PERCHE’ IN ITALIA UN SUICIDIO “NON FA LA RIVOLUZIONE” ?

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DI ENRICO GALOPPINI
europeanphoenix.it

Sono due-tre giorni che mi chiedo quale differenza passi tra un tunisino, venditore ambulante, che si dà fuoco per protesta davanti alle autorità locali che gli hanno confiscato la merce, e un italiano, di professione fioraio, che s’immola allo stesso modo negli uffici del suo Comune lanciandosi poi dal balcone per dimostrare la sua disperazione a chi non vuol concedergli la concessione per l’uso dello spazio prospiciente il negozio.

Evidentemente non c’è alcuna differenza: sono entrambe storie di persone esasperate che per un motivo o per l’altro non vedono più una via d’uscita per la loro situazione.

Nella foto: i funerali del fioraio suicida di Ercolano
Ma in un caso, quello tunisino, è “scoppiata la rivoluzione”, e tutto il mondo ha saputo dell’immolazione del giovane Bou Azizi. Nell’altro, quello italiano, a malapena ci si ricorda, passata la “notizia di cronaca”, della fine orrenda del povero Antonio Formicola. Al massimo si organizza una raccolta di firme per cacciare il sindaco di Ercolano e il capo dei Vigili Urbani.

Eppure, in Italia, a giudicare dal progressivo deterioramento delle condizioni economiche e sociali, gli estremi per uno scatto d’ira collettiva ci sarebbero tutte.

Molte attività commerciali a conduzione familiare faticano a restare aperte e un tot di piccole imprese chiudono baracca e burattini, strette nella morsa dello Stato che le considera covi di “furbetti del quartierino” e dei centri commerciali che proliferano come cellule tumorali attorno a cellule sane (dietro un negozio c’è una famiglia, ma nei “mall” tutti sono dipendenti di qualche anonimo consiglio d’amministrazione). Lavoro dipendente non ce n’è quasi più, e manco basta inventarselo, alla faccia delle magnifiche sorti e progressive che avrebbe atteso il berlusconiano “popolo delle partite Iva”. Se vuoi fare il contadino o l’allevatore e cavare anche una resa in soldoni devi stare entro gli assurdi parametri dell’euroburocrazia che stabilisce “quote” e “norme” senza alcun criterio apparentemente logico, mentre dal cielo aerei senza pilota e senza contrassegno bombardano a più non posso con sostanze le più nocive i campi che dovrebbero darci da mangiare del cibo sano. I concorsi pubblici ormai si fanno ogni morte di papa (e tra l’altro ora i papi si dimettono!) e chi riesce ad andare in pensione non viene sostituito, o almeno non si dà a chi va a rimpiazzarlo un “posto di lavoro” di pari dignità: non a caso il ritornello dell’attuale “governo dell’ammucchiata” è quello del “lavoro per i giovani”, naturalmente a condizioni capestro e indegne d’un uomo libero.

Se poi si aggiunge che deve usare una moneta non sua (causa, tra le altre delizie, del famoso “debito pubblico”) e deve sopportare la presenza d’una pluridecennale occupazione militare, nonché politica, economica e culturale da parte degli Stati Uniti, che cosa resta dunque da fare al bistrattato popolo italiano?

Forse, nelle intenzioni di chi viene oculatamente ed alternativamente piazzato a fargli sistematicamente la guerra (v. “governare”), dovrebbe passare le giornate nelle sale per scommesse che lo Stato stesso incoraggia immoralmente, o proporsi come corriere della droga per qualche “cartello” ben ammanicato con l’Oltreoceano. O magari mettersi al servizio di qualche associazione a delinquere, di cui certo l’Italia non difetta, oppure prostituirsi e basta, uomini e donne non fa differenza, fintanto che la cosa non provocherà un conato di vomito quando capiterà di riguardarsi allo specchio.

Insomma, le occupazioni “alternative” e le maniere per tirare a campare non mancano, né quello italiano è un popolo al quale manca il proverbiale ingegno!

Questo è, in sostanza, il messaggio che passa dai “palazzi della politica”.

Ma perché, dicevamo, in Tunisia “il popolo” s’è rivoltato, mentre in Italia, sebbene i suicidi qui siano addirittura in quantità superiore, tutto resta a bocce ferme?

Premesso che il mito della “rivoluzione” ha fatto il suo tempo (per cui non è tanto interessante che “scoppi un casino” e che “tutto cambi affinché nulla cambi” quanto constatare almeno la capacità reattiva d’un popolo vessato), proviamo a capire perché gli italiani non si ribellano e non accennano a farlo, ma anzi ingoiano il rospo lasciandosi andare a gesti autolesionistici ed irreparabili, oppure, in numero crescente, chiudendo definitivamente con l’Italia (v. emigrazione e “fuga dei cervelli”) e la sua atavica condizione apparecchiata per creare solo difficoltà a chi ha voglia di fare e, fondamentalmente, di vivere tranquillo senza assilli e patemi.

Il primo dato da considerare è che dietro una “rivoluzione” c’è sempre un’organizzazione. La “presa della Bastiglia” col popolo urlante ed i forconi in mano è più che altro una presa… per il culo che ancora propinano agli studenti delle scuole. La cosiddetta “Primavera araba” è stata preparata per anni con tutto un lavorio di personale addestrato dalle varie “organizzazioni non governative”, che a sua volta ha individuato gli elementi locali adatti a guidare la protesta e, soprattutto, a diffondere stati d’animo atti a facilitare il “cambiamento” e far scivolare così il paese di turno nell’orbita americana. I soldi, come in tutte le situazioni simili, non sono mancati, né la copertura mediatica in favore di “dissidenti” (se ne trovano sempre) e di giovani di belle speranze (di far soldi e carriera con lo Zio).

Qua, invece, dove siamo già straoccupati dall’America fino al midollo, non c’è alcun interesse a dare un seguito “rivoluzionario” a questi frequenti gesti estremi di disperazione. Pertanto finché una grande potenza (Russia o Cina) non si metterà in testa di utilizzare gli stessi sistemi delle “rivoluzioni colorate” targate Occidente (infiltrazione, sostegno, copertura mediatica eccetera), hai voglia te a suicidarti: possiamo anche ammazzarci tutti, in diretta televisiva, e non accadrà nulla.

Gli italiani, è vero, un segno di disaffezione e di larvata protesta verso l’andazzo lo stanno mostrando, sia disertando le urne, sia premiando il Movimento Cinque Stelle, che al di là di ogni altra considerazione è senz’altro una discreta novità e, almeno a parole (quanto ai fatti è ancora presto per giudicare), sembra voler cavalcare alcuni temi di cruciale importanza, quali la sovranità monetaria e militare della nostra nazione. Certo è che questo movimento, se vuole davvero incidere, deve smetterla di perdere tempo con quisquilie e quali la restituzione dei rimborsi elettorali o delle “diarie” e puntare diritto, martellando dalla mattina alla sera, sulle suddette due istanze sovraniste, andando davvero al di là della destra e della sinistra perché la sovranità nazionale non ha colore politico.

Ma gli italiani, compresi i nuovi esponenti del movimento guidato da Beppe Grillo, hanno la stoffa e il coraggio per condurre una simile battaglia all’arma bianca? Oppure preferiscono cincischiare e polarizzarsi insulsamente, agiti come delle marionette, sui temi che il circo mediatico gli dà di continuo in pasto per distrarli e dividerli a tempo indeterminato?

Sì, gli italiani sono troppo faziosi e non individuano la radice del problema che affligge la vita di molti di loro. Ovviamente non sto parlando ad un livello “filosofico”, quello della fatidica “domanda essenziale” (ché quella resta la medesima per il miliardario e il barbone), ma di quelle condizioni socio-economiche e, prima ancora, politiche, che rendono l’esistenza d’una nazione fiera perché libera, e dignitosa perché non dipende dagli schiribizzi dello “spread”.

La radice di questa faziosità risale probabilmente a secoli addietro, ma certo è che l’epilogo del Fascismo e la stagione degli “anni di piombo” ci hanno messo del suo, col Badrone anglo-americano-sionista a pompare dosi da cavallo di odio tra italiani. Ecco perché una sana pacificazione nazionale non può che passare per il superamento dell’antifascismo in assenza di Fascismo, per dirla con le parole di Costanzo Preve. Ma va da sé che tale esito non può che prevedere, preliminarmente, la fine della sudditanza e del servaggio verso i nostri sfruttatori ed occupanti, con defenestrazione dei loro lacchè, e successiva bonifica mentale dopo decenni d’inquinamento esistenziale, perché quando è stato libero e sovrano il popolo italiano ha dimostrato di non essere secondo a nessuno, e nemmeno più diviso, anche se i documentari della Bbc, riversati a fiumi nelle nostre case col digitale terrestre, possono ingannare un pubblico di disinformati sull’inarrivabile “genialità” anglo-sassone e l’elevatezza del relativo ed inimitabile “stile”.

Col che si capisce che l’importante nella vita è vendersi bene, e con gli strumenti adeguati. E che la divisione e la discordia sono la mala pianta che origina dal seme dell’occupazione straniera.

In Italia poi, oltre ai suicidi causati dalla “crisi”, è in corso più d’una vibrante e reiterata protesta che coinvolge molti cittadini, come quella contro il Tav Torino-Lione, che prescindendo da ogni considerazione di carattere politico e/o geopolitico, presenta modalità analoghe a quella di questi giorni in Turchia, dove le iniziali rivendicazioni di tipo ambientalistico s’allargano fino alla messa in discussione della legittimità stessa dell’operato del governo (se non proprio della sua esistenza).

Sembra infatti che la minaccia di tagliare degli alberi di un parco per far posto ad un progetto urbanistico abbia prodotto il subbuglio di questi giorni nel Paese della mezzaluna. Per carità, la cosa in sé può risultare odiosa e non condivisibile, ma con tutta evidenza c’è dell’altro per mettersi a protestare in pianta stabile da giorni e con quella determinazione. Mi chiedo quindi se non ci sarà anche chi sta sostenendo i rivoltosi perché ha un qualche interesse a modificare il corso della politica turca. Ogni governo straniero s’è in effetti messo a dire la sua e ad intimare a Erdogan cosa deve o non deve fare. Oppure vogliamo credere (come in Tunisia, Egitto eccetera) che sia tutto spontaneo?

E che ci stiano simpatici o meno i “No-Tav”, in Val Susa le botte son volate per davvero e diversi attivisti sono stati fatti oggetto d’intimidazione e repressione. Né sono mancate sonore manganellate sul groppone di chi qualche mese fa manifestava nelle piazze di alcune capitali europee. Eppure tutto va avanti come se nulla fosse, mentre se le stesse briscole le tira la polizia turca mezzo mondo vien fatto “indignare” a mezzo stampa. Forse qualcuno aveva gridato allo scandalo e alla repressione redarguendo i vari governi greco, spagnolo ecc. per uno “spropositato uso della forza”? No, perché nel contesto europeo non deve avvenire in alcun modo un cambiamento politico, anzi, devono rafforzarsi la presa della Nato e la dittatura dei signori del denaro.

Russia o Cina hanno protestato per i “diritti umani” violati? Non mi risulta. D’altra parte, se in giro per il mondo il “modello americano” trova diversi appassionati, tra cui giovani sprovveduti che non sanno cosa li aspetta e qualche volpone che ha fiutato l’affare, va ammesso che dalle nostre parti non vi sono schiere di entusiasti ammiratori di potenze in grado di competere con quella americana, anche e proprio a causa del grave ritardo, in giro per il mondo, nella comprensione della devastante incisività del cosiddetto “soft power”, ovvero tutto quell’apparato di condizionamento attivato attraverso una “cultura” ed una “informazione” in grado di catturare simpatie e consenso.

In un quadro del genere, diventa perciò assai difficile per dei sinceri patrioti disposti a giocare ‘di sponda’ conseguire l’obiettivo della liberazione nazionale.

Ma un fatto è certo. Come una rondine non fa primavera, un suicidio non fa la rivoluzione, specialmente se non si ha coscienza di qual è la radice del problema (l’assenza di sovranità) e la causa di un disagio sociale ed economico che si traduce in drammi come quello del suicidio di chi non riesce più a sopportare una situazione resa insostenibile.

Enrico Galoppini
Fonte: http://europeanphoenix.it
Link: http://europeanphoenix.it/component/content/article/3-societa/636-perche-in-italia-un-suicidio-non-fa-la-rivoluzione
14.06.2013

 
 

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