che esercitava le sue facoltà critiche- ha recuperato un po’ della sua dignità stampando titoli come “Erdogan non più onnipotente”. Zaman – che fa parte della rete del movimento islamista moderato Gulen- ha mostrato quanto è preoccupato riguardo a Erdogan e il potere schiacciante del AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, ndt), con editoriali che condannano il suo comportamento “eccessivo” e che supportano i manifestanti.

Nel frattempo, negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, Ankara non è ancora stata realmente condannata – solo l’usuale, insulsa “preoccupazione”. La Turchia dopotutto è la più recente nazione manifesto della CNN, è totalmente “in linea con l’ideologia del partito” nel suo stile di neoliberismo che autorizza l’autocrazia (così come lo sono le monarchie del petrolio del Consiglio di Cooperazione del Golfo). Di essere violentemente condannati -e minacciati con scioperi- è un “privilegio” di Iran e Siria.

PORTATELO SUL PONTE

Che appropriato che tutto ciò sia iniziato con la “bonifica” del Parco Gezi. Tuttavia, questo è solo un piccolo punto in un vasto schema – un mucchio di mega progetti del AKP per tutta Istanbul che escludono totalmente l’input della società civile.

La Turchia può essere diventata la 17esima economia più grande del mondo, ma sta crescendo del solo 3% nel 2013 (anche se ciò è molto meglio dell’Europa). Il AKP ha certamente notato che il miracolo economico turco si posa su piedi d’argilla, basato su prodotti dal basso valore aggiunto e che dipendono molto dai mercati – in agricoltura, piccola industria o turismo.

Qui si inserisce un terzo ponte pianificato sul Bosforo – parte di una nuova superstrada di 260 km e 2.6 miliardi di dollari che collega la Tracia all’Anatolia che aggira la metropoli di Istanbul e uno dei punti nevralgici supportato dall’Unione Europea del Corridoio di Trasporto Europa-Caucaso-Asia (TRACECA).

Nell’elezione del 2011, Erdogan aprì la sua campagna tessendo un “progetto pazzo”, un canale di 50 km dal Mar di Marmara fino al Mar Nero da completare entro il 2023 – il centenario della Repubblica Turca- per un importo fino a 20 miliardi di dollari. L’obiettivo è non solo decongestionare il Bosforo ma, insieme alla costruzione di un terzo ponte e un terzo porto, di trasferire gli assi di Istanbul verso il nord della città non ancora sviluppato. Ciò includerebbe due nuove città e anche un terzo aeroporto.

Il AKP ha descritto questa politica ambiziosa come “trasformazione urbana”. Il pretesto è il rischio di un terremoto più grande – come quello del 1999. Per quanto riguarda un maggiore colpo di fortuna della speculazione di un patrimonio reale maggiore, Erdogan e il AKP fanno affidamento su due agenzie governative, TOKI e KIPTAS, che hanno collocato i prezzi di troppo molto più alti per il turco medio. Il primo obiettivo sono le classi medie che hanno votato per il AKP.

Il AKP è assolutamente ossessionato nel controllare Istanbul – che conta per 85 dei 550 membri parlamentari (Ankara, la capitale, vale solo 31). Erdogan e la sua coorte sono stati al timone della grande Istanbul dal 1994, al tempo membri del partito Refah. Erdogan ha iniziato la sua conquista della Turchia dalla precedente capitale Ottomana.

I mega progetti supportati dal AKP sono stati concepiti come l’ultima piattaforma per proiettare la Turchia emergente nella post-globalizzazione, spremendo fino al massimo il cliché di un “ponte fra civiltà”. Dopotutto, il 50% delle esportazioni della Turchia hanno origine a Istanbul. Il marketing politico-urbano di questi mega progetti condizionerà la credibilità globale della Turchia tra i soliti sospetti, gli “investitori internazionali”. Non ha niente a che vedere con la coesione sociale o il rispetto per l’ambiente. è giusto sostenere che il movimento di Piazza Taksim ha totalmente colto le implicazioni di questo sviluppo totalitario, guidato dalla logica della fame per il profitto.

QUALCUNO È AMICO DELLA TURCHIA ?

Erdogan potrebbe avere ammesso, con riluttanza, che le sue forze di polizia hanno reagito in maniera eccessiva. Allora non può fare altro che accusare i manifestanti, tacciati come “saccheggiatori”, di essere “collegati al terrore” e che hanno “legami oscuri”; il loro solo obiettivo sarebbe di costare dei voti del AKP nelle elezioni parlamentari del 2015. Si è vantato di poter portare fino a un milione di sostenitori del AKP nelle strade per ogni 100.000 manifestanti. Be, 5000 di loro hanno già fatto in modo di tirare pietre al suo ufficio a Besiktas.

Le proteste si sono già allargate a Izmir, Eskisehir, Mugla, Yalova, Antalya, Bolu, Adana e anche alle roccaforti del AKP come Ankara, Kayseri e Konya. Sono decine di migliaia. Visto che clacson e residenti che battono pentole e padelle dai balconi supportando i manifestanti si sentono ora ogni notte ad Ankara e Istanbul (anche nella dormienti aree residenziali nel lato asiatico), questo può raggiungere le centinaia di migliaia.

Non c’è dubbio che il movimento Piazza Taksim/Occupy Gezi/Abbasso il dittatore si sta espandendo rapidamente in modo trasversale della Turchia totalmente opposta al mix altamente personalizzato e autocratico di neoliberismo intransigente e religione conservatrice.

I Turchi secolari vedono anche chiaramente come Erdogan sta provando a spremere tutto ciò che può da un nebbioso “processo di pace” con il PKK curdo in modo da poter unire abbastanza voti per un referendum costituzionale. Il referendum cancellerebbe il sistema parlamentare e stabilirebbe un sistema presidenziale – molto utile dato che il termine di Erdogan come primo ministro scade nel 2015, e lui desidera rimanere al timone come presidente.

Erdogan potrebbe avere una solida maggioranza nell’Anatolia conservatrice. Ma potrebbe stare giocando con il fuoco. Questo è un uomo che fino a due anni fa gridava “Mubarak deve ascoltare il suo popolo” – e così dovrebbe Assad in Siria. Ora la maggioranza dei turchi rifiuta totalmente il “supporto logistico” di Ankara per le bande di “ribelli” siriani.

La ciliegina ironica sulla torta è Damasco, che ora avverte gioiosamente Erdogan di fermare la repressione violenta, di ascoltare “il suo popolo”, o di dimettersi.

Dove andremo a finire? Erdogan che installa una zona di interdizione al volo su Istanbul (o la NATO installa una zona di interdizione al volo su Erdogan)? I “ribelli” turchi che ricevono supporto diretto da Damasco, Tehran e Hezbollah? Damasco che invoca un’unione internazionale degli “amici della Turchia”?

Pepe Escobar
Fonte: www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MID-01-030613.html
3.06.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ILARIA GROPPI

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