MISERICORDIA E IPOCRISIA

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DI RICCARDO RICCERI

Nowherevilleblog

Francesco

“Ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la Misericordia, sarà un anno santo della Misericordia. Vogliamo vivere alla luce della parola del Signore, ‘Siate misericordiosi come il padre!’ (Luca 6,36 ndr.) […] Quest’anno santo inizierà nella prossima solennità dell’Immacolata Concezione, e si concluderà il 20 Novembre del 2016, domenica di nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, e volto vivo della Misericordia del Padre”.

Con queste parole papa Francesco I annuncia il Giubileo Straordinario che, con 10 anni esatti di anticipo, fornirà alle numerose frotte di pellegrini un’occasione in più di indulgenza.
Aldilà delle facili critiche che potremmo muovere a Bergoglio (o chi per lui) su questa incauta scelta, visti i recenti sviluppi geopolitici (Bomba o non bomba, arriveremo a Roma), e aldilà degli entusiastici e nauseanti cori dei politici (Renzi in testa, sovreccitato per il binomio Expo/Giubileo che coronerà il suo 2015) cerchiamo di riflettere sul cuore del messaggio lanciato dal papa in questo ben preciso momento storico, partendo dalla parola chiave: misericordia.
La misericordia – che non è quell’impero economico che specula sui diseredati – rappresenta una delle tre virtù di Maria (insieme a giustizia e purezza) ed è la caratteristica più nobile dell’amore divino. La Misericordia non è soltanto amore, ma l’amore più incommensurabile e incondizionato che si possa concepire, poiché è rivolto agli ultimi, agli emarginati, ai peccatori [1]. È nella misericordia che l’uomo esperisce la massima forma d’amore, superando la prova più ardua: amare il prossimo anche se peccatore, anche se nostro nemico, perdonandolo per cinquecentotrentanove volte (l’iperbole del “settanta volte sette” [2]).
Ecco dunque come il messaggio di Bergoglio entra con facilità nel dibattito aperto sull’intolleranza di altri popoli e altre religioni. La cristianità tutta sembra unirsi pacificamente attorno al messaggio di perdono che l’Occidente, dall’alto della sua statura morale, impone al resto del mondo. La retorica del perdono mai come oggi affianca e supporta quella liberal-democratica. Entrambe si sposano insieme per fronteggiare, pacificamente s’intende, la brutale avanzata degli intolleranti.
Di seguito cercherò di individuare le incongruenze che rendono questa retorica una delle più grandi ipocrisie della storia occidentale:

incongruenza biologica: come ampiamente dimostrato dagli etologi, la misericordia è un sentimento biologico nato innumerevoli secoli prima dell’origine di qualsiasi forma religiosa. Chiare tendenze alla compassione esistono non soltanto tra le scimmie antropomorfe – cosa che ci stupisce poco del resto, vista la quasi totale condivisione del patrimonio genetico con quello umano – ma anche in animali meno complessi ed evoluti. Questo sentimento ha convissuto – e convive – con analoghe e altrettanto importanti tendenze al dominio. È dalla sete del dominio che nascono la gran parte delle innovazioni, è nello sfruttamento e nella distruzione della natura che l’uomo è riuscito a produrre manufatti, così come ancora oggi accade, e ciò vale per noi e per qualsiasi altra specie presente sulla terra. È innegabile del resto che i sentimenti di compassione e pietà hanno svolto un ruolo altrettanto importante nell’evoluzione della nostra specie, garantendo comportamenti finalizzati alla protezione della vita in ogni sua forma. La retorica cristiana tende a demonizzare le tendenze al dominio per idealizzare quelle connesse alla compassione, dimenticando di dire non solo che entrambe esistono, ma che servono parimenti alla nostra specie per sopravvivere.
Quando Bergoglio invita alla misericordia, contribuisce a perpetrare un errore concettuale (e colpevole perché consapevole): è impossibile provare misericordia e perdono verso tutti, è impossibile prostrarsi verso il prossimo quando il prossimo è un uomo (o uno Stato) che per ragioni di cose deve innanzitutto sottostare al nostro volere. È incompatibile per la Cristianità benedire un soldato che parte in guerra (cosa che accade ancora oggi) e invitare al contempo alla misericordia. È incompatibile del resto anche il camminare su un prato o arare un terreno, perché equivale a distruggere centinaia di esseri viventi solo per la realizzazione dei nostri scopi. Ma la natura è il regno dell’Uomo e sta a lui decretare di chi o di cosa avere pietà: di un formicaio tranciato dalla vanga no, non ha senso avere pietà.
Dire quindi che senza la religione cristiana non sarebbe esistita misericordia è una bugia. Dire che occorre avere compassione di tutto è anch’essa una bugia, perché è impossibile, oltre che inutile e incompatibile col nostro essere tendenzialmente predatorio.

incongruenza teologica: come far coincidere l’aspetto giuridico della religione con la misericordia? Come si può credere contemporaneamente all’ordine giuridico teologico e al condono/perdono del peccato/peccatore? Malgrado il gusto del credo quia absurdum che ci spingerebbe ad evidenziare proprio nel paradosso la risposta alla domanda, in realtà bisognerebbe capire non come si possa provare misericordia verso il peccatore (vedi sopra) ma come si possano ritenere credibili delle regole che verrebbero puntualmente vanificate dalla clemenza divina. La risposta fornita solitamente dalla Chiesa è l’ammonimento a non confondere il peccato con il peccatore. Occorre condannare il peccato ma perdonare il peccatore. Ma mi chiedo: come è possibile punire un concetto astratto come il peccato e soprattutto come è possibile separare l’azione dall’agente che la compie? L’unica risposta plausibile – pur se ricca di ulteriori criticità – sarebbe che Dio ci da le regole col solo scopo di infrangerle.
Il dissidio generato da questa contraddizione riecheggia nelle parole di Pietro il Venerabile [3]: “Preferisco andare all’inferno per aver esercitato troppa misericordia piuttosto che andarci per intransigenza”. Parole che fanno al caso della nuova posizione di apertura e tolleranza della Chiesa, apertura che mi appare unicamente in ciò che essa è: un compromesso. Ma il dogma, per definizione, non può flettersi, né fare sconti.
La religione ebraica nasce nell’istante in cui Jahvé stipula il proprio patto con Israele, dotandolo delle sue leggi. Il riconoscimento religioso segue un atto giuridico formale. Ancora di più, l’intera storia della perdizione umana è storia di una trasgressione alla legge divina. Fin dalla Genesi Dio è descritto come Dio-legislatore. Questa funzione, lungi dall’essere una peculiarità del solo mondo semitico, rappresenta una costante in gran parte delle religioni del globo, i cui precetti teologici hanno svolto (e in taluni casi svolgono ancora) una funzione legislativa [4].
Il messaggio misericordioso di Cristo si inserisce prepotentemente nel contesto di questa rigida impostazione sociale, rappresentando un elemento di sovvertimento. La sua predicazione, infatti, è incompatibile sia con i ferrei dogmi religiosi (incompatibilità intra-ecclesiale), sia con gli ordinamenti giuridici civili (incompatibilità extra-ecclesiale).
Se portassimo all’estremo il messaggio della misericordia, se davvero ogni singolo cristiano (dentro e fuori dall’Ecclesia) applicasse i precetti della misericordia, non potrebbe rispettare l’ordine giuridico teologico. La cristianità è dunque scissa fra la legge talmudica da un lato e la “nuova indulgenza” di Cristo dall’altro (come cantava De André) [5]. Il percorso di questo conflitto insanabile, che meriterebbe una trattazione a parte, non raggiunge mai il punto di deflagrazione grazie allo svilimento progressivo che la Chiesa attua verso i propri dogmi.

incongruenza politica: Per quanto riguarda il conflitto “extra-ecclesiale” tra misericordia e legge civile, questo è messo in evidenza e solo apparentemente risolto dalla massima “Date a Cesare quel che è di Cesare”. Questa infatti tenta di separare gli ambiti giurisdizionali ma si limita a decretarne l’incompatibilità. Esistono delle leggi terrene a cui l’uomo deve sottostare, e solo un compromesso da parte dei credenti, con il conseguente ridimensionamento del messaggio evangelico, può rendere quest’ultimo compatibile con l’ordine giuridico vigente. Questo è il motivo della persecuzione dei primi cristiani e del lunghissimo scontro fra Papato e Impero.
Inoltre, nella situazione di grave crisi sociale in cui versa l’Italia, paese da sempre votato all’indulgenza e alla ritrattazione, il messaggio di Bergoglio rischia di compromettere l’autorevolezza, già fragile, di istituzioni e magistratura. Reazioni paradossali contro i recenti inasprimenti della giustizia – riguardo al tema spinoso della prescrizione – andrebbero inquadrati a mio avviso proprio nel contesto di una più vasta crisi di credibilità delle istituzioni civili.
Per i motivi brevemente descritti, l’invito di Francesco I alla misericordia rappresenta – e non potrebbe essere altrimenti – un invito monco, ipocrita. Non si tratta di un suo limite o di una sua colpa; è la natura stessa dell’uomo prima e del mondo cristiano poi (così come si è configurato a partire da San Paolo) a non permettere l’adesione completa alla misericordia. Per quali ragioni, dunque, si avverte la necessità di indire un Giubileo Straordinario sulla misericordia, se non per chiare strategie di marketing?

01.05.2015

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NOTE

[1] “La misericordia è la dimensione indispensabile dell’amore, è come il suo secondo nome e, al tempo stesso, è il modo specifico della sua rivelazione ed attuazione nei confronti della realtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l’uomo”, Giovanni Paolo II, Enciclica Dives in Misericordia (V, 7).
[2] “Allora Pietro si avvicinò a Gesù e gli domandò: ‘Signore, quante volte dovrò perdonare a un mio fratello che mi fa del male? Fino a sette volte?’ Rispose Gesù: ‘No, non dico fino a sette volte, ma fino a settanta volta sette!’” (Mt,18:21-22).
[3] Pierre de Montboissier (Alvernia, 1092 – Cluny, 1156), fu abate dell’abbazia benedettina di Cluny e venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
[4] Uno degli esempi più emblematici lo ritroviamo nella Roma antica, dove il pontifex maximus per moltissimi anni ha detenuto il totale controllo del diritto romano, per coincidere in seguito col ruolo stesso dell’Imperatore a partire da Giulio Cesare.
[5] La contrapposizione fra i dogmi veterotestamentari e quelli neotestamentari, pur se valida, è basata su una semplificazione sommaria che trascura elementi di indulgenza già presenti nella prima. Pensiamo a messaggi come quello che si legge in Ezechiele (18,23): “Io provo forse piacere se l’empio muore?», dice il Signore Dio. «Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive?”.

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