QUELLO CHE NON SI DICE SULLE CAUSE DELLA GRANDE RECESSIONE

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DI VICENC NAVARRO
Sistema Digital

Il titolo di questo articolo potrà sorprendere il lettore, poiché tanto si è scritto sulle cause della crisi che sembrerebbe che tutto sia stato già detto e scritto. Ebbene no, l’informazione non è completa. In realtà, molto poco si è detto nei maggiori forum di informazione e comunicazione sulle cause reali della cosiddetta Grande Recessione. Spero che alla fine dell’articolo si capisca perché se n’è parlato poco.

Tre sono le cause della Grande Recessione. Una, sulla quale si è scritto a sufficienza, è la crescita del capitale finanziario, cioè, delle istituzioni come il sistema bancario, le compagnie di assicurazione e altre la cui attività è basata sull’amministrazione del denaro. L’altra causa, connessa alla precedente, è la deregolamentazione di questo capitale finanziario, e particolarmente del settore bancario che ha creato quello che è stato definito con proprietà come “capitalismo di casinò” (vale a dire basato sulla speculazione). Questa deregolamentazione è data come parte di una cultura disordinata che ha colpito altre attività economiche, come quella del commercio. Anche di questo si è parlato estesamente.

Orbene, quello di cui non si è parlato è esattamente di ciò che sta dietro alla crescita del capitale finanziario (o quello che si chiama finanziarizzazione dell’economia) e della sua deriva speculativa. Questa ignorata o sconosciuta (o perfino occultata) causa è, né più né meno, l’enorme crescita delle disuguaglianze di reddito nella maggioranza dei paesi cosiddetti economicamente avanzati, essenzialmente quelli dell’OCSE, il club dei paesi più ricchi del mondo.

Ora il lettore mi permetterà di illustrare cosa s’intende con “incremento delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi in un paese”. Cominciamo in primo luogo con il concetto di “distribuzione del reddito”. I redditi (il denaro di cui la gente dispone) possono provenire dal lavoro (prevalentemente attraverso i salari) o dal capitale (dalla proprietà, come per esempio, le azioni, le quali generano redditi). Ebbene, la distribuzione dei redditi è il fattore determinante per capire l’evoluzione economica (ed anche politica) di un paese.

La maggior parte della popolazione ottiene i propri redditi dal lavoro. Ne discende che quando questi diminuiscono (e possono scendere a causa di numerose circostanze, come la diminuzione dei salari, e/o la diminuzione degli occupati, e/o l’aumento della disoccupazione), anche la domanda di prodotti e servizi, e con ciò la loro produzione, decresce e l’economia subisce una caduta, è quello che si chiama recessione.

La “scoperta” di questo nesso tra discesa della domanda e crisi economica la si attribuisce generalmente al famoso economista Keynes, il che non è del tutto certo. In realtà, sorprenderà il lettore, fu Karl Marx – che gode di una brutta reputazione in Spagna – quello che ebbe a indicare nel suo libro più conosciuto, Il Capitale, che l’accumulazione di capitale, a scapito del lavoro, porta alla crisi del capitalismo. Ma più che Karl Marx, quello che approfondì in maggior misura questa teoria fu uno dei suoi seguaci, M. Kalecki, il quale a sua volta influenzò due dei migliori economisti del nostro tempo, Joan Robinson ed il mio amico Paul Sweezy, nessuno dei quali, naturalmente, ha ricevuto il Premio Nobel per l’Economia. Al contrario, i Premi Nobel per l’Economia (finanziati dalla banca scandinava) furono assegnati ad ultra liberali come Robert Lucas, che aveva scritto che analizzare i temi della distribuzione del reddito era dannoso e pericoloso (“una delle tendenze perniciose e dannose per la conoscenza economica … in realtà, velenosa per tale conoscenza, è lo studio dei temi della distribuzione”. The Industrial Revolution: Past and Future). Non serve dire che Lucas era un economista molto vicino al capitale, che non vuole sentire nulla riguardo la ridistribuzione dei redditi. Autori come Lucas ed altri economisti neoliberali continuano a godere di buona stampa, non solo in circoli accademici spagnoli ma anche nella stampa in generale.

Perché la finanziarizzazione dell’economia?

Orbene, quando la gente non ha soldi, li chiede in prestito. E questo spiega la crescita del sistema bancario. L’indebitamento così grande delle famiglie spagnole, come delle medie e piccole imprese che sono quelle che creano più impiego in Spagna, si deve precisamente alla diminuzione dei redditi da lavoro. Sin dagli anni ottanta c’è un’opposta relazione tra la diminuzione dei redditi da lavoro di un paese e la crescita del sistema bancario. Ad una maggiore diminuzione dei primi, corrisponde una maggiore crescita del secondo (intervengono anche altri fattori, come la maggiore o minore disponibilità di credito. Ma questo da solo non spiega l’enorme crescita dell’indebitamento).

I dati parlano da soli. In Spagna i redditi da lavoro, come percentuale del PIL, sono diminuiti dal 68 %, durante gli ottanta, sino al 62 % nella prima decade del secolo XXI. Negli USA, durante lo stesso periodo sono scesi dal 68 % al 65 %. Una cosa simile è successa nella gran parte dei paesi dell’OCSE, con un gado di variazione considerevole tanto nella discesa quanto nella percentuale. Ma, perfino nei paesi nordici, come la Svezia, la discesa, anche se molto minore, è stata dal 71 % al 69 %. La Spagna e la Grecia sono passati dal 67 % al 60 %, l’Italia dal 68 % al 65 %, l’Irlanda dal 70 % al 55 %, ed erano paesi nei quali la percentuale dei redditi da lavoro sul PIL era più bassa e nei quali si è abbassata maggiormente (Eckhard Hein, “Finance – dominated Capitalism and Income Distribution. Implications for an “Agenda of Shared Prosperity”). In tutti questi paesi, i redditi da lavoro sono scesi rapidamente a scapito dell’incremento dei redditi da capitale. Questa è la realtà, ignorata, sconosciuta o occultata. E non è sicuramente casuale, che Grecia, Irlanda, Italia e Spagna siano i paesi dove la Grande Recessione è stata più forte (si veda il mio articolo “Capital-Trabajo: el origen de la crisis actual”, Le Monde Diplomatique, julio de 2013). È in questi paesi che il problema della domanda è maggiore e, pertanto, lo è anche la recessione.

Perché è aumentata la speculazione finanziaria?

Questa diminuzione del peso dei redditi da lavoro può non tradursi in discesa della domanda se la capacità acquisitiva della popolazione non discende dalla difficoltà di accesso al credito per continuare a comprare i prodotti e i servizi di cui necessita. Vale a dire, il credito (per mezzo della banca) può sostenere la domanda. Ma fino ad un certo punto. E lì sta la radice del problema. La domanda persiste ma continua a cadere, e con ciò l’attività economica. E ciò può rappresentare un problema, perfino per il mondo del capitale, perché se non c’è sufficiente domanda, le fabbriche producono meno e i proprietari ottengono meno benefici. Quella che si chiama “rendita da capitale” soffre quando la domanda decresce. Col risultato che la gente che ha molto denaro non investe in quello che si chiama economia produttiva, (per produrre prodotti e servizi) bensì in aree dove il rendimento è maggiore, come nelle attività speculative, come ad esempio, il settore immobiliare. E’ questa la maniera in cui si producono le grandi bolle speculative, facilitate dalla deregolamentazione del sistema bancario. Orbene, ogni bolla, per definizione, esplode. E quando scoppia, la banca collassa o si paralizza, il credito sparisce e anche l’economia entra in crisi, perché senza credito, anche la domanda tracolla, poiché i salari, sempre più bassi, in assenza di credito, non possono sostenerla. Ed è così che nasce la Grande Recessione. L’enorme concentrazione della ricchezza ha creato la Grande Recessione, così come prima, agli inizi del secolo XX, creò la Grande Depressione.

E perché c’è stata questa concentrazione di ricchezze?

Una volta che si capiscono le cause della crisi, le soluzioni sono abbastanza facili. A rischio di peccare d’immodestia, assicuro loro che la maggioranza dei miei studenti del corso di Politiche Pubbliche e Sociali dell’UPF – Hopkins, alla fine dei loro studi, sanno come risolvere la crisi. Le soluzioni non sono difficili da individuare dal punto di vista scientifico: ribaltare le politiche pubbliche che si sono andate sviluppando, in maggior parte dal 1980 ad oggi, cambiando il segno questi interventi, favorendo i redditi da lavoro al posto dei redditi da capitale. Ciò implica una notevole ridistribuzione dei redditi del paese, diminuendo i redditi del capitale – perfino con la sostituzione del capitale con altre forme di proprietà in molte aree dell’economia – e favorendo i redditi da lavoro. La soluzione per uscire dalla crisi è incrementare i redditi da lavoro (incrementando i salari, l’occupazione e l’impiego) e sfavorire quelli da capitale.

E come ho appena detto, con una notevole riduzione non solo dello spazio del capitale finanziario, ma anche della sua proprietà e comportamento, eliminando, per esempio, il carattere speculativo del capitale privato, sostituendolo, nel caso del sistema bancario, con capitale pubblico. Non ha senso, per esempio, che il sistema bancario privato ottenga prestiti a tassi molto bassi dalla Banca Centrale Europea (BCE), che è un’entità pubblica, affinché dopo le banche private possano prestare questo denaro con interessi molto alti alle autorità pubbliche, come lo Stato, o alle imprese. È molto più efficiente ed etico rimuovere l’intermediario – la banca privata – e lasciare che la BCE presti il denaro direttamente agli Stati, e che questi lo prestino direttamente alla popolazione ed alle imprese (si veda il mio articolo “Una de las mil razones para estar indignados”. El Plural, 13.01.14).

E, come parte di questa soluzione, vi è la riduzione dell’eccessiva dispersione salariale, che ha continuato a crescere tra la popolazione salariata, impedendo che i salari più alti fossero, come lo sono ora, oscenamente alti, senza mantenere nessuna relazione con la produttività. E, molto importante, porre fine alla “beneficenza” verso il sistema bancario, che è stato quello che più ha beneficiato della generosità statale.

Orbene che tutto ciò accada o meno, dipende da una volontà politica. Affinché accada, si ha bisogno di un cambiamento profondo delle relazioni di potere, includendo le relazioni di potere di classe, nelle quali una minoranza controlla la maggioranza delle istituzioni mediatiche e politiche dei paesi dell’OCSE, imponendo politiche ultra liberali che stanno danneggiando grandemente la popolazione.

Vicenc Navarro

www.rebelion.org

Link: Lo que no se dice sobre las causas de la Gran Recesión

27.01.2014

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