PERCHE’ UNA INTENSIFICAZIONE DEL CONFLITTO IN MEDIO ORIENTE E’ INEVITABILE

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DI ERICO MATIA TAVARES

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Sappiamo tutti come le differenze settarie, religiose e politiche hanno fatto precipitare molti paesi mediorientali nel caos di conflitti armati. Ma esiste anche un fattore profondo in gioco che meriterebbe maggiore attenzione: la netta scarsità di fonti d’acqua.

Chiaramente questo problema di scarsità non è risolvibile in tempi brevi, a prescindere dalle fazioni che finiranno per prevalere nei vari conflitti. In queste condizioni tuttavia la regione continuerà probabilmente a soffrire notevoli sconvolgimenti negli anni a venire.

Mediante l’uso di dati satellitari, scienziati dell’Università della California (Irvine), insieme alla NASA e al Centro nazionale per la ricerca atmosferica USA, hanno riscontrato che ampie porzioni della regione arida del medio oriente hanno subito una drammatica perdita di fonti d’acqua potabile lungo un periodo di 7 anni, a partire dal 2003.Ecco cosa mostra la seguente mappa:

mappa

Parti della Turchia, di Siria, Iraq ed Iran situate lungo i bacini del Tigri e dell’Eufrate hanno perso circa 144 kilometri cubi sulla superficie totale di acqua potabile disponibile, il che equivale praticamente quasi all’ammontare totale di acque contenute nel Mar Morto. Gli scienziati attribuiscono le perdite principalmente al pompaggio di bacini idrici sotterranei.

Infatti sia Siria che Iraq affrontano seri problemi di disponibilità d’acqua potabile, unite la fatto che la maggior parte delle loro risorse d’acqua rinnovabile proviene da nazioni estere. Il fiume Eufrate, che ha sostenuto la civiltà mesopotamica dal suo inizio, è un elemento cruciale nell’equilibrio.

Nonostante tutto, una domanda crescente, politiche governative volte allo spreco, agricoltura intensiva, pesticidi e attività industriali hanno contribuito insieme a peggiorare sia la quantità, che la qualità, delle riserve d’acqua disponibili. Secondo uno studio della Chatham House tale sfruttamento eccessivo ha ridotto il flusso dell’Eufrate dalla Turchia verso le nazioni che occupano il corso inferiore del fiume almeno del 40% dal 1972.

Questa è una grave preoccupazione per i 27 milioni di persone, ditribuite in tre paesi, che dipendono direttamente dalla disponibilità di questa fonte d’acqua, tralasciando i molti ulteriori milioni di persone dipendenti da cibo ed energia prodotti nella regione. Tutte le guerre dal 2003 ad oggi hanno peggiorato una situazione già critica.

Non sorprende allora che l’ISIS riesca ad assicurarsi roccaforti lungo il corso del fiume e che le usi per esercitare pressione sui suoi avversari. Ma c’è qualcosa sulla quale le opposte fazioni in guerra tra Siria e Iraq vanno d’accordo: nell’accusare la Turchia di ridurre deliberatamente l’afflusso di acqua nell’Eufrate. La Turchia infatti completerà a breve un ambizioso progetto per la costruzione di una diga e relativi progetti di irrigazione dal costo di 35 miliardi di dollari che una volta ultimato contribuirà certamente ad accrescere le tensioni più in giù lungo il corso del fiume.

Altre nazioni nell’area affrontano problemi legati alla fornitura idrica anche peggiori. Lo Yemen ad esempio, che è un paese di 24 milioni d’abitanti e uno dei tassi di acqua potabile disponibile pro capite più bassi al mondo. Le riserve essenziali di acqua potabile vengono esaurite talmente rapidamente che rischiano di estinguersi del tutto prima della fine del decennio. Il declino nella produzione del petrolio ha colpito l’economia proprio in questo momento dove investimenti infrastrutturali sarebbero necessari al più presto per affrontare l’emergenza. Tutto questo mentre c’è in corso un conflitto interno tra fazioni Yemenite e uno esterno contro l’Arabia Saudita.

Quindi possiamo notare una costante dietro le lotte settarie nella regione, piuttosto significante, direi: quando le fonti d’acqua diventano decisamente scarse ne segue rapidamente un conflitto armato.

Un mix esplosivo

I tassi di aumento demografico per i paesi del Medio Oriente sono tra i più alti al mondo. Dal 1990 al 2010 la popolazione della regione nel suo complesso è aumentata del 50%, 124 milioni di persone in più in termini assoluti, oltre quattro volte l’aumento nei paesi dell’Unione Europea sullo stesso periodo. In alcuni dei paesi più affetti dal problema idrico l’aumento è stato particolarmente intenso come mostra la seguente foto

ppopolazione

Population (MM) and Military Expenditures (constant 2011 US$) in Selected Middle East Countries: 1990 – 2010

Fonte: World Bank, OECD, SIPRI. (a) Yemen is from 1990 to 2008 and UAE from 1997 to 2010.

Sono popolazioni giovani, in quanto il più della crescita è stata di tipo organico, è sono sempre i giovani ad agitarsi maggiormente quando sorgono problemi. La spesa militare nella maggior parte di questi paesi è aumentata in percentuali anche maggiori di quelle della crescita demografica. Quindi non soltanto abbiamo una numerosa popolazione in rapido aumento demografico, ma anche con sempre più armamenti a disposizione.

Considerato questo, il mondo e le potenze mondiali non dovrebbero sorprendersi dall’espansione di conflitti armati in Medio Oriente a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. E sfortunatamente le cose possono facilmente peggiorare.

Implicazioni politiche

Non c’è civiltà senza acqua. Se i trend sulla disponibilità idrica persisteranno, scusate l’iperbole, ma ampie parti del Medio Oriente si traformeranno nei teatri di alcuni tra i peggiori disastri umanitari a cui il mondo ha mai assistito, specialmente dal momento che parliamo di territori molto popolati.

La conseguenza immediata è sicuramente una continuazione, se non intensificazione, dei conflitti in corso, quando il tutto diventerà una lotta disperata per controllare le ultimà gocce d’acqua.

Le popolazioni civile disperate tenteranno di fuggire i ogni modo possibile. L’Italia, e specialmente la Grecia, sono già intasate dal flusso di immigranti che attraversano il Mediterraneo; proviamo a immaginare le conseguenze se questi flussi si moltiplicano negli anni a venire!

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E non sono soltanto i civili che verranno verso Occidente. Basta guardare alla mappa delle ambizioni territoriali dell’ISIS: sembra una assurdità delirante, dal momento che include territori di molti paesi NATO e parti della Cina, ma questo non ci garantisce che non siano abbastanza pazzi da provarci davvero. Il tempo e la demografia stanno dalla loro parte, riserve infinite di giovani disillusi sono a loro disposizione (con parenti e simpatizzanti già presenti in Europa), e non gli manca l’accesso potenziale a armamenti avanzati prodotti nell’Occidente, in Russia e in Cina.

Alla luce di tutto quanto si è detto, la mancanza di una strategia concreta e di una visione della risposta efficace da parte dei leaders dell’Unione Europea lascia perplessi. Diventa sempre più ovvio che non saranno capaci di arginare il problema solo finanziando qualche progetto e accogliendo qualche migrante; non di certo una volta che la scala di questi problemi si farà immensa.

Quale sarà l’effetto di tutto ciò sul maggior prodotto d’esportazione, il greggio? Ipotizziamo che i paesi produttori continueranno a espandere la produzione, anche se i prezzi sul mercato mondiale continueranno ad aggiustarsi al ribasso. Sicuramente avranno bei costi da affrontare: lotta agli insorti, potenziare le difese, investimenti infrastrutturali, importazione di alimenti (per mitigare i declini nella produzione interna). Ma c’è sempre la possibilità che si esauriscono i depositi interni disponibili, o che il conflitto si estenda al punto che la capacità logistica sia compromessa, allora alcuni di essi potrebbero arrivare a importare, invertendo il flusso.

Mentre i produttori, convenzionali e di scisto, degli Stati Uniti, potrebbero essere quelli che ridono per ultimi, ciò non toglie che il mondo ha certamente bisogno delle abbondanti riserve del Medio Oriente.

Anche interessante sarebbe chiedersi come le banche centrali Europee, già in difficoltà, potranno reagire ad un eventuale shock dei prezzi del petrolio. Questo perchè ogni aumento dei tassi di interesse farebbe esplodere i bilanci nazionali di vari paesi sviluppati, visto che tutti possiedono già foprti carichi di debito almeno a partire dalla crisi finanziaria del 2008.

Piuttosto che versare altra benzina sul fuoco in Medio Oriente, pare proprio che le potenze mondiali abbiano un interesse comune a negoziare e trovare soluzioni credibili alla catastrofe che si sta dispiegando nella regione.

Sfortunatamente, capacità di visione e di leadership così ampie sono ancora più rare dell’acqua in Medio Oriente.

Erico Matia Tavares

Fonte: www.linkedin.com

Link: https://www.linkedin.com/pulse/why-more-conflict-inevitable-middle-east-erico-matias-tavares

12.08.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

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