MONDO CRIMINALE

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DI HS
Come Don Chisciotte

Senza sminuire l’operato delle forze dell’ordine e degli organismi investigativi italiani e americani qualche giorno fa abbiamo assistito a qualcosa che assomigliava all’ennesimo film sul modello della serie “La piovra” o dei prodotti del genere mafia o gangster movie di più recente fattura. Con tanto di infiltrato al seguito è stato smantellato un traffico di eroina e di cocaina organizzato e gestito dalle “famiglie” newyorkesi e dalle ndrine calabresi di Gioiosa Ionica. L’operazione – che, per la verità, ha condotto “solamente” all’arresto di ventisei persone – è stata coadiuvata dall’FBI americana e dallo SCO – il Servizio Centrale Operativo – impiegato nelle azioni contro la criminalità organizzata autoctona. Si sa…L’opinione pubblica ha bisogno di essere tranquillizzata, vuole che le strade delle proprie metropoli siano sgombre da trafficanti e spacciatori e da delinquenti di medio – piccolo cabotaggio di ogni risma e che, quindi, una sensazione di ordine e di pulizia accompagni le sue stanche giornate. Così si soddisfa occasionalmente questo aleatorio desiderio con operazioni poliziesche volte a stroncare l’ennesimo traffico illecito – internazionale o nazionale – o a debellare l’ennesimo gruppo criminale più o meno organizzato.

La cattura e il processo dei “pezzi da novanta” – sovrani della criminalità organizzata elevati a geni del Male come il capocosca corleonese Totò Riina, il boss italoamericano John Gotti o il narcotrafficante Pablo Escobar – sono sempre stati sbandierati al pubblico per dimostrare l’efficienza e le risorse profuse dagli Stati nell’eterna lotta al crimine. Molto spesso la cattura dei latitanti più famigerati e “pericolosi” segue una tempistica non casuale, come quella del “compare” di Riina, Bernardo Provenzano, incredibilmente latitante per più di quarant’anni, e arrestato a ridosso delle discusse elezioni politiche del 2006. In tempi di Crisi, il giochino non si è rotto, ma appare sempre più prevedibile e scontato tanto da non impressionare più di tanto il pubblico e, infatti, la notizia di questa operazione congiunta fra le polizie americana e italiana è stata relegata nei titoli di “coda” dei giornali e dei telegiornali. Ormai anche i più malaccorti ed ingenui si chiedono come mai, all’arresto dei nuovi boss mafiosi, camorristi, ndranghetisti ne succedono altri e tutto rimane esattamente come prima. Ovvero si continua ad estorcere, a corrompere, a taglieggiare, a trafficare in droga, armi, rifiuti, esseri umani, ecc…

Come se non bastasse gli inquirenti si spingono a promettere che finalmente verranno violati i santuari finanziari attraverso i quali vengono riciclati gli incalcolabili profitti della criminalità organizzata e delle loro multiformi attività illecite e che i complici presenti nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione verranno perseguiti con determinazione. La verità è che su questo versante passi ne sono stati fatti ben pochi e bisognerebbe chiedersi anche perchè…

Non si può ignorare che negli ultimi trenta, quarant’anni gli strumenti investigativi e giudiziari messi a disposizione per contrastare le forme di criminalità organizzata o meno e, comunque, di tipo “tradizionale” – quindi dedita alla truffa, al furto, alla rapina, allo spaccio, ecc… – si sono enormemente evoluti. Non solo il ricorso alle infiltrazioni e ai pedinamenti, ma soprattutto, i moderni sistemi di intercettazione ambientale, telefonica e “visiva” e di sorveglianza, consentono di conoscere molto sui movimenti di mafiosi e criminali in tempo quasi reale. La legislazione sui “collaboratori di giustizia” – chiamati “pentiti” in Italia –  sul modello americano – il programma protezione testimoni – ha permesso di estorcere il “tradimento” di molti criminali che non avevano via di uscita se non mettersi a disposizione delle autorità. Quindi, se ad esempio fino a una quarantina di anni fa, si poteva immaginare a Cosa Nostra, all’Onorata Società come a un oggetto inquietante o misterioso o, tuttalpiù, a un parto dell’immaginazione – chi di una certa età non ricorda quanti negavano l’esistenza stessa della mafia ? -, in tempi in cui le informazioni viaggiano alla velocità della luce la criminalità organizzata sembra diventare qualcosa di addirittura palpabile. Tuttavia l’approccio con cui si affrontano i fenomeni della mafia e della criminalità organizzata non è mutato nel suo complesso, rimane esclusivamente e puramente “poliziesco” come se si trattasse di comune delinquenza da strada, sia pure facendo ricorso a strumenti e metodi certamente più sofisticati ed efficaci. A questi “ritardi” sul piano puramente del contrasto di carattere repressivo corrispondono quelli dell’area della politica e della società civile “antimafiosa”. Un esempio illuminante l’ho potuto ravvisare assistendo alla pur interessante programma documentario di “Servizio Pubblico” sulla Terra dei Fuochi condotto dal pupillo di Santoro, Ruotolo, sulla 7. Gran parte della trasmissione era incentrata sulle rivelazioni del boss della camorra casalese Carmine Schiavone sui traffici e sull’interramento di rifiuti nocivi e tossici in Campania. Un business scandaloso che coinvolge non solo i camorristi casalesi, ma i loro complici politici e nelle amministrazioni locali e le imprese nazionali e straniere che hanno fatto ricorso a questi sistemi economici di “smaltimento”. Con grave danno per l’habitat e la stessa salute degli abitanti… I fatti sono noti: le rivelazioni del “pentito” davanti all’apposita Commissione risalgono a più di quindici anni fa eppure sono state dichiarate “Segreto di Stato”. Il vero scandalo, quindi, non è costituito dal coinvolgimento della camorra che, necessariamente, si sporca le mani nell’ennesimo e “sporco” business”, ma dalle gravissime responsabilità in ambito istituzionale e imprenditoriale in “alto loco” di chi ha partecipato all’affare e, anzi, si è giovato dei servizi della criminalità organizzata campana. Lo zelante e pur bravo conduttore avrebbe dovuto insistere di più sul tasto delle centinaia di imprese del nord Italia e straniere che, per ridurre i costi dell’eliminazione degli “scarti” e dei residui di fabbrica, hanno contribuito ad appestare e inquinare gravemente una notevole porzione di territorio, invece, verso la fine della trasmissione, voilà !!! Il tocco di genio “antimafioso”…

Due povere madri di bambini che si sono ammalati gravemente a causa dell’ingegnoso sistema d’impresa per fare economie e ridurre i costi sono state messe a confronto con il boss Schiavone il quale, dalla sua ottica e prospettiva mafiosa, cercava di far capire quanto fossero state gravi le responsabilità dei politici nazionali e locali, suggerendo di non votare più per nessuno di loro… Inutile aggiungere che l’intento del presentatore fosse proprio quello di esporre alla opportuna gogna “mediatica” un collaboratore di giustizia che, comunque, aveva vuotato il sacco su questo squallido e mostruoso affare. Il punto è che all’approccio convenientemente “poliziesco” e sicuritario delle autorità corrisponde una retorica “antimafiosa” della società civile che è ormai vecchia e stantia e parla un linguaggio che è vecchio di trent’anni. Da un lato c’è la società civile “buona” e rigorosa, costantemente impegnata sul fronte della lotta alle mafia e alle forme della criminalità organizzata, dall’altro ci sono, appunto, gli “altri”, i mostri che estorcono, rubano, spacciano, trafficano, inquinano, ammazzano, ecc… per il vile denaro e che, magari, contaminano il tessuto sociale, imprenditoriale e istituzionale. Una sorta di nuovo manicheismo la cui più rappresentativa espressione creativa, letteraria e “mediatica” è stata raggiunta con “Gomorra” del giovane scrittore e giornalista Roberto Saviano il quale, infatti, è assurto agli onori della cronaca come eroe dell’”antimafia”. Eppure, nonostante tutto, le mafie sono sempre più forti, influenti e “globalizzate” e appare sempre più evidente come le azioni di contrasto siano il classico cucchiaino affondato nell’oceano.

Quali risposte possono dare magistrati e investigatori ? Oppure coloro che coltivano la retorica dell’”antimafia” ? L’odierna criminalità organizzata nazionale e internazionale è stata capace di adattarsi a i tempi ed è diventata enormemente più potente ? Gli strumenti a disposizione degli operatori sono ancora insufficienti ? E’ancora diffusa una scarsa sensibilità sul fenomeno ?   

A riprova del fatto che, in realtà, poco è stato fatto per porre fine ai fenomeni connessi alla criminalità organizzata e ai relativi traffici, c’è un dato insieme ironico e amaro che dà la misura di quanta finzione, malafede e sottovalutazione aleggino intorno a questi problemi. L’operazione congiunta dell’FBI e dello SCO italiano ha avuto come protagonisti principali – insieme ai mafiosi calabresi – esponenti della “famiglia” Gambino di Cosa Nostra italoamericana. Per chi ha solo un pochino di dimestichezza con la storia delle mafie siculoamericane, questo nome dovrebbe appartenere a un lontano passato ed essere consegnato ai libri. I Gambino facevano parte delle Cinque Famiglie di New York con i Luciano/Genovese, i Lucchese, i Bonanno e i Colombo, il vero vertice di Cosa Nostra che aveva mantenuto i contatti con le cosche siciliane fin dagli anni Trenta. Il potere e l’influenza che erano in grado di esercitare i capi della “famiglia” Gambino erano tali da entrare nella leggenda, infatti lo scrittore Mario Puzo si ispirò alla figura del carismatico patriarca Carlo Gambino per il suo bestseller “Il padrino” divenuto poi anche uno dei più grandi successi cinematografici della storia con la straordinaria interpretazione del grande Marlon Brando che impersonava il “mitico” boss dotato di un personale ma saldo senso dell’onore. Con la progressiva uscita di scena di Lucky Luciano e il declino di altri “storici” boss come Vito Genovese e Frank Costello, i Gambino scalarono l’organizzazione fino ad occuparne il vertice ed esercitare un ruolo egemonico nei grandi traffici internazionali di stupefacenti. Fra l’altro i successori di don Carlo Gambino figurarono fra gli organizzatori del finto sequestro del bancarottiere mafioso, massone e piduista Michele Sindona nell’estate del 1979.

I contorni di questo incredibile tentativo di ricatto nei confronti di personaggi americani e italiani “insospettabili”  non sono mai stati chiariti completamente e gli atti della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sono ancora secretati. Facendosi aiutare dalle “famiglie” newyorkesi e dalle cosche palermitane – e con il supporto di massoni italoamericani – Sindona simulò un sequestro “pseudobrigatista” e, da New York si fece portare fino a Palermo. Attraverso un mediatore della massoneria entrò in contatto anche con il Venerabile Maestro della loggia P2 Licio Gelli… Nulla è mai trapelato su eventuali approcci o trattative fra soggetti di notevole spessore criminale, ma basta dare uno sguardo alla carriera del finanziere di Patti per comprendere la natura di pressioni che poteve essere in grado di esercitare. Aveva fatto fortuna con la “borsa nera” durante la guerra e si era conquistato la fiducia di Lucky Luciano e degli altri boss italoamericani e siciliani. Il suo indubbio talento in campo finanziario gli aveva permesso di edificare un impero economico, finanziario ed imprenditoriale coltivando potenti amicizie sia sul versante “americano” – soprattutto nell’amministrazione del Presidente repubblicano Richard Nixon – sia su quello vaticano, diventando una sorta di consulente fiscale e finanziario per la Santa Sede. Da buon conservatore ed “anticomunista” finanziò le correnti di “destra” della DC (andreottiani e fanfaniani), mentre più testimonianze provenienti da diverse fonti lo presentano come uno dei promotori di un progetto “separatista” della Sicilia nel corso degli anni Settanta e, insieme, uno dei foraggiatori dei tentativi “golpisti” dello stesso periodo. Anche le circostanze della sua morte per avvelenamento in un carcere di massima sicurezza hanno fatto sospettare circa un suo possibile ruolo nella CIA americana. Da questi pochi dati di fatto si ricava che sì Michele Sindona era mafioso e un riciclatore dei capitali sporchi di Cosa Nostra, ma anche un anello di congiunzione fra ambienti diversi e insospettabili (americani, massoneria, Vaticano, alta finanza, politica italiana, ecc…). In un certo qual modo , quando cominciò a cadere in disgrazia, il suo ruolo venne rilevato dall’ineffabile Licio Gelli…

L’affaire Sindona, al crocevia di svariati “misteri italoamericani” conferma la levatura criminale dei Gambino – all’epoca la “famiglia” di Cosa Nostra più legata alle cosche palermitane dei Bontate, degli Inzerillo e degli Spatola con cui condivideva la posizione “dominante” sul mercato internazionale degli stupefacenti -.

Nonostante queste storie che apparentemente sembrano appartenere all’ambito della storia “archeologica” del crimine organizzato, mi sorge spontanea una semplice domanda. E’ mai possibile che a distanza di circa sessant’anni da quando i Gambino consolidarono la loro posizione dominante all’interno di Cosa Nostra, si parli ancora di loro ? Eppure siamo stati abituati ad avere un’alta considerazione dell’attività investigativa dell’FBI  e dei suoi successi nella lotta al crimine organizzato… E’ vero: oggi la posizione della mafia siculoamericana non è più quella di un tempo ed è costretta ad affrontare la concorrenza delle nuove mafie del mondo “globalizzato” come quella russa e quella cinese, tuttavia il dato è piuttosto preoccupante…

Se torniamo indietro di circa trent’anni, all’epoca dell’inchiesta internazionale denominata Pizza Connection – ad indicare l’alleanza fra “famiglie” italoamericane e cosche siciliane nella gestione dei traffici di eroina – ben poco è mutato a parte la sostituzione dei siciliani, su cui si sono concentrati i maggiori sforzi investigativi e repressivi – con le ndrine calabresi. Anzi, probabilmente, oggi la ndrangheta è molto più forte che non Cosa Nostra siciliana negli anni Settanta e Ottanta ed è in grado di trattare enormi partite di cocaina direttamente con i cartelli dei narcotrafficanti colombiani e i messicani. Secondo il parere di molti esperti in materia oggi  la ndrangheta è la più ricca, forte e potente organizzazione criminale, implicata in un’incalcolabile serie di attività illecite e in grado di esercitare sul controllo sul territorio analogo a quello che le cosche avevano imposto alla Sicilia fino a una trentina di anni fa. In definitiva siamo in presenza di un gioco a “somma zero”, quanto si sottrae alla mafia viene immediatamente riconquistato, perchè i grandi traffici e i racket rimangono intatti e, al limite, vengono rilevati… Le “vecchie” associazioni  mantengono il controllo su significative nicchie dei mercati “illeciti”, le “nuove” si impongono anche con maggiore spietatezza… Cosa non ha funzionato ?

Nel corso dell’inchiesta sulla Pizza Connection e prima del “pentimento” di Tommaso Buscetta, il giudice Falcone ebbe modo di interrogare Michele Sindona per cominciare a fare un pò di chiarezza sui canali di riciclaggio di cui si serviva la mafia. Quasi sprezzantemente il finanziere avvertì il suo interlocutore che le conoscenze degli inquirenti in merito erano quasi pari a zero, che si era ben lontani dallo scoperchiare i meccanismi che presiedono il reinvestimento dei capitali “sporchi” ed illeciti. Conoscendo il mondo “sommerso” che girava dentro e fuori Cosa Nostra, Sindona manifestava una robusta dose di cinismo, ma pienamente giustificata da quanto poi, con il trascorrere degli anni, è emerso. O è rimasto nell’ombra… Perchè Cosa Nostra, le mafie autoctone o meno e altre organizzazioni criminali continuano a prosperare e a generare colossali rimesse di danaro, nonostante sui media venga ripetuta la triste litania sull’impegno costante e saldo contro il crimine e il narcotraffico ? Queste difficoltà derivano solo dalle grandi capacità di esercitare forme di violenza e di intimidazione – al limite di corruzione ? O c’è dell’altro ?

Forse la risposta è elementare e, nondimeno, terribile… Le mafie sopravvivono, prosperano e si espandono, perchè è il contesto generale ad essere sostanzialmente “mafioso” e “criminale”. Innanzitutto chi non può o non vuole sporcarsi direttamente le mani per la posizione che occupa -vuoi nelle istituzioni o nella pubblica amministrazione, vuoi nell’alta finanza e nella grande impresa – si affida ai “professionisti” o ai mercenari più adatti ad assolvere a determinati compiti. In tutta evidenza la “manodopera” migliore e più qualificata viene messa a disposizione dalle grandi organizzazioni criminali che, naturalmente, vengono “adeguatamente” remunerate… Ma vorrei, ora, in linea generale, esporre qualche esempio per rendere l’idea di quello che si sta parlando…

Al famoso imperatore romano Vespasiano è stata attribuita la seguente frase: “Pecunia non olet !”  Evidentemente gli antichi la sapevano lunga…

Naturalmente l’affare criminale del secolo – la produzione, il traffico e il commercio degli stupefacenti – viene in genere associato alla posizione “oligopolista” assunta a lungo dalla mafia italoamericana e da quella sicula, ma basta ritagliarsi uno schema su queste complesse attività per comprendere che gli enormi profitti devono essere necessariamente spartiti fra una pluralità di soggetti. Si prenda in considerazione la filiera, la catena dei passaggi fra i produttori e i consumatori… Si parte dalla materia prima – ad esempio il papavero da oppio o la pianta da coca – coltivata e raccolta per essere poi sintetizzata e raffinata in appositi laboratori. Quindi si inseriscono gli aspetti prima logistici – la scelta delle modalità di trasporto del prodotto finito e del controllo dei centri di smistamento – e, poi, commerciali  – con l’intervento dei mediatori e dei procacciatori d’affari -. Per finire la droga viene spacciata e “venduta al dettaglio” da appositi soggetti in genere appartenenti alla delinquenza da strada medio . bassa. Insomma ci si imbatte in una grande industria e, insieme, in un mercato illecito e “collaterale” che alimenta i più svariati soggetti oltre ai tradizionali mafiosi…

Contadini, chimici, medici, trafficanti e contrabbandieri, faccendieri e mediatori d’affari, gang metropolitane, ecc…

Ovviamente la grande capacità delle mafie di controllare la gran parte dei passaggi nei processi produttivi e commerciali si traduce in enormi guadagni, ma consistenti fette dei ricavi vanno ad altri imprescindibili soggetti. Sicuramente ci sono i mediatori, i businessmen che hanno diritto alla loro percentuale, ma soprattutto è necessario riciclare e investire i proventi dei traffici attraverso attività finanziarie ed imprenditoriali. Non può più essere ignorata la grave responsabilità di istituti di intermediazione finanziaria che congegnano sistemi di “scatole cinesi” facendo ricorso ai servizi dei paradisi fiscali, alla costituzione di società offshore, di holding, ecc…

Un sistematica opera di occultamento di redditi illecitamente ottenuti su cui sin troppi chiudono gli occhi… Le lezioni di Monsignor Marcinkus, Michele Sindona e Roberto Calvi non sono state ignorate… Naturalmente, con le enormi possibilità di reimpiegare i capitali “ripuliti” nei circuiti legali dell’economia, le mafie sono poi in grado di investire colossali cifre in attività lecite, soprattutto per quel che riguarda le imprese edilizie e le grandi opere pubbliche. Altri, inquietanti soci affiancano mafiosi e grandi trafficanti: ad esempio è ormai assodato che i servizi segreti partecipano a queste attività anche perchè hanno bisogno di finanziare le operazioni “sporche” e clandestine che non potranno essere mai approvate dai Parlamenti. E, a completare il quadro i traffici di droga si intrecciano con quelli delle armi, perchè i “signori della guerra”, i gruppu paramilitari e i movimenti di guerriglia urbana o meno si dedicano spesso alla produzione della “materia prima” da vendere per potere ottenere la liquidità necessaria per acquistare l’armamento più moderno.  La storia e le conseguenti analisi sui traffici internazionali di droga sottolineano che tali attività si sviluppano nei contesti di guerra. Si pensi solo al Vietnam e all’Indocina, all’Afghanistan, al Libano della guerra civile (1975 – 1990) o alla Colombia … Alla fine di questi processi che generano incalcolabili liquidità si colloca la domanda: giovani che acquistano armi nei paesi in guerra e giovani che comprano stupefacenti nei paesi dell’Occidente ricco e avanzato, anche se poi questi traffici sono in continua espansione e assorbono diverse fasce di consumatori distinte per censo, età, istruzione, ecc…

La possibilità di incidere nei processi che presiedono i grandi traffici internazionali – droga, armi, ma anche rifiuti tossici e nocivi, tratta di esseri umani, minerali preziosi, organi umani, ecc… – rande a certi livelli inattaccabili le mafie, potendo inietare con robuste dosi di capitali il sistema finanziario ed economico “legale”…

Comunque mafie e organizzazioni criminali che vogliano imporre un controllo territoriale per poter gestire i propri racket (estorsione, usura, spaccio, ecc…) devono cautelarsi corrompendo le autorità preposte a vigilare sulla sicurezza urbana e, quindi, inserendo nel proprio libro paga magistrati, poliziotti, ecc… Il controllo degli appalti pubblici e delle concessioni edilizie richiede invece di piazzare propri uomini nella pubblica amministrazione oppure di “ungere” opportunamente gli amministratori competenti. A livello più “alto”, squisitamente politico, il mafioso cerca di garantirsi il controllo di pacchetti di voti da far valere alle elezioni e, così, muovere i fili dei candidati prescelti… La criminalità organizzata non discrimina fra le varie fazioni politiche, fra “destra”, “sinistra” e “centro”, ma, piuttosto, sceglie le singole personalità in grado di tutelare i suoi interessi. Non può quindi sorprendere che, in un paese come il nostro, l’onnipresenza e il controllo territoriale esercitato dalle varie mafie “regionali” su traduce anche in una diffusione incontrollata del clientelismo, della corruzione, di regalie e generose prebende destinate agli “amici degli amici”.

Tuttavia, non solo le mafie lucrano inserendosi parassittariamente nei tessuti sociali, economici e politici, ma offrono particolari servizi ai soggetti interessati. Ormai sappiamo che gran parte delle attività dei cosiddetti servizi segreti consistono nello sviluppare forme di “guerra non ortodossa” o a “bassa intensità” che si traducono in progetti di assassinio e di terrorismo. Ovviamente è accaduto che elementi da addestrare a queste attività paramilitari venissero reclutate fra mafiosi e delinquenti naturalmente portati a commettere omicidi, attentati e altri atti provocatori. Ma la mafia, grazie al radicamento territoriale, può riuscire anche con una certa facilità a imporre l’ordine eliminando la piccola criminalità e delinquenza da strada, in modo da soddisfare le aspettative delle forze dell’ordine. Se, invece, in Italia è anche accaduto che ci si rivolgesse alla mafia per compiere omicidi politici, nell’ambito delle imprese e delle attività produttive è accaduto che mafiosi, gangster e criminali venissero utilizzati per risolvere i conflitti sindacali ricorrendo alla violenza del bastone. Negli States è successo che, sia sul versante delle imprese che su quello sindacale, si facesse ricorso a noti “galantuomini” facili all’uso delle pistole, dei coltelli e dei bastoni per risolvere a mani nude talune vertenze. Nelle campagne il discorso cambia poco…

Si pensi alla Sicilia dell’Ottocento e del Novecento quando i feudi e le terre incolte dei baroni erano presidiate da vere e proprie squadre armate e feroci – gabelloti e campieri – incaricate di mettere in riga braccianti e mezzadri. Da quelle squadre sono sorte alcune fra le più sanguinarie cosche siciliane come quella dei Corleonesi di Leggio, Riina e Provenzano. Per tacere poi dei servizi “particolari” che già abbiamo menzionato, come la raccolta e l’occultamento dei rifiuti nocivi prodotti da un gran numero di aziende. Oggi la Campania è il caso che occupa le cronache dei giornali e dei telegiornali, ma chi si rammenta degli scarichi di schifezze varie scaricati in paesi del Terzo Mondo come Somalia ed Haiti?

Inoltre, le mafie e la criminalità organizzata fanno “impresa” a sè, conducendo le proprie attività con criteri manageriali spesso con oculatezza. Un settore sempre molto tentuto in gran conto da associazioni criminali varie è quello del divertimento, del vizio, del gioco, intesi nel senso più esteso possibile… In qualche modo si potrebbe ricondurre tali settori all’industria del “piacere”…

Stupefacenti, gioco d’azzardo, scommesse, case da gioco, slot, prostituzione, ecc… Ma non mancano gli ambiti legali: giornali, editoria, televisione, radio, discografia e musica, cinema, sport e calcio, ecc… Per fare qualche esempio, è nota la presenza del gangsterismo italo ed ebraico americano nell’industria cinematografica hollywoodiana per tacere poi sulla dubbia provenienza di capitali di origine mafiosa investiti nell’impero del tycoon Berlusconi (canali televisivi privati, squadra di calcio blasonata, casa di distribuzione e produzione cinematografica, la più grande casa editrice italiana, giornali, ecc…).

Una curiosità val la pena, invece, di essere menzionata: il famoso schema “Ponzi” così abusato nelle speculazioni e nelle frodi borsistiche – vedi Wall Street – sarebbe stato congegnato all’interno della criminalità mafiosa di origine italiana…
Infine un piccolo inciso, le varie mafie hanno sempre dimostrato una grande capacità di adattamento e, in tempi odierni, quanto è “tollerata” la loro presenza nei circuiti di Internet ove di moltiplicano le possibilità di compiere truffe, frodi e furti schiacciando semplicemente pochi pulsanti ? E’ ovvio che la criminalità organizzata assuma anche vesti “virtuali” e “ipertecnologiche” connesse ai nuovi sviluppi nei campi della comunicazione e dell’informatica.

Questi semplici dati di fatto rendono una precisa idea sulla complessità del fenomeno della criminalità organizzata e di quanto le ruoti intorno. Le soluzioni semplicistiche e la facile retorica non fanno che gettare fumo negli occhi, mentre servirebbe uno sguardo più lucido e ampio. Per avere una qualche nozione sulla reale gravità del fenomeno basterebbe riesumare la storia delle realazioni italoamericane e del paradigma criminale “siculoamericano” dal Dopoguerra fino all’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica, almeno nei suoi aspetti generali e conosciuti. Ma questa è un’altra storia che racconteremo…

Per semplificare una banale e veloce considerazione sulla base delle informazioni a nostra disposizione: le mafie sono funzionali al “sistema” perchè i suoi servizi portano vantaggi e salvaguardano interessi, ma sono anche esse stesse “imprese criminali” che offrono beni e servizi particolari a una clientela sempre più vasta. In definitiva nel mare magnum del grande e libero mercato globalizzato e deregolamentato la criminalità organizzata sa nuotare come pochi…

Un grazie infinito al lettore che fin questi territori si è inoltrato…

Alla prossima…

HS

Fonte: www.comedonchisciotte.org

15.02.2014

 

 

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