NOAM CHOMSKY E PAOLO BARNARD: IL CAMBIAMENTO. GIUGNO 2007

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DI PAOLO BARNARD

paolobarnard.info

Ci conosciamo, io e Noam Chomsky, abbiamo anche avuto scambi molto privati. Questo che segue è d’interesse pubblico. Chomsky è oggi (lo ricordo a chi lo conosce poco) considerato il maggior intellettuale vivente (dal New York Times).

Da anni, io che davo la pelle per ‘un mondo migliore’, mi stavo rendendo conto che i risultati non stavano arrivando. Oggi, con mezzi di ogni sorta immensamente superiori a quelli dei secoli scorsi, ancora non riusciamo a fermare l’orrore delle guerre, le ingiustizie su macro scala, la fame di milioni di bambini, l’avanzare del Vero Potere, la dittatura dei mercati. Ebbi quindi un idea. Scrissi a Chomsky e gli proposi la formazione di un pannello di esperti a livello mondiale che per la prima volta studiassero ‘Che cosa cambia l’umanità in meglio’, partendo da cosa l’ha cambiata in passato per arrivare a cosa la può veramente cambiare oggi. Un pannello di storici, antropologi, psicologi, intellettuali, e veri combattenti.

Il mio assioma di partenza era questo: non possiamo dare per scontato che ciò che è riuscito a stemperare la barbarie di 5000 anni – passando per la rivoluzione francese e Illuminista, quella socialista, per quella femminista, sulla scia dell’olocausto delle guerre mondiali, durante il prodigioso arrivo della rivoluzione delle tecnologie e mezzi di comunicazione – possa funzionare anche oggi. Talmente tanto è cambiato, soprattutto il Vero Potere ha ottenuto una tale rivincita a livello planetario, che dire, come diceva proprio Noam Chomsky, che “l’umanità è sempre uscita dalla barbarie e non c’è motivo per cui questo non debba continuare”, mi appariva superficiale. Infatti i risultati, a mio parere, non erano arrivati.

Tenete conto che lo scambio con l’immenso intellettuale americano avviene nel 2007, prima dell’esplosione della crisi finanziaria, che ha sbattuto in faccia al mondo quanto in realtà ci siamo involuti e non evoluti nella difesa dei diritti dell’uomo e nella gestione dell’interesse pubblico. Nella prima lettera (un mio breve saggio) gli contesto proprio quella sua convinzione, e gli dico una cosa che lui non comprende appieno: “In proporzione ai mezzi oggi disponibili, assenti del tutto nei secoli scorsi e fino agli anni ’60 e ‘70, la nostra lotta alla brutalità del Potere non ha fatto e no sta facendo così tanti passi avanti”. Cioè: non stiamo capendo cosa ottiene il cambiamento oggi, e ci appoggiamo a metodi che hanno funzionato in passato ma che ora sono fallimentari.

La discussione era e rimane di una importanza cruciale, più che cruciale, perché se gli attivisti per ‘un mondo migliore’ sbagliano l’analisi e gli strumenti per il cambiamento, essi si consegnano alla vittoria finale del Vero Potere. Cosa che per me, oggi soprattutto, sta avvenendo. Comunque, eccovi il mio scambio con Noam Chomsky sul tema di COSA OGGI OTTIENE IL CAMBIAMENTO PER UN MONDO MIGLIORE. A voi il giudizio.

Chomsky:

Nella tua argomentazione ci sono alcuni passaggi logici che non convincono. Io non ho mai detto che la tendenza verso il miglioramento sociale c’è sempre stata e sempre ci sarà. Piuttosto io ho detto che non vi è motivo di credere che ciò che fu efficace in passato cambierà. Vi è un enorme salto fra il dire che non ci sono motivi di dubitare che le opzioni passate saranno ancora disponibili, e sostenere che le opzioni passate saranno disponibili. Quello che ho detto non comporta la fede in una tendenza al miglioramento, ma piuttosto io non vedo argomentazioni valide per negarla.

Quindi ciò che devi argomentare, e di fatto lo fai, è che c’è motivo di dubitare che l’attivismo possa ottenere qualcosa. Ma vedi Paolo, a questo punto io mi rifaccio a una variante della scommessa di Pascal: se decidiamo di rinunciare alla speranza, siamo certi che il peggio accadrà. Se invece manteniamo la speranza, possiamo immaginare che un futuro migliore arriverà. E poi, un problema con la tua versione è la Storia che citi; tu poni un punto di svolta negativo negli anni ’70 e porti come esempio il fallimento odierno della pubblica opinione di fermare la guerra in Iraq. Allora pensa agli anni ’60, quando gli USA compivano atrocità ben peggiori di quelle fatte in Iraq. Lo faceva in tutto il mondo, ma stiamo in Vietnam. J F Kennedy invase il Vietnam del sud nel 1962. Già nel 1967 il più rispettato storico militare sul Vietnam, Bernard Fall, dubitava che quel Paese potesse persino sopravvivere ad attacchi di quella ferocia. Ma le proteste erano minime. In Europa non si mosse un dito mentre mezzo milione di soldati americani, koreani, tailandesi e mercenari stavano devastando il Vietnam del sud, con addirittura avvertimenti dalla Francia che l’olocausto non sarebbe riuscito.

L’Iraq è certamente un crimine, ma non si avvicina neppure pallidamente alle atrocità della guerra in Vietnam. Ripeto: in piena guerra vietnamita praticamente nessuno protestava. In Europa poi eravate talmente indifferenti… ti descrivo la mia esperienza. Londra era ovviamente la sostenitrice maggiore degli USA, e in Gran Bretagna c’era la meravigliosa attivista Peggy Duff, del tutto marginalizzata. Tentò di organizzare proteste, ma doveva sempre invitare me o I.F. Stone dall’America perché in Inghilterra non riusciva quasi a trovare un singolo accademico o intellettuale a suo favore. La Francia era tragica. Ci andai a fare conferenze, ma sti francesi erano così fanaticamente ideologicizzati che non capivano una parola di quello che dicevo. Il resto d’Europa era persino peggio. Già qui la tua tesi cede. Che opposizione ci fu in Francia mentre Parigi riconquistava l’Indocina, o in Gran Bretagna nella brutale guerra in Malesia…? quasi nulla. L’attivismo è rinato negli anni 60 o 70, col femminismo, negli anni 80 con le proteste che obbligarono Reagan a limitare le istallazioni nucleari. E poi il movimento anti imperialista degli anni 70, una novità assoluta, e poi la lotta alla globalizzazione degli anni 90, fino a oggi.

Paolo, tu però hai una contro argomentazione che è piuttosto interessante, e cioè che il livello di attivismo dovrebbe invece esse valutato sulla base ciò che poteva ottenere tenendo conto dei nuovi mezzi di comunicazione e tecnologici che abbiamo; questa è un’idea che voglio approfondire, ma la trovo difficile da testare… con quali metriche? Ma vedi, alla fine io ritorno alla scommessa di Pascal, per me una scelta inevitabile.

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Noam, guarda che non ci siamo capiti, e parecchio. Primo non ho mai suggerito di rinunciare alla speranza, anzi, dico proprio l’opposto, cioè questo: dobbiamo prendere atto del terrificante cambiamento nelle dinamiche sociali che ha reso apatici milioni di occidentali, e trovare un antidoto a questo finché possiamo. Il mio saggio che hai letto dice proprio quello che tu mi hai detto. Io vi ho scritto: “I tempi migliori per la rivolta sociale alla brutalità vennero negli anni 70, che rappresentano il culmine, la ‘crema’ se si vuole, di 250 anni di rivoluzioni sociali”. Non hai compreso tuttavia che io denuncio la paralisi odierna delle masse occidentali frutto di 35 anni di Esistenza Commerciale e Cultura della Visibilità massmediatica, che hanno eroso la nostra psiche collettiva, e che va peggiorando. Sono due fenomeni che vedono la luce anch’essi negli anni 70 e lì iniziarono ad avvelenarci.

Poi tu non hai commentato sulla mia previsione del soffocamento delle rivoluzioni ‘bolivariane’ in Sud America. Cioè, cosa accadrà a quelle coraggiose società quando anche loro snifferanno per la prima volta l’oppio dell’Esistenza Commerciale? Non ci sono bastate le lezioni dell’Europa e della Cina?

Ma ancora più importante, sembra che tu non abbi colto il punto principale della mia argomentazione: e cioè che i fenomeni della Esistenza Commerciale e Cultura della Visibilità massmediatica sono interamente nuovi nella storia dell’umanità, così come è inedito l’effetto di addormentamento oppiaceo che hanno sulle masse. In più ti ho descritto come la nostra esistenza oggi ci priva del tempo di capire, studiare, e attivarci contro la barbarie del Vero Potere; come essa ci togli l’autostima per essere liberi pensatori (con conseguenze catastrofiche fra i sindacati italiani e i loro lavoratori). Voglio dirti: questi cambiamenti sono una ‘prima’ assoluta nelle dinamiche sociali umane da 5000 anni, non possono non aver causato mutamenti nel nostro sviluppo sociale. Sono troppo enormi per essere scartati e io vi scorgo la più grave minaccia alla nostra capacità di organizzazione collettiva contro i poteri. Io invoco che noi scopriamo la chiave di quella minaccia e la disattiviamo.

Sulla tua scommessa di Pascal, ti cito Carl Popper: “I cambiamento è scientifico, il progresso è etico. Il cambiamento non più essere negato, ma che ci sia stato progresso è una questione molto discutibile”.

Paolo

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Ora mi trovi confuso, devo ammetterlo. Avevo capito che la tesi del tuo saggio era che tutti i metodi di lotta sociale passati erano falliti a causa dei cambiamenti da te descritti a partire dagli anni 70, e quindi che per definizione no c’erano più speranze. Per questo ho letto nelle tue parole un semplice “non c’è più nulla da fare”. Le lezioni che tu citi in occidente io le leggo in modo diverso. Credo che l’intenso fenomeno che tu chiami Esistenza Commerciale e Cultura della Visibilità massmediatica, che comunque iniziò negli anni 20 per poi massimizzarsi negli anni 70, ha certamente plasmato il pubblico, ma con risultati del tutto diversi da quelli che il potere voleva ottenere.

Infatti l’attivismo dagli anni 80 ha raggiunto cime mai viste prima, e ora sta inventandosi altri percorsi creativi ed eccitanti. Ho già menzionato il tuo argomento interessante secondo cui l’attivismo non è però all’altezza dei mezzi di cui oggi disponiamo, un’idea intrigante, ma non so come misurarla.

Voglio dirti che io non sono in disaccordo con te sui processi in corso, ma comunque sento che la scommessa di Pascal rimane valida, e non credo valga la pena abbandonare i metodi di lotta fino ad oggi conosciuti.

Noam

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E invece a me sembra piuttosto semplice da capire. Non vedo come tu possa essere confuso. I metodi conosciuti sempre finiscono per non funzionare più nella Storia. Per questo l’uomo s’inventa nuovi metodi di continuo. La speranza, Noam, è nei nuovi metodi, quelli consueti nell’attivismo sono diventati privi di significato per i due fenomeni che ti ho descritto e che senso ha continuare ad appellarsi a masse drogate da quei e fenomeni? Quindi perché non cercare nuovi metodi, che sappiano raggiungere le immense masse di maggioranza, quelle che non sanno neppure cosa significhino le parole Fondo Monetario, quelle che credono che la Palestina sia nata da Isreale, che non s’immaginano neppure lontanamente cosa veramente costa alle vite dei contadini africani la nostra tazza di caffè della mattina. Aiutiamoli a rendersi protagonisti con metodi che funzionano!

La speranza c’è, a tonnellate Noam, ma solo se abbiamo l’umiltà di accettare che i vecchi metodi sono morti e che un nuovo arsenale va costruito! Abbiamo avuto in Europa cervelli in fermento 40 anni fa, da Sartre, Foucault, Deleuze, Guattari, Cohn Bendit or Rudi Dutschke. In Italia Pasolini, l’università di Trento, non mi dilungo. Ma dove sono oggi? Tutto morto, per non parlare della palude intellettuale delle università.

E sulla scommessa di Pascal: certo, è un assioma, ma perché non migliorarlo rivedendo i metodi di lotta?

Paolo

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Allora la questione è: 1) quali sono queste nuove forme di lotta? 2) le vecchie forme si sono esaurite? Bè, non vedo una risposta al punto 1) a parte qualche aggiustamento per le circostanze mutevoli. E non accetto il punto 2). Non vedo una sconfitta, forse perché io, come altri, sono travolto da richieste di conferenze, interviste, attivismo, e vedo che le audience sono sempre più ampie. Inoltre non condivido la tua stima per gli intellettuali che hai citato, che più che altro si atteggiavano… con l’eccezione di Sartre occasionalmente, e Cohn Bendit per solo alcuni mesi. Bourdieu, forse uno dei migliori, ha spesso scritto cose imbarazzanti, senza prove certe e malamente supportate da evidenze. Anche se migliore degli altri.

Noam

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Allora Noam ti ribalto la questione. Quali erano le vecchie forme di lotta? Nominiamole: conferenze sempre piene di fans già convertiti; le solite manifestazioni; pubblicazioni e libri, di nuovo però ospitati da editori e media ‘amici’; i forum sociali, ancora zeppi di amici degli amici già simpatizzanti; l’equo-solidale col Sud, ok, bene, ma sempre minuti gruppi di ‘belle anime’ ecc. Insomma, le ‘belle anime’ che parlano fra di loro Noam, sempre. Ma dimmi: è sufficiente sta roba a combattere una macchina colossale di potere finanziario, mediatico, industriale, politica e massmediatica che ha intrappolato 800 milioni di persone in una frenesia di vita e di indebitamento?

Dimmi Noam, le ‘belle anime’ stanno convincendo e dando potere al taxista, al negoziante, all’impiegato, al pensionato, ai tifosi, alle discotecare, ai poliziotti, ai contadini, agli operai, ai conservatori, ai manager, ai colletti bianchi, gli anziani, ai qualunquisti, ai confusi, a chi non ha tempo per respirare la sera a casa? Sono milioni e votano! Non so, forse negli USA avete fatto una miracolo, ma qui il movimento No Global è conosciuto dal 99% come i black block che spaccano le vetrine, e nessuno sa nulla delle loro battaglie contro il WTO e i trattati di libero scambio coi poveri del Sud. Ho partecipato alla più grande marcia della pace italiana a Limone sul Garda come oratore, e c’erano fra gli altri 2000 suore con noi, frati, missionari, famiglie e bambini, ok? Arriviamo a Limone è c’è uno schieramento di polizia da guerriglia sudamericana. La gente chiusa in casa, negozi sbarrati. Ecco come gli attivisti sono riusciti a superare la barriera della comunicazione con le masse…!

C’erano 2 milioni di italiani a manifestare contro la guerra in Iraq a Roma nel 2003… per un giorno. Bravi. Ma li vedi tu per il resto dell’anno passare di casa in casa a informare le masse? Dai. Se lo facessero allora sì che, assieme a nuovi metodi di comunicazione, le cose cambierebbero oggi. Noam, sei sicuro che non stai confondendo le entusiaste platee che vengono ad adorarti con altrettanti cittadini che poi veramente una volta a casa lottano giorno dopo giorno per scavare buchi nel Potere? Non mi risulta che lo facciano. Sei sicuro che tutta sta ‘bella gente’ non delega a te, e a me nel mio piccolo, il compito di “Vai e lotta!”, per poi fare nulla?

Paolo

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Come tu immagini i vecchi metodi di lotta è molto differente da quello che vedo io. Il mio quadro è fatto di conferenze a audiences molto ostili, disobbedienze civili spesso molto difficili e col rischio da me corso di finire in galera, attivismo esteso, lavoro di solidarietà qui e all’estero, lavoro per creare nuove istituzioni, e azioni anche rischiose in altri Paesi. E nel corso del tempo queste cose hanno avuto risultati notevoli. Gli USA sono oggi una nazione molto più civile di prima, e non è stato per magia. Questo include anche le aggressioni militari. Oggi nessun presidente qui potrebbe cavarsela con quello che hanno fatto Kennedy e Johnson nel sud est asiatico. E lo sanno. Quando la guerra in Vietnam era al livello di violenza di quella del’Iraq oggi, al massimo questo suscitava qualche sbadiglio, e tentativi di fare eventi sul tema venivano impediti dalla polizia con violenza, e anche da studenti della Boston liberale, con gli applausi del liberale Boston Globe. Questo è cambiato, e non per magia.

La gente che nelle province americane ci viene ad ascoltare oggi è proprio quella che tu dici, e i numeri sono aumentati enormemente nel corso degli anni. Devo rifiutare decine di inviti al giorno, e non sono certo un oratore carismatico. Parlo come scrivo, figurati. Ma è il Paese che è cambiato. Poi, quanto tutto questo possa effettivamente ottenere un cambiamento, chi lo sa. Ma siccome ne io né tu né altri abbiamo suggerimenti migliori, mi sembra che la discussione sia fine a se stessa. Facciamo quello che possiamo. E ritorniamo alla scommessa di Pascal.

Noam

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Ok, allora gli americano sono persone incredibili. E l’America è un posto favoloso. Te lo dico senza un grammo di sarcasmo, perché ti credo. Solo che mi lascia stupefatto. Qui il quadro è quello di un altro pianeta. Qui fare serate sulla giustizia globale a audiences ostili di un migliaio di estremisti di destra, xenofobi e qualunquisti consumisti, appartiene a un sogno. E siccome le cose da voi funzionano a meraviglia, lasciaci Pascal per noi, ne abbiamo bisogno disperatamente. Ci sono però alcuni punti fondamentali a cui tu non hai risposto, ma li lasciamo per il futuro. Grazie di avermi dedicato tanto tempo, e spero che ci ritroveremo in futuro ma non come giornalista-intellettuale, piuttosto come compagni che vivono in due mondi molto differenti. Tuo,

Paolo

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Evidentemente sono stato troppo breve e poco chiaro. Ho spesso parlato a platee ostili per anni, ma più spesso a platee che non condividono le mie idee ma sono ostili, e con questo intendo gente che manda all’aria la serata e dove la polizia è minacciosamente presente. Per esempio un anno fa ho parlato a 1000 cadetti e ufficiali a West Point, il tema era la teoria della ‘Giusta Guerra’ e le sue applicazioni distorte. Eppure sono stati gentili e c’è stato un ottimo dibattito, anche se su posizioni chiaramente diverse. Le audiences di cui parlo in giro per l’America sono spesso simili ma con molta più gente che mi sostiene attivamente. E’ vero che come tu dici si tratta di eventi dove parli ad ‘amici’, ma questo non considera alcuni punti fondamentali. Anni fa gli amici erano 3 persone in una chiesa, oggi possono essere 5000 di ogni estrazione in alcuni dei posti più reazionari d’America, e che ti ascoltano con attenzione. Questo è il risultato di molti anni di attivismo da parte di un sacco di gente, e mi sembra un’ottima cosa.

Spero molto che ci incontreremo presto.

Noam

Paolo Barnard

Fonte: http://paolobarnard.info

Link: http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=807

16.03.2014

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