POTERI OCCULTI. L'INTERO PIANETA E' SOTTO SCACCO

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DI SUSAN GEORGE
ilmanifesto.it

Se avete a cuore il vostro cibo, la vostra salute e la sicurezza finanziaria vostra e quella della vostra famiglia, le tasse che pagate, lo stato del pianeta e della stessa democrazia, vi è un importante cambiamento politico di cui dovete essere consapevoli. Io chiamo questo cambiamento la «ascesa di autorità illegittima». Il governo di rappresentanti chiaramente identificabili e democraticamente eletti viene gradualmente soppiantato da un nuovo governo ombra in cui enormi imprese transnazionali (Tnc) sono onnipresenti e stanno prendendo di più in più decisioni che riguardano tutta la nostra vita quotidiana.

Nella foto: la reception della sede della Goldman Sachs a Londra. Foto by sperkyajachtu

A seguito, “MARX SCONFITTO DAI SUPER RICCHI” – Intervista a Susan George (avvenire.it);

Essi possono agire attraverso le lobby o oscuri «comitati di esperti»; attraverso organismi ad hoc che ottengono un riconoscimento ufficiale; talvolta, attraverso accordi negoziati in segreto e preparati con cura da executive delle imprese al più alto livello. Lavorano a livello nazionale, europeo e sovranazionale, ma anche all’interno delle stesse Nazioni Unite, da una dozzina di anni nuovo campo di azione per le attività delle corporate. Non si tratta di una sorta di teoria paranoica della cospirazione: i segni sono tutti intorno a noi, ma per il cittadino medio sono difficili da riconoscere. Noi continuiamo a credere, almeno in Europa, di vivere in un sistema democratico.

Tecniche da mercenario

Cominciamo con le lobby ordinarie, attori famigliari ai margini dei governi per un paio di secoli. Hanno migliorato le loro tecniche, sono pagate più che mai e ottengono risultati. Negli Stati Uniti, devono almeno dichiararsi al Congresso e dire quanto sono pagate e da chi.

A Bruxelles, c’è solo un registro «volontario», che è una presa in giro, mentre dieci-quindicimila lobbisti si interfacciano ogni giorno con la Commissione europea e con gli euro-parlamentari. Difendono il cibo spazzatura, le coltivazioni geneticamente modificate, prodotti nocivi come il tabacco, sostanze chimiche pericolose o farmaceutici rischiosi, difendono i maggiori responsabili delle emissioni di gas a effetto serra e le grandi banche.

Meno conosciute delle lobby favorevoli a singole imprese transnazionali, ma in crescita a livelli di comparto industriale sono «istituti», «fondazioni» o «consigli», spesso con sede a Washington DC, che difendono anche l’alcool, tabacco, cibo spazzatura, prodotti chimici, gas serra, ecc, ma con un approccio diverso. Essi impiegano esperti influenzati per scrivere articoli che creino dubbi nella opinione pubblica anche in merito a fatti scientificamente assodati; creano falsi «comitati» o gruppi di «cittadini» finalizzati a difendere i loro prodotti e a sostenere che la «libertà di scelta» del consumatore viene limitata dalla invadenza di chi vuole prendere le decisioni al posto dei singoli.

Tornando su Bruxelles, decine di «comitati di esperti» formate da personale Tnc, praticamente prive di partecipazione da parte dei cittadini o delle Ong, preparano regolamenti dettagliati in ogni possibile settore. Dalla metà degli anni 1990, le più grandi compagnie americane dei settori bancario, pensionistico, assicurativo e di revisione contabile hanno unito le forze e, impiegando tremila persone, hanno speso cinque miliardi dollari per sbarazzarsi di tutte le leggi del New Deal, approvate sotto l’amministrazione Roosevelt negli anni ’30, che avevano protetto l’economia americana per sessant’anni. Attraverso questa azione collettiva di lobbying, hanno guadagnato totale libertà per trasferire attività in perdita dai loro bilanci, verso istituti-ombra, non controllati.

Queste compagnie hanno potuto immettere sul mercato e scambiare centinaia di miliardi di dollari di titoli tossici «derivati», come i pacchetti di mutui sub-prime, senza alcuna regolamentazione. Poco è stato fatto dopo la caduta di Lehman Brothers per regolamentare nuovamente la finanza e nel frattempo, il commercio dei derivati ha raggiunto la cifra di $ 2.300.000.000.000 al giorno, un terzo in più di sei anni fa. Tutti noi conosciamo i risultati delle attività di lobby finanziaria: la crisi del 2007-2008, in cui siamo ancora invischiati.

Ci sono poi organismi quali l’International Accounting Standards Board, sicuramente sconosciuto al 99 per cento della popolazione europea. Quando l’Ue si è confrontata con l’allargamento a ventisette e con l’incubo di ventisette diversi mercati azionari, con diversi insiemi di regole e norme contabili, ha chiesto supporto a un gruppo ad hoc di consulenti provenienti dalle quattro maggiori società mondiali di revisione contabile.

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Nel corso degli anni successivi, questo gruppo è stato silenziosamente trasformato in un organismo ufficiale, lo Iasb, ancora formato dagli esperti delle quattro grandi società, ma che adesso sta elaborando regolamenti per sessantasei paesi membri, tra cui l’intera Europa. Lo Iasb è diventato ufficiale grazie agli sforzi di un Commissario Ue non eletto dai cittadini, Charlie MacCreevy, un neoliberista irlandese, egli stesso un esperto contabile, senza alcun controllo parlamentare. Per chi fosse interessato a saperlo, è stato detto che l’agenzia era «puramente tecnica».

Gli evasori competenti

Fino a quando non potremo chiedere alle imprese di adottare bilanci dettagliati per paese, continueranno a pagare – abbastanza legalmente – pochissime tasse nella maggior parte dei paesi in cui hanno attività. Le aziende possono collocare i loro profitti in paesi con bassa o nessuna tassazione e le loro perdite in quelli ad alta fiscalità.

Per tassare in maniera efficace, le autorità fiscali hanno bisogno di sapere quali vendite, profitti e imposte sono effettivamente di competenza di ciascuna giurisdizione. Oggi questo non è possibile, perché le regole sono fatte su misura per evitare la trasparenza. Piccole imprese nazionali o famigliari con un indirizzo nazionale fisso, continueranno a sopportare la maggior parte del carico fiscale o a fare a meno dei servizi pubblici che una tassazione equa delle Tnc avrebbe potuto garantire.

Ho contattato lo Iasb per chiedere se una rendicontazione dettagliata per paese fosse nella loro agenda, e mi hanno cortesemente risposto che non lo era. Non c’è di che stupirsi. Le quattro grandi agenzie i cui amici e colleghi fanno le regole, perderebbero milioni di fatturato, se non potessero più consigliare i loro clienti sul modo migliore per evitare la tassazione.

Nel luglio di quest’anno, sono iniziati i negoziati della Transatlantic Trade and Investment Partnership, o Ttip. Questi accordi definiranno le norme che regolamenteranno la metà del Pil mondiale – gli Stati Uniti e l’Europa – e sono in preparazione dal 1995, quando le più grandi multinazionali da entrambi i lati dell’oceano si sono riunite nel Trans-Atlantic Business Dialogue per lavorare su tutti gli aspetti delle pratiche regolamentari, settore per settore. I negoziatori stanno ora lavorando sulla bozza di progetto che il Tabd ha redatto.

Il commercio transatlantico ammonta a circa mille e cinquecento miliardi dollari all’anno, ma c’è poco da negoziare sull’aspetto delle tariffe, questi pesano media solo un tre per cento. L’obiettivo è invece di privatizzare il maggior numero possibile di servizi pubblici ed eliminare le barriere non tariffarie, come per esempio i regolamenti e ciò che le multinazionali chiamano «ostacoli commerciali». Al centro di tutti i trattati commerciali e di investimento oggi è la clausola che consente alle aziende di citare in giudizio i governi sovrani, se la società ritiene che un provvedimento del governo danneggi il suo presente, o anche i suoi profitti «attesi».

Il Trans-Atlantic Business Dialogue ha recentemente cambiato il suo nome in Consiglio economico transatlantico e descrive il suo lavoro come volto a «ridurre i regolamenti per potenziare il settore privato». Si definisce un «organo politico» e il suo direttore afferma con orgoglio che è la prima volta che «il settore privato ha ottenuto un ruolo ufficiale nella determinazione della politica pubblica Ue / Usa».

Con questo trattato, se approvato secondo le intenzioni delle Tnc, includerà modifiche ai regolamenti riguardanti la sicurezza dei prodotti alimentari, prodotti farmaceutici, prodotti chimici, ecc; stabilità finanziaria (libertà per gli investitori di trasferire i loro capitali senza preavviso); nuove proposte fiscali, come la finanziaria tassa sulle transazioni; sicurezza ambientale (ad esempio il diritto di imporre norme più rigorose sulle industrie inquinanti) e così via. I governi non potranno privilegiare operatori nazionali in rapporto a quelli stranieri per i contratti di appalto (una parte significativa di ogni economia moderna). Il processo negoziale si terrà a porte chiuse, senza il controllo dei cittadini.

Democrazia a rischio

Come se non bastasse l’infiltrazione nei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario da parte delle imprese transnazionali, anche le Nazioni Unite sono ormai un obiettivo delle Tnc. Alla conferenza Rio + 20 sull’ambiente delle Nazioni Unite nel 2012, le imprese transnazionali formavano la più grande delegazione e misero in scena il più grande evento, noto come «Business Day». Il rappresentante permanente della Camera di commercio internazionale presso le Nazioni Unite dichiarò tra fragorosi applausi, «Siamo (…) la più grande delegazione d’affari che mai abbia partecipato a una conferenza delle Nazioni Unite… Le imprese hanno bisogno di prendere la guida e noi lo stiamo facendo». Le multinazionali chiedono ora un ruolo formale nei negoziati sul clima delle Nazioni Unite.

Non sono solo le dimensioni, gli enormi profitti e i patrimoni che rendono le Tnc pericolose per le democrazie. È anche la loro concentrazione, la loro capacità di influenzare, spesso dall’interno, i governi e la loro abilità a operare come una vera e propria classe sociale che difende i propri interessi economici, anche contro il bene comune. Condividono linguaggi, ideologie e obiettivi che riguardano ciascuno di noi. Se i cittadini che hanno a cuore la democrazia le ignorano, lo fanno a loro rischio.

Susan George, sociologa, politologa e scrittrice franco-statunitense, dirige il Transnational institute di Amsterdam. Ha fatto parte del comitato direttivo di Greenpeace International e di Corporate Europe Observatory. Il suo ultimo libro è «Come vincere la guerra di classe» (Feltrinelli).

Intervento tenuto al Festival Internazionale di Ferrara (4/5/8 ottobre 2013)

Fonte: www.ilmanifesto.it
4.10.2013

MARX SCONFITTO DAI SUPER RICCHI

Intervista a Susan George

La guerra di classe non è morta, ma l’hanno stravinta i ricchi. Anzi, i super ricchi, nuova classe globale che ora si chiama Hnwi, acronimo di High net worth individuals, individui con alto patrimonio finanziario (almeno 35 milioni di dollari). Parola di Warren Buffett, re dei mercati finanziari globali, uno degli uomini più facoltosi del pianeta dunque membro di questo club esclusivo in crescita continua nonostante la crisi, tanto da includere quest’anno la quota record di 200 mila persone e del quale si parla troppo poco.

La lotta di classe al contrario, un mondo paradossale dove si ruba ai poveri per dare ai ricchi, è il tema trattato dall’economista franco-statunitense Susan George, leader alla fine dello scorso secolo del movimento no global, nel libro Come vincere la lotta di classe edito in Italia da Feltrinelli. George, 69 anni, oggi presidente del Transnational Institute di Amsterdam, è considerata una delle massime esperte mondiali di fame nel mondo e di studi sulle disuguaglianze. Ma è anche autorevole animatrice dei gruppi della società civile. A cavallo del 2000 scrisse “Il rapporto Lugano”, un’opera di finzione letteraria basata paradossalmente su fatti veri nel quale immaginava che un gruppo di brillanti economisti venisse convocato da una misteriosa Commissione, espressione del potere economico e finanziario, per disegnare gli scenari adatti alla sviluppo del capitalismo nel XXI secolo. Volume che azzeccò la previsione della crisi finanziaria disastrosa puntualmente verificatasi nel 2007.

Nel suo ultimo volume la studiosa scrive il seguito, riproponendo con una certa ironia la medesima formula di finzione basata su fatti veri e immaginando che il gruppo di consulenti sia stato di nuovo convocato nella quiete di una villa sul lago in Svizzera per stilare un bilancio al termine della crisi e capire come si possa mantenere lo status quo politico, economico e finanziario. Con l’obiettivo di togliere di mezzo i diritti umani e la democrazia, considerati l’ultimo ostacolo (o l’ultimo baluardo) da superare per ricavare profitti più alti senza troppe seccature. Senza dimenticare l’altra profezia azzeccata 13 anni fa dalla studiosa, quella sui disastri ambientali dovuta ai cambiamenti climatici. Nella lettura del mondo al contrario, che rende tragicamente reale la lotta di classe degli ultraricchi di Susan George, viene considerata ormai superata dai consulenti del capitalismo selvaggio la strategia negazionista dell’inquinamento globale da parte delle multinazionali petrolifere. Anzi, occorre considerare seriamente i pericoli (evitare i Paesi colpiti perché politicamente instabili) come le opportunità di investimento e profitto che i mutamenti del clima offrono, come la possibilità di accedere ai giacimenti di combustibile fossile e minerari dell’Artico o di speculare con il land grabbing, l’acquisto di terreni agricoli in Paesi poveri, da destinare alla creazione di riserve di cereali e cibo per i ricchi Paesi del Golfo.

Signora George, nel suo libro denuncia che l’establishment economico e finanziario non ha sensi di colpa per quello che è accaduto nel mondo negli ultimi sei-sette anni. Nemmeno un dubbio?

«Assolutamente no. È uno dei paradossi di quest’epoca, i neoliberisti hanno capito il significato del concetto di egemonia culturale di Antonio Gramsci e l’hanno applicato benissimo. La loro ideologia è penetrata negli Stati Uniti, poi si è diffusa in tutte le organizzazioni internazionali e vanta un supporto intellettuale mai visto. Prendiamo l’Ue. Sono riusciti a ottenere consenso e supporto proponendo misure di austerità per uscire dalla crisi convincendo tutti che il bilancio di uno Stato e quello di una famiglia sono la stessa cosa per cui si può spendere solo in base alle entrate. Non è così, il debito pubblico storicamente finanzia la crescita, è altra cosa dagli sprechi. Per fare un esempio due economisti della Bocconi di Milano, Alesina e Ardagna, a mio avviso hanno fornito una errata base teorica alla Banca centrale europea, ai governi e alle istituzioni europee proponendo l’austerità per fronteggiare la depressione. E la gente è stata convinta dell’ineluttabilità delle scelte. La prova? In Grecia non hanno fatto la rivoluzione».

Perché è una teoria sbagliata?

«Dipende da cosa si taglia. Se tagli gli sprechi, va bene. Ma un euro tagliato ai servizi sociali come alla scuola ha un impatto che produce costi tre volte più alti».

Liberismo o no, le banche occidentali sono state salvate dall’intervento pubblico…

«I lavoratori hanno pagato e stanno pagando i costi della crisi provocata da altri. Mi pare obiettivo dire che chi lavora oggi non riesca a guadagnare abbastanza mentre i manager della finanza si sono elargiti subito i lauti bonus derivanti da questi salvataggi. E che la ricchezza accumulata in poche mani ammonti a 45 triliardi di dollari e sia posseduta, da 200 mila persone. Trovo immorale tutto ciò. Ma è ancor più immorale l’ideologia che consente loro di accumulare queste smisurate ricchezze e di manipolare le persone facendo loro credere che tutto ciò sia giusto e che le ricette per combattere la povertà siano quelle della Banca mondiale o del Fondo monetario».

Ovvero?

«Si continua a credere che ogni dollaro detassato alle grandi aziende e ai più ricchi venga reinvestito produttivamente. Invece la ricchezza finisce nei paradisi fiscali. E aldilà dei proclami nulla è stato fatto per illuminare gli angoli bui di queste giurisdizioni segrete e controllare i profitti di aziende e singoli. Le grandi corporation sono ormai troppo forti e determinano il pensiero unico che ci racconta un mondo bello, quello della globalizzazione, che crea occasioni per tutti. Peccato sia così solo sulla carta».

Il movimento di Occupy contestava le grandi disuguaglianze. Perché non ha fatto breccia?

«Aveva buoni contenuti, ma è stato anarchico. Hanno consentito a tutti di parlare in un momento di rabbia collettiva, ma non hanno mai preso una sola decisione per passare all’azione. Il problema della società civile è la mancanza di una visione globale: gli ecologisti pensano solo all’ambiente, i sindacati al lavoro, le femministe alle donne, altri a finanza e tasse».

C’è un’alternativa percorribile al pensiero unico?

«Non credo alle rivoluzioni, Ad esempio il modello non profit, quello cooperativistico, è una via praticabile se cooperative e imprese sociali trovano sistemi di finanziamento per crescere».

Nel libro lei prevede che democrazia e diritti siano a rischio. Qual è il pericolo?

«Il pericolo è che la gente, il 99% di chi non detiene nulla, venga convinta dal restante 1% dell’inutilità della politica. Prenda l’Ue. Credo nell’Unione e nell’euro, ma a patto che siano partecipate dai cittadini. Ormai l’85% delle leggi in Paesi come Italia e Francia recepiscono le direttive della Commissione europea, un organismo non eletto democraticamente e influenzato dalle lobby. Ma gli europei non si ribellano, preferiscono astenersi dal voto. Così garantiscono lunga vita al sistema ingiusto che ho descritto».

Paolo Lambruschi
Fonte: www.avvenire.it
Link: http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/marx-sconfitto-dai-super-ricchi.aspx#
12.09.2013

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