PERCHE’ LO STATO ISLAMICO STA VINCENDO

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DI DANIEL LAZARE

informationclearinghouse.info

Non stanno passando un bel Maggio il Presidente Barack Obama e il suo staff di politica estera. La presa di Ramadi (Iraq) del 15 maggio scorso da parte dello Stato Islamico, è stato per i militari Statunitensi uno dei momenti più imbarazzanti dai tempi del Vietnam; ma la caduta di Palmira in Sira, giunta solo cinque giorni dopo, lo è stata ancora di più. Questa è un’amministrazione che fino a poco fa sosteneva di aver finalmente ‘piegato lo Stato Islamico’.

A marzo, il Generale Lloyd Austin, capo del Comando Centrale Statunitense, rassicurava la Commissione per le attività militari della Camera dei Rappresentanti che lo Stato Islamico (anche noto come ISIS o ISIL o Daesh) era in ‘assetto di ripiegamento’ e non più in grado di eseguire operazioni importanti, mentre il Vice Presidente Joe Biden dichiarava nei primi giorni di aprile che ‘l’ascesa dell’ISIL in Iraq si era arrestata ed in alcune aree era stato praticamente eliminato’.

Un paio di settimane dopo, il Presidente si espresse più o meno negli stessi termini dopo un incontro con il leader Iracheno Haider al-Abadi: “Stiamo facendo grandi progressi nel respingere l’ISIL fuori dal suolo Iracheno. Circa un quarto del territorio caduto sotto il controllo di Daesh è stato recuperato. Migliaia di scontri non solo hanno eliminato moltissimi combattenti ISIL, ma hanno anche colpito e distrutto diverse infrastrutture importanti. E sotto la guida del Primo Ministro Abadi sono state ripristinate, riequipaggiate e riaddestrate, per essere poi spiegate strategicamente in tutto il paese”.

Ma questo era il mese scorso. Nel dopo-Ramadi, conservatori come Charles Krauthammer del Washington Post, l’ex ambasciatore USA alle Nazioni Unite John Bolton, e il Senatore Lindsey Graham, R-South Carolina, non hanno perso tempo a definire tali dichiarazioni false e illusory. E, difatti, Obama è apparso stranamente distaccato Martedì scorso quando ha dichiarato a The Atlantic che l’avanzata dell’ISIS non era una sconfitta.

No, non penso che stiamo perdendo’ ha detto, aggiungendo: “Non c’è dubbio che si è trattato di una sconfitta tattica, benchè Ramadi era da tempo vulnerabile, soprattutto perché non c’erano le forze di sicurezza Irachene da noi riaddestrate e riequipaggiate.” Piuttosto è stato come se il Comandante del Titanic avesse detto ai passeggeri che quello squarcio sotto la linea di galleggiamento era solo una piccola falla che sarebbe stata riparata in breve tempo.

Non che la visione dell’ala destra sia meno errata. Il Senatore John McCain, R-Arizona, attribuisce ad Obama la responsabilità di non aver fatto abbastanza per destituire Assad a Damasco, come se la rimozione di una singola forza avversaria avesse potuto fermare Abu Bakr al-Baghdadi e le sue orde.

Non abbiamo una strategia,” si è lamentato martedì scorso John Boehner, portavoce della House of Representatives. “Per più di due anni ho esortato il Presidente a sviluppare una strategia generale per affrontare questa nuova minaccia terroristica. Non ne abbiamo una, e la cosa grave è che questa minaccia sta crescendo più velocemente di quanto noi e i nostri alleati possiamo fare per fermarla.” Ma quando gli è stato chiesto quale potesse essere una strategia vincente, Boehner ha saputo rispondere solo con “E’ la responsabilità del Presidente.” In altre parole, Boehner non sa cosa dire, come tutti gli altri.

In realtà, tutto l’establishment di politica estera americano non sa cosa dire e cosa fare, proprio come nel 2003 quando tutti appoggiarono incoscientemente l’invasione dell’Iraq promossa dal Presidente George W. Bush. Sia i Repubblicani sia i Democratici sono prigionieri di un ‘loop’ di notizie in cui giornalisti e assistenti dicono loro quello che vogliono sentirsi dire, nascondendogli quello che non gradirebbero sentire. Ma la realtà dei fatti prima o poi trova la strada per rendersi evidente, che Washington lo voglia o no.

I MOTIVI DEL FALLIMENTO

Detto questo, ecco quali sono i veri motivi degli insuccessi Statunitensi e delle vittorie dell’ISIL.

MOTIVO #1: OBAMA NON SA DECIDERE SU QUALE SIA IL VERO NEMICO – ISIS O IL PRESIDENTE BASHAR AL-ASSAD.

Anche se la Casa Bianca continua a dichiarare che vuole schiacciare lo Stato Islamico, la politica estera Statunitense resta divisa. Obama vuole sconfiggere l’ISIS in Iraq, ma è ancora incerto su cosa fare sull’altra linea di confine, dove sembra che consideri l’ISIS un potenziale strumento per contrastare il regime di Assad a Damasco.

Questa è una delle convinzioni politiche che nessun ‘giornalista responsabile’ oserebbe mai dichiarare e discutere. Ecco perché in Gennaio il Wall Street Journal scriveva che ‘La strategia Statunitense è…legata da una riluttanza a spostare l’equilibio di potere in favore del Presidente Siriano Bashar al-Assad’; mentre il New York Times diceva mercoledì scorso che gli USA avevano deliberatamente bombardato obiettivi ISIS in ‘zone molto al di fuori del controllo del governo per evitare la percezione di sostenere un leader che il Presidente Obama ha deciso di destituire’.

In altre parole, finchè l’ISIS si limiterà a combattere contro Assad, gli Stati Uniti si terranno in disparte. Ma quando prenderà di mira altri obiettivi, gli USA si sentiranno in dovere di intervenire. Tuttavia, questa strategia contiene diversi errori: uno è che è cinica in modo sconvolgente. Centinaia di migliaia di morti sembrano con contare niente per gli Stati Uniti, che hanno deciso di dover schiacciare un regime che gli ha dato decisamente ai nervi; ma un altro è che è che è militarmente autodistruttiva. Concedendo il potere all’ISIS in diverse aree della Siria significa consentirgli di mettere radici e crescere. Attaccare il regime di Assad accusandolo di costruire armi di distruzione di massa, non fa che incoraggiare l’ISIS ad espandersi ulteriormente. Di conseguenza, oggi la ‘Siria è un luogo dove per ISIS è più facile organizzarsi, pianificare e trovare rifugio di quanto lo sia in Iraq’ come ha detto al Journal un alto ufficiale militare che ha voluto restare in incognito.

Probabilmente è così, ma il risultato è che l’ISIS sull’altra linea di confine è in grado di riprendere fiato, riorganizzarsi e prepararsi ai nuovi attacchi. Un po’ come in Afghanistan negli anni ’80, gli USA pensano di poter manipolare e controllare a loro piacimento dei fondamentalisti della Jihad. Ma come ha dimostrato l’ 11 Settembre, si sbagliano del tutto.

“L’opinione più diffusa in Medio Oriente resta quella che l’ISIL non sarà sconfitto finchè non lo sarà il regime di Assad” scriveva Giovedì scorso il Guardian. E perchè mai si dovrebbe dare più credito a questa opinione che a tutte le idiozie che Washington sforna regolarmente? Proprio non lo si capisce. Se Assad cade, la prevedibile mossa successiva è che l’ISIS marcerà dentro Damasco con le sue bandiere nere spiegate al vento. E che questo sia uno sviluppo positivo, proprio non lo si capisce.

IL DOPPIO GIOCO SAUDITA

MOTIVO#2: LA COALIZIONE ANTI-ISIS È UN FALSO.

Gli alleati che Obama ha reclutato nella lotta contro l’ISIS non potevano essere meno affidabili. Joe Biden sollevò la questione quando, parlando a una conferenza alla Harvard’s Kennedy School in Ottobre scorso, disse: “I nostri alleati nella regione sono stati il nostro maggiore problema in Siria…i Sauditi, gli Emirati, ecc. Che facevano? Erano determinati a destituire Assad e a condurre una guerra per procure Sunniti-Shiiti. E cos’hanno fatto? Hanno tirato fuori centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi e li hanno dati a chiunque volesse combattere Assad, ad eccezione di quelli che erano riforniti da Al Nusra e Al Qaeda e gli elementi estremisti della Jihad di altre parti del mondo.” (cito a 53:20 minuti del video.]

I Sauditi e gli altri paesi del Golfo quindi hanno finanziato l’ISIS, lo hanno armato e lo hanno incoraggiato a lanciarsi in una campagna genocida contro gli Shiiti e le altre minoranze. Anche se Washington continua a sostenere che gli stati del Golfo sono suoi alleati nella lotta ad al-Qaeda, la dichiarazione di Biden rivela che in realtà stanno giocando su due tavoli, a volte combattendo l’ISIS e altre volte finanziandolo, quando gli fa comodo.

A dire il vero, gli stati del Golfo hanno avuto un ripensamento quando al-Baghdadi iniziò a minacciare la Casa di Saud. Come dice Biden: “E ora, all’improvviso, e non voglio essere affatto fazioso, hanno l’epifania. …L’Arabia Saudita interrompe i finanziamenti. L’Arabia Saudita consente l’addestramento nei suoi territori… Il Qatar taglia il suo sostegno agli elementi più estremisti dell’organizzazione, e i Turchi… cercano di sigillare i loro confini.”

Ma se da una parte i Sauditi hanno interrotto gli aiuti all’ISIS, dall’altra hanno ripreso a sostenere il Fronte Al Nusra, la cosiddetta parte ‘buona’ di Al-Qaeda, facendo gongolare falchi come Walter Russell Mead di The American Interest e Lina Khatib del Carnegie Middle East Center a Beirut.

Tuttavia la distinzione che i conservatori fanno tra al Nusra e ISIS è troppo esagerata. Mentre i due gruppi sono in contrasto tra loro, questo non è che uno sviluppo recente. Solo pochi mesi fa, erano abbastanza amici tra loro da condurre insieme un’azione in Libano e poi fare squadra per un assalto al Campo dei Rifugiati Yarmouk alla periferia meridionale di Damasco.

In pochi mesi sicuramente sferreranno nuovi attacchi. I Salafiti che hanno invaso la Siria dal 2011, non fanno che unirsi, dividersi, riunirsi e ridividersi, che è il motivo per cui di loro oggi esistono più fazioni dei tipi di caffè che troviamo a Starbucks.

Inoltre, non è affatto chiaro se i Sauditi abbiano realmente interrotto i finanziamenti. I controlli finanziari in Arabia Saudita sono piuttosto blandi, mentre la corruzione, secondo l’ex redattore del Wall Street Journal Karen Elliott House, “è rampante e coinvolge praticamente tutti i Sauditi in una ragnatela di favori e ricatti, sia piccoli che grandi”.

Un ricercatore ha stimato che tra il 30 e il 40% delle entrate petrolifere praticamente scompaiono in mani private. [As’ad Abukhalil – La Battaglia per l’Arabia Saudita: i Reali, il Fondamentalismo e il Potere Globale – New York: Seven Stories, 2004, p. 88]

Inoltre, le organizzazioni religiose Saudite come l’ International Islamic Relief Organization, la Muslim World League e la World Assembly of Muslim Youth si fanno le leggi da sole. Anche se i Sauditi hanno più volte promesso di astenersi dal finanziare azioni terroristiche, Hillary Clinton si è lamentata in una nota riservata del Dipartimento di Stato USA, che in realtà non hanno mai smesso di farlo dal 2009 – ed è improbabile che ora abbiano deciso di cambiare musica.

Quindi, le promesse di interrompere i finanziamenti non sono per niente rassicuranti. In realtà, i Sauditi hanno una lunga storia di doppiogiochisti. Si sono opposti a Osama bin Laden dopo che al Qaeda aveva iniziato a bombardare obiettivi Sauditi nel 2003. Ma è molto probabile che hanno sempre continuato a mantenere collegamenti ‘sottobanco’: membri della Casa Reale Saudita, secondo la testimonianza di Zacarias Moussaoui, il cosiddetto ‘ventesimo dirottatore’, nel corso degli anni hanno inviato denaro al gruppo che poi effettuò l’attacco al World Trade Center. Se allora il denaro Saudita arrivava al Qaeda, è molto probabile che ora arrivi all’ISIS, nonostante oggi i Sauditi dichiarino il contrario.

IGNORANDO LE GUERRE SETTARIE

MOTIVO #3: IL REALE PROBLEMA È UNA CRESCENTE GUERRA TRA SETTE CHE GLI USA NON HANNO FATTO MOLTO PER CONTENERE.

ISIS non è che il braccio armato di una crescente offensive Sunnita che sta provocando gravi turbolenze in tutto il Medio Oriente. I Sauditi spesso hanno citato una ‘ascesa Sunnita’ che da Damasco arrivava fino a Baghdad e Teheran. Ma da quando gli Shiiti Houtis hanno imbracciato le armi in Yemen, hanno sempre gridato a una ‘Luna Piena Shiita che comprendeva anche Sana’.

In totale paranoia, l’Arabia Saudita ha risposto tormentando lo Yemen con attacchi aerei notturni, finanziando i terroristi Sunniti in Siria, inviando truppe in Bahrain per soffocare la rivolta democratica – il Bahrain è per il 70% Shiita, ma la famiglia reale Saudita è Sunnita – e impegnandosi in una pericolosa guerra verbale con l’Iran.

L’Arabia Saudita ha anche fatto salire la tensione tra la sua minoranza Shiita del 15%, concentrata prevalentemente nella provincia orientale del Regno, dove è situata la maggior parte della sua industria petrolifera. Venerdì scorso, l’ISIS ha rivendicato l’attacco suicida che ha ucciso 21 persone in una moschea Shiita del governatorato del Qatif, situato a poche miglia dal confine con il Bahrain. Ma centinaia di siti Wahhabiti che invocano la totale eliminazione degli Shiiti, sicuramente hanno contribuito a istigare i colpevoli (Vedere qui, pag. e 152]

Il risultato è un rinnovato settarismo che rende impossibile il secolarismo del tutto impossibile. Mentre gli Stati Uniti spingono Baghdad ad una soluzione equa nei contrasti tra Shiiti e Sunniti, la loro pluriennale alleanza con il partito Saudita favorevole alla guerra suggerisce l’esatto contrario, e cioè che tutti quei bei propositi non sono che fumo negli occhi per nascondere una politica decisamente e apertamente pro-Sunnita.

Considerando le dichiarazioni di Biden alla Kennedy School secondo le quali l’Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo erano “determinati a rovesciare il potere di Assad e a condurre una guerra per procura tra Shiiti e Sunniti”, dovevamo aspettarci che gli Stati Uniti si fossero fatti da parte, rifiutandosi di avere qualcosa a che fare con una guerra di sterminio contro le minoranze religiose Siriane. Invece, hanno continuato.

Ora, secondo Biden, Obama è riuscito a persuadere i Sauditi a interrompere i finanziamenti all’ISIS e a impegnarsi insieme a loro nel tentativo di destituire Assad. Ha “creato una coalizione con i nostri vicini Sunniti”, ha detto il Vice Presidente “Poiché l’America non può più permettersi di entrare in una nazione musulmana e comportarsi in modo aggressivo, devono condurre i Sunniti”.

Solo i Sunniti hanno, evidentemente, l’ autorità morale di iniziare una guerra di aggressione contro un governo Shiita.

Invece di tentare di spegnere il fuoco di un conflitto religioso, l’America ha grossolanamente sbilanciato le sue politiche finendo con l’attizzarlo. I risultati sono una manna dal cielo per ISIS e Al-Nusra e, allo stesso tempo, una completa disgrazia per i militanti Shiiti. Non importa quante bombe lanceranno gli Stati Uniti e i loro alleati: l’ISIS non può che crescere in un clima politica talmente deteriorato.

LA CARTA DEL PETROLIO

MOTIVO#4: IL PETROLIO

L’Arabia Saudita è una grossa responsabilità politica. Le sue politiche sono diventate talmente tossiche che persino i suoi vecchi alleati la stanno abbandonando. Il Pakistan si è rifiutato di fornire sue truppe per il folle attacco Saudita in Yemen, nonostante il paese sia da lungo tempo beneficiario di aiuti sauditi; e anche l’Egitto si è opposto all’invio di truppe.

Di fronte a un regime sempre più isolato e sospetto agli occhi del mondo esterno, per gli USA la soluzionedovrebbe essere quella di allentare i suoi legami con Riyadh, rifiutarsi di restare coinvolti in una guerra religiosa contro Assad, e tentare di raggiungere un compromesso con Damasco, come sta facendo con Teheran.

Ma gli Stati Uniti non riescono a farlo. L’Arabia Saudita non è un paese come un altro: è il principale partner commerciale Americano del Medio Oriente. Siede su un quinto di tutte le riserve petrolifere mondiali conosciute ed è il partner più importante nel Gulf Cooperation Council, che rappresenta un altro 20% delle riserve petrolifere mondial e il 23% delle riserve di gas del pianeta.

Il Regno Saudita possiede quasi 700 miliardi di dollari di riserve valutarie ed è anche il il maggiore importatore mondiale di armamenti, soprattutto dagli Stati Uniti. E’ quindi un paese di cui Washington non può fare a meno; ecco perché, nel classico caso del cane che si morde la coda, gli USA saranno sempre al fianco dell’ Arabia Saudita in Siria, Yemen, Bahrain e altri paesi.

Le conseguenze erano più che prevedibili. Infatti, la Defense Intelligence Agency (DIA) quasi tre anni fa lanciò l’allarme che i Salafiti, la Fratellanza Musulmana ed Al Qaeda erano le forze dominanti del movimento anti- Assad e che i loro sostenitori in Arabia Saudita e negli altri stati del Golfo stavano tentando di stabilire un avamposto Salafita in Siria orientale.

In un rapporto dell’agosto 2012 , la DIA osservava che le implicazioni per l’IRAQ erano fortemente negative, sottolineando che il rafforzamento di al-Qaeda in Siria “creava l’ambiente ideale per un ritorno di Al Qaeda-Iraq a Mosul e Ramadi, e per una nuova rinascita, nella presunzione di poter unificare la Jihad tra gli Iracheni e i Siriani Sunniti, e tra il resto dei Sunniti di tutto il mondo arabo, contro quelli che considerano dei nemici – i disertori (gli Shiiti).”

“L’ISI (precursore dell’attuale ‘Stato Islamico’ in Iraq) potrebbe anche dichiarare la nascita di uno Stato Islamico attraverso il suo collegamento con altre organizzazioni terroristiche in Iraq e Siria, cosa che rappresenterebbe un gravissimo pericolo per l’unificazione dell’Iraq e per la difesa del suo territorio.”

Pare che l’intelligence-militare non sia sempre un ossimoro. Ma nonostante questo, la Casa Bianca è andata avanti. Debordante, assediata e sempre più dipendente dai suoi alleati Sauditi, l’impero Americano ha ritenuto che non vi fosse alternativa all’appoggiare Riyadh nella tana del coniglio, sperando – inutilmente – che le conseguenze non sarebbero state poi così terribili. Ma si sbagliava.

Daniel Lazare è autore di diversi libri tra cui “La Repubblica Congelata: come la Costituzione sta paralizzando la democrazia(The Frozen Republic: how the Constitution is Paralyzing Democracy (Harcourt Brace).

Fonte: www.informationclearinghouse.info

Link: http://www.informationclearinghouse.info/article41954.htm

23.05.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SCONCERTATA63

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