L'ULTIMO RITORNO DEI BARBARI

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DI FETHI GHARBI

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Ebbene sì, proclama Hitler, siamo barbari e vogliamo essere barbari. È un titolo onorifico. Siamo quelli che ringiovaniranno il mondo. Il mondo attuale si avvicina alla fine. Nostro compito è saccheggiarlo…

citato da Jean –Claude Guillebaud, La Refondation du monde,, 1999, ed. Seuil.

Invasioni barbariche è da qualche tempo un’espressione rifiutata dagli storici tedeschi e germanofoni. Gli ultimi preferiscono il termine Völkerwanderung, meno negativo, che significa marcia dei popoli o migrazione dei popoli. La maggior parte degli storici anglosassoni parla oggi di Migration Period per evocare la lunga e dolorosa agonia dell’impero romano. È questione di punti di vista, mi direte.

Goti, Vandali, Svevi, Alani, Unni e Burgondi costituirono le prime ondate di invasori. Ma furono i Franchi, gli Alemanni, i Bavaresi, i Longobardi e gli Avari ad annientare l’impero, frantumandolo e soprattutto sferrando un severo colpo alla cultura latina e alla civiltà greco-romana. E sotto gli incessanti colpi inferti dalle tribù germaniche avvenne lo sfaldamento di uno stato forte e centralizzato. L’apparizione di forme quasi primitive di potere finì per sottomettere l’Europa durante secoli al regno caotico dei feudi e del vassallaggio.

Nel XIII secolo, le orde mongoliche irruppero in tutta l’Asia e invasero poi l’Europa dell’Est e l’Europa centrale, finendo per raggiungere i Balcani e l’Austria. Dalla Cina fino all’Ungheria, lasciarono sul loro passaggio soltanto rovine e desolazione. Nel 1258, Hulagu Khan, nipote di Gengis Khan, decise di attaccare l’impero abbaside allora al tramonto. Baghdad restava comunque la capitale più fiorente dell’epoca e contava circa due milioni di abitanti. L’assedio della città durò tre settimane e al loro termine il califfo abbaside al-Musta’sim firmò la resa per risparmiare la popolazione. Ma, senza tener fede alla parola data, Hulagu invase la città ed effettuò il massacro sistematico degli abitanti. Secondo certi storici, 800.000 persone furono passate a fil di spada. Si parlò di migliaia di studiosi sgozzati. Bayt al-Hikma, la biblioteca più grande del mondo, e una quantità impressionante di scuole, università, moschee, ospedali scomparvero divorati dalle fiamme. Si racconta che le acque del Tigri diventarono nere per l’inchiostro delle migliaia di opere gettate nel fiume dai barbari venuti dalla steppa. La distruzione di Baghdad fu il colpo mortale per la dinastia Abbaside e accelerò la fine dell’impero arabo-musulmano già vacillante. Due tra i più grandi imperi che l’umanità abbia conosciuto, minati dai loro contrasti interni, caddero e si disgregarono sotto i colpi ripetuti e incisivi di tribù piuttosto misere.
Il movimento ciclico di invasioni barbariche si arrestò durante il Rinascimento. È almeno ciò che compare negli scritti degli storiografi europei. Ma si può dubitare anche solo per un istante di ciò che pensavano gli Aztechi e i Maya dei conquistadores, gli Africani della tratta dei neri o i popoli colonizzati calpestati dalla maréchaussée [corpo di polizia a cavallo con funzioni civili e militari] francese e inglese? …

La crudele e devastatrice barbarie in realtà non è mai scomparsa, salvo negli eufemismi ipocriti e nelle antifrasi ingannevoli degli invasori. In realtà, la barbarie è un fenomeno regressivo e ridondante che ha sempre caratterizzato il divenire dell’umanità. Ogni volta che una civiltà si esaurisce a causa delle sue contraddizioni interne e percepisce l’inanità del suo progetto presta il fianco agli invasori: come se li invitasse a darle il colpo di grazia. Lo storico delle civiltà Arnold Joseph Toynbee afferma che: le civiltà muoiono per suicidio e non per assassinio.

Durante il Rinascimento, la civiltà occidentale, prodotto della rifondazione dell’antico umanesimo, avrebbe dovuto rappresentare l’elevazione dell’uomo all’altezza degli antichi dei. Il cogito di Cartesio consacrò nel XVII secolo la trascendenza dello spirito umano e annunciò implicitamente l’inizio della morte di Dio. La ragione ragionante si impose allora come forza trasformatrice dell’umanità e della natura. Eppure, né il cristiano idealismo umanista di Erasmo, infranto dalla violenza delle guerre di religione, né le illusioni dell’umanesimo dei Lumi poterono resistere agli imprevisti della Storia. L’umanesimo riuscì a minare il giogo della Chiesa, ma spinse alla tracotanza l’Ego dell’homo europeanus. Egli, sbarazzatosi del Super-ego, si lasciò prendere da una frenesia pulsionale che avrebbe impresso una svolta concreta a tutta la storia moderna. Pertanto, il Io penso cartesiano risultò un’esclusiva europea, mentre il resto dell’umanità non costituiva che un frammento vegetativo di una natura buona solo ad essere sfruttata fino al midollo. Questa divisione del mondo in due umanità distinte non cesserà di strutturare la percezione che del mondo avevano l’Europa e le sue escrescenze, in spregio dei più elementari principi umanistici. L’idea di un’inferiorità naturale, essenziale, dell’uomo di colore era tanto sedimentata che lo scandaloso Codice nero, o editto sulla polizia degli schiavi, redato da Colbert e promulgato da Luigi XIV nel 1685 (1), lasciò indifferenti tutti quei cantori dell’uguaglianza naturale che erano i filosofi dei Lumi(2). Il principio dell’abolizione della schiavitù, enunciato nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), restò lettera morta. Napoleone Bonaparte non esitò a rafforzare la pratica dello schiavismo e a reprimere nel sangue l’insurrezione degli schiavi di Santo Domingo.

Durante la febbrile conquista del nuovo mondo, i paesi europei si lanciarono con accanimento allo sfruttamento dei territori conquistati. L’esigenza di una mano d’opera abbondante e a buon mercato condusse verso la soluzione più semplice e più redditizia: la tratta dei neri. Quindi, l’istituzione di un sistema economico lucrativo fu alla base della metamorfosi di una categoria di uomini in negri. Questa disumanizzazione di una parte dell’umanità sarà avallata a posteriori dalla Chiesa apostolica romana, da quella anglicana e poi dall’insieme dei movimenti protestanti. Assimilati ai discendenti di Cam, i neri ereditarono la maledizione che li perseguiva. Secondo il racconto biblico, Cam padre di Canaan, figlio di Noè fu condannato ad essere per i fratelli l’ultimo degli schiavi per aver visto il proprio padre nudo. La maledizione di Cam divenne l’argomento fondamentale di tutti gli schiavisti europei, che non esitarono a sottostare alla volontà di Dio.

La motivazione religiosa si esaurì soltanto nel XIX secolo, cedendo il posto a giustificazioni di tipo razionalista. Una pleiade di filosofi e di intellettuali si mise all’opera per dimostrare la superiorità biologica dell’uomo bianco. E la disumanizzazione si estese all’insieme delle razze non bianche. L’ondata abolizionista della seconda metà del XIX secolo non si spiega con una qualsiasi elevazione morale ma con l’apparizione di una nuova forma, più elaborata e sistematica, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo: il colonialismo. In effetti, i due terzi del pianeta furono sottomessi da un giorno all’altro all’imperialismo europeo, e centinaia di milioni di esseri umani si ritrovarono asserviti e disumanizzati in nome di una pretesa gerarchia raziale. Il famoso Codice nero, diventato obsoleto, fu prontamente sostituito da un testo altrettanto degradante: il codice dell’indigenato (3). La breccia aperta dall’ancien regime si spalancò con questo nuovo modello di sfacciato sfruttamento, e divise l’umanità in due entità inconciliabili. Questo razzismo coloniale, che in uno slancio falsamente universalista vedeva nel colonialismo una pretesa impresa civilizzatrice delle razze inferiori, si portò appresso l’adesione di tutte le correnti politiche dell’epoca. Qualcuno, come Friedrich Engels, trovava che … la conquista dell’Algeria era un fatto importante e felice per il progresso della civiltà… (4). Tuttavia il passo verso una forma di razzismo ancora più radicale – il razzismo differenzialista, che considerava le razze non bianche biologicamente impure e portatrici di tare trasmissibili – sarebbe stato fin troppo breve. Diversi autori del XIX secolo, quali Joseph Arthur Gobineau (1816-1882), George Vacher de Lapouge (1854-1936) e Karl Von Chamberlain (1855-1927), giudicavano ogni forma di mescolanza delle razze un attentato alla purezza di quelle superiori. Nel suo Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, Gobineau sosteneva che l’ibridazione conduceva ineluttabilmente alla degenerazione della razza ariana, all’indebolimento delle sue qualità e infine alla sua dissoluzione. Il darwinismo sociale rafforzò questa corrente di pensiero. Secondo il filosofo e sociologo Herbert Spencer (1820-1903), il meccanismo della selezione naturale descritto da Darwin si poteva applicare assolutamente alla società. La lotta per la sopravvivenza tra gli esseri umani era pertanto lo stato naturale delle relazioni sociali. I conflitti diventavano così la fonte basilare del progresso e del miglioramento della specie. La concorrenza tra gli esseri o gruppi umani non doveva assolutamente essere ostacolata da una qualsiasi misura protettiva o assistenziale. Soltanto la lotta accanita per l’esistenza poteva favorire la sopravvivenza dei più idonei e l’eliminazione dei meno idonei. Il fisiologo inglese Francis Galton (1822-1911) sarebbe andato ancora più lontano. Secondo lui, l’Europeo moderno era l’essere umano con le migliori capacità genetiche. Per preservarle ed evitare che il patrimonio genetico umano deperisse, i portatori di geni cattivi si dovevano sterilizzare o impedire che si riproducessero.
Non fu necessario altro perché una buona parte del mondo occidentale si trovasse scossa da una folle ondata eugenetica. Questo movimento conobbe una fioritura particolarmente rapida negli Stati Uniti. Nei primi anni del XX secolo, in nome di varie leggi che pretestavano tra l’altro il declino dell’intelligenza americana, decine di migliaia di cittadini americani asiatici, neri, europei del Sud e dell’Est furono sterilizzati contro la propria volontà. Il fenomeno si estese successivamente al Canada, ai paesi scandinavi, alla Gran Bretagna, alla Svizzera e alla Germania.

Possiamo dunque prestar fede a tutte quelle anime sensibili che inorridiscono oggi per i crimini commessi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale? Da quasi settanta anni, l’immensa maggioranza dell’intellighenzia occidentale e i suoi banditori politici non si stancano di recitare il ruolo di fanciulle impaurite di fronte agli orrori commessi da Hitler, che non fu un’eccezione patologica e neppure una parentesi macabra che avrebbe solo per un attimo oscurato il corso normale della Storia ma la quintessenza, il coronamento, il prodotto finale di questo mito fondatore della modernità occidentale: la barbarie razzista. I crimini nazisti, bisogna ricordarlo a tutti coloro che soffrono di amnesia lacunare, non hanno nulla da invidiare al genocidio degli Amerindi e degli aborigeni né alla impietosa tratta dei neri da parte degli schiavisti europei né ai massacri sistematici degli indigeni che si rivoltarono nelle colonie. Fervente lettore di Gobineau, Spencer, Chamberlain o Galton, Hitler era innanzitutto discepolo di autori razzisti francesi e britannici. Ma al contrario del razzismo conquistatore degli adepti universalisti del progresso, il razzismo nazista deriva dal movimento völkisch (5), apparso in Germania alla fine del XIX secolo; un movimento che il sentimento di frustrazione legato alla sconfitta del 1918 e la crisi del 1929 avevano rafforzato. Questa corrente razzista sostanzialmente antiebraica e antislava, rinverdendo un mitico passato germanico, sognava un’espansione continentale. L’unica in grado di offrire uno spazio vitale al genio del volk (6) germanico. Questo spazio vitale non tollerava alcuna promiscuità e doveva essere ripulito degli altri volk che ne minacciavano la vitalità. Tuttavia, malgrado la sua particolarità e la visione romantica reazionaria, il razzismo tedesco si inserì bene nella logica razzista europea e ne costituì l’ultima tappa: quella dell’epurazione pura e semplice dell’alterità impura.

Paradossalmente, questo violento ripiegamento sulla propria identità fiorì e si concretizzò proprio presso coloro contro cui i nazisti avevano progettato lo sterminio. Hitler starà sorridendo soddisfatto dentro la sua tomba. Lui che, con la creazione di Israele, ha ottenuto quello che certamente aveva miserevolmente fallito nel suo paese: un’entità rivolta verso un passato mitico, razzista, segregazionista, e che da sessanta anni usa ogni mezzo sordido per depurare il suo spazio vitale (6). Questo tribalismo nazista e sionista, segno precursore del fallimento dell’universalismo liberale, annuncia già la frattura identitaria che agita l’umanità in questo inizio del XXI secolo.

Lo sterminio di milioni di Zingari ed Ebrei e l’annientamento mostruoso degli abitanti di Hiroshima e Nagasaki sono orrori che non hanno potuto scalfire per niente questo abominevole mito. La gerarchizzazione raziale, che costituisce la base economica della modernità, continua malgrado tutto a tormentare l’imaginario occidentale. In effetti, l’ondata indipendentista degli anni sessanta e l’avvento del neo colonialismo favorirono una nuova forma di razzismo a tendenza culturalista. Ora non sono più le razze ma le culture a formare blocchi omogenei con differenze incommensurabili e irriconciliabili. L’alterità si trova quindi dotata di un carattere culturale essenzializzato e irrimediabilmente rigido. La crisi economica subentrata negli anni settanta del secolo scorso peggiorò questo razzismo senza razza che ricorda per molti aspetti l’antisemitismo del passato, ma in una forma molto più diffusa. Oggigiorno, invece della cultura essenzializzata dell’Ebreo, è la cultura dell’Arabo-musulmano o dell’Africano ad essere stigmatizzata, disprezzata e persino demonizzata. Vediamo svilupparsi in tutta Europa un discorso di esclusione contro gli immigrati provenienti dalle ex colonie, che li fa responsabili di tutti i mali di una società in crisi. Il paradosso è che non si esita ad accusare di comunitarismo certi gruppi etnici, intanto che si impiega ogni mezzo per impedirne l’integrazione. Le rivolte dell’ottobre 2005 illustrano bene l’impasse in cui si trova invischiato il sistema politico francese, che non smette di prendersi gioco dei valori repubblicani mentre sostiene di difenderli. Lo spauracchio dell’islamista e musulmano messi insieme, sventolati ovunque e gettati in pasto ai popoli occidentali malmenati dalla ricaduta della crisi capitalistica mondiale ci ricorda la sorte riservata agli Ebrei ed ai comunisti negli anni trenta in Europa. Ma adesso la caccia alle streghe acquista enormi proporzioni e riguarda da oltre venti anni tutto il mondo arabo-musulmano.

La nevrosi espansionistica occidentale raggiunge oggi il culmine con l’ultima variante ideologica: lo shock delle civiltà. Le centinaia di televisioni wahabite del Golfo da una parte e i media occidentali dall’altra, che obbediscono ad un unico padrone, non fanno altro che attizzare gli odi e asserire questa tesi tanto cara al defunto Samuel Huntington. Con la demonizzazione del mondo arabo-musulmano non si tratta più né di giustificare la fondatezza della schiavitù né di difendere i risultati benefici della colonizzazione, ma di legittimare l’epurazione pura e semplice di tutta una civiltà. In effetti, il volk anglosassone, nell’ambito del progetto euro-atlantico, intende spianare lo spazio che va dall’Europa del Nord ai confini con gli Urali. Il mondialismo neoliberale ha molto bisogno di uno spazio vitale all’altezza della sua tracotanza. Tutti i volks che ostacolano saranno sistematicamente polverizzati. La tragedia del mondo arabo è quella di trovarsi geograficamente ed energeticamente sulla strada di questa vasta impresa di demolizione.

A partire dagli anni quaranta, la guerra non sembra più avere lo scopo di dominare i vinti ma di sterminarli. Gli orrori commessi da Hitler e da Truman così come i massacri in Algeria, Vietnam, Sabra e Chatila, Ruanda e Gaza – tanto per fare qualche esempio – sono la conseguenza diretta di questo lungo processo disumanizzante che ha raggiunto oggi lo stadio finale. L’ossimoro del caos costruttore è di una chiarezza accecante. Per i neo-conservatori, la guerra diventa sinonimo di sradicamento. Questa è la logica che orienta gli strateghi americani nelle guerre che conducono, sin dagli inizi degli anni novanta, contro il mondo arabo. L’embargo, imposto all’Iraq per oltre dieci anni, ha causato più di un milione di morti, e la maggioranza sono bambini privati di medicinali. L’impiego intensivo di munizioni all’uranio impoverito durante la prima e la seconda guerra del Golfo ha contaminato in modo indelebile il suolo iracheno e condannato milioni di Iracheni a morire di leucemia o di altre forme di cancro. I ridicoli eufemismi quali guerra pulita o attacchi chirurgici nascondono vergognosamente questa strategia dello sterminio. Gli avvelenatori non avevano alcun dubbio su ciò che la sorte riservava loro. Ma la guerra a zero morti promessa da Colin Powell si avverò una grande menzogna quando, dopo alcuni anni, un gran numero di veterani delle guerre del Golfo furono colpiti da leucemia, cancro alle ghiandole linfatiche, perdita di peso, insufficienza polmonare, oltre alle malformazioni congenite dei loro figli. Di 697.000 soldati americani arruolati nell’operazione tempesta del deserto nel 1991, 183.000 hanno oggi una pensione di invalidità e 10.000 sono morti per malattia.

Se la prima guerra del Golfo non arrivò fino in fondo, fu semplicemente per incutere paura all’Arabia Saudita e agli altri paesi della regione, e spingerli a sollecitare lo spiegamento dell’esercito americano sul loro territorio. Lo spauracchio di un Saddam Hussein bellicoso e vendicativo fu sufficiente per gettare tutti quei re e piccoli tiranni nelle braccia tese dello zio Sam. Ma fu la seconda guerra del Golfo a costituire il vero campo di sperimentazione del caos: un’anteprima della tragedia che scuote ora l’Africa del Nord e il Medioriente. Non si tratta più di sconfiggere un esercito o di rovesciare un potere e neppure di occupare un paese, ma di annientare gli stati con tutte le loro istituzioni e di dividere nel sangue delle società, mettendo gli uni contro gli altri gruppi etnici e confessionali. Bisogna tuttavia precisare che questa gigantesca manovra di destabilizzazione del mondo arabo, cinicamente chiamata primavera araba, si iscrive in un progetto le cui radici affondano nel passato lontano. Durante la seconda guerra mondiale i nazisti, giocando sul sentimento identitario religioso di Ceceni, Kazaki e Uzbeki, erano riusciti a metterli contro gli atei comunisti. Gli Statunitensi si erano affrettati a dargli il cambio. Nel luglio 1953, in piena guerra fredda, una delegazione di musulmani fu invitata negli USA e ricevuta alla Casa Bianca da Dwight Eisenhower, che si rivolse agli invitati in questi termini: la nostra fede in Dio dovrebbe darci un obiettivo comune, la lotta contro il comunismo e il suo ateismo. Said Ramadan – genero e successore di Hassan Al-Banna, il fondatore del movimento dei fratelli musulmani – faceva parte di quella delegazione (7) e sarebbe diventato il protagonista principale di una guerra d’usura contro il regime nasseriano e contro tutti i regimi e le correnti politiche progressiste del mondo arabo. Un proselitismo religioso ad oltranza dall’Europa occidentale fino all’Asia centrale fu generosamente finanziato dall’Arabia Saudita e sostenuto da tutti i paesi occidentali. Si investirono miliardi di dollari per creare in tutto il mondo università teologiche, scuole coraniche, moschee e altre istituzioni religiose di ogni sorta, col fine di arruolare sia musulmani dell’interno sia della diaspora. Furono sufficienti venti anni per convertire all’integralismo wahabita strati importanti della gioventù araba e islamica. Gli Statunitensi ormai non avevano che l’imbarazzo della scelta per procurarsi tra quei fanatici tutti i combattenti desiderati. Mujahidin da ogni angolo del mondo arabo e musulmano furono inviati in Afghanistan per combattere contro i miscredenti sovietici (8). Un esercito di esaltati, che non costava nulla ai suoi mandanti, riuscì, con anni di vessazioni, ad esaurire l’economia sovietica, già vacillante, e ad accelerare l’implosione dell’URSS. Gli occidentali non si fermarono là. Avrebbero usato lo stesso stratagemma per provocare l’implosione della Iugoslavia. Bisogna tuttavia ricordarsi che, molto prima della strumentalizzazione degli islamisti, la NATO aveva messo insieme un esercito segreto col nome di Stay–behind (9). Ogni paese aveva la sua squadra. Quella della Germania dell’Ovest, creata alla fine degli anni quaranta e in origine composta da ex SS, portava il nome di Schwet [gladio in tedesco]. La rete italiana di Gladio reclutava i membri presso organizzazioni fasciste. La NATO armava, addestrava e manteneva gruppi armati di estrema destra noti per il loro anticomunismo viscerale. Le squadre erano costituite da cellule sparse in tutti i territori delle democrazie occidentali, all’insaputa dei rispettivi parlamenti. In principio, queste cellule dovevano essere altrettante sacche di resistenza nel caso di una eventuale invasione sovietica. Ma l’ascesa folgorante di alcuni partiti di sinistra, come il partito comunista italiano, cambiarono le carte in tavola. Diventò allora imprescindibile puntare le armi contro la nuova minaccia nata all’interno. Secondo lo storico Daniele Ganser (10), la maggior parte degli attentati terroristici che avevano insanguinato l’Europa occidentale sino alla fine degli anni ottanta, attribuiti falsamente all’estrema sinistra, furono in realtà opera di questi gruppi fascisti controllati dalla NATO. L’attentato alla stazione di Bologna o quello della festa della birra di Monaco, avvenuti nel 1980, furono due episodi dolorosi di una lunga serie di azioni terroristiche in gran parte non rivendicate e mai chiarite. Questi abominevoli crimini, commessi alla cieca contro concittadini, si inscrivono secondo Ganser in una strategia della tensione che consisteva nello screditare il nemico, imputandogli azioni terroristiche non commesse. L’assassinio di civili innocenti, suscitando la paura e l’odio nel resto della popolazione, finiva per demonizzare chi si voleva eliminare o aggredire. Tuttavia, gli attentati sotto falsa bandiera, che avevano seminato il terrore in Europa durante la guerra fredda, servirono soltanto a sottomettere definitivamente la politica europea alle esigenze degli Stati Uniti.

Questa strategia della menzogna e della manipolazione ha modificato l’arte della guerra da più di un secolo, erigendo a sistema il terrorismo di stato. Pur avendo ampiamente raggiunto gli obiettivi durante la guerra fredda, la strategia della tensione non ha disarmato. Una volta sbarazzati del pericolo rosso, gli stati occidentali, a partire dagli anni novanta, si affrettarono a inventare il pericolo verde. Gli imperativi geostrategici avevano bisogno più che mai di mantenere alta la tensione. Allora i mujahidin, applauditi durante la guerra sovietico-afghana, rivolsero all’improvviso le armi contro gli antichi mandanti. Sedizione vera o pura simulazione? Ecco la questione. Ma abbiamo veramente bisogno di saperlo? Il set era indubbiamente già allestito e l’angelo del male entrò presto in scena. Ad ogni attentato, uomini politici e media, intrappolati nel loro razzismo culturalista, portarono avanti la propria crociata, nella confusione più totale, contro l’islamismo, il jiahdismo, il salafismo, l’islam … Ciononostante, l’amalgama, nel contesto di questa guerra mondiale che non dice il suo nome, diventò un’arma di distruzione di massa delle menti. Alcune migliaia di mercenari e di fanatici, sbandierati da una televisione all’altra, furono sufficienti per scindere il mondo in crociati e saraceni in meno di un decennio. L’attentato dell’11 settembre arrivò nel momento opportuno per costituire il nodo dell’intrigo. I prodi e molto cristiani mercanti d’armi e di petrolio, furiosi per tanta ferocia, partirono a caccia, decisi a farla finita con le orde barbariche di Gogh e Magog, con gran sollievo del buon popolo e per beneficio della divina democrazia. Si, bisogna accettarlo, le guerre d’oggigiorno non sono più quelle della libertà contro l’uguaglianza, due utopie del secolo precedente cadute in disuso, ma quelle dei fondamentalismi.

Questa guerra mondiale contro il terrorismo, che frantuma l’Iraq e l’Afghanistan da un decennio, è stata ampiamente sufficiente per l’incubazione del male che, dal 2011, deflagrò e incendiò il mondo arabo. Il fatto straordinario è che la NATO con a capo gli Stati Uniti, imponendo una guerra asimmetrica all’Iraq prima e alla Libia poi, ha abbandonato diligentemente questi due paesi nelle mani di terroristi trasformati, non saprei per quale miracolo, in rivoluzionari. Chi non ricorda lo spettacolo surreale del sionista Bernard–Henri Levy che arringava da gradasso gli islamisti di al Qaeda a Bengasi! Bisogna almeno riconoscere alla primavera araba di avere messo a nudo i piani atlantisti: l’instaurazione del caos nel mondo arabo, consegnandolo mani e piedi legati al terrorismo. Dobbiamo continuare a perderci in vane congetture mentre la NATO gioca a viso scoperto? Le condanne proferite ipocritamente dopo ciascun abominio commesso dai fondamentalisti fanno sorridere i più ingenui. Oggi, sta diventando chiaro che la NATO non si è mai allontanata dalla sua strategia della tensione. Il sostegno assoluto, offerto in questo momento dall’occidente e dai suoi vassalli del Golfo agli estremisti islamici, porta a credere che gli attentati commessi da al Qaeda durante gli anni novanta furono false flag operations: crimini orditi sotto falsa bandiera per legittimare la destabilizzazione di tutti quei paesi che, dall’Africa del Nord al Mar Caspio, riposano su enormi riserve di gas e di petrolio. È probabilmente la prima volta nella storia moderna che una super potenza opta per una guerra asimmetrica per interposti terroristi: una guerra molto meno costosa e dove tutte le atrocità e tutti i colpi bassi sono permessi.

Se l’esercito segreto della NATO, formato essenzialmente da fascisti ed ex nazisti, aveva il compito di discreditare la sinistra europea durante la guerra fredda, gli estremisti islamici hanno il doppio compito di demonizzare il mondo arabo-musulmano agli occhi dell’opinione pubblica e di destabilizzare con la violenza i paesi che ricomporranno il nuovo Medio Oriente. In paesi quali la Tunisia o l’Egitto, la salita al potere dei fratelli musulmani eletti democraticamente servirà a smantellare di soppiatto le istituzioni pubbliche e a spianare il terreno prima dell’entrata in scena dei jihadisti. Invece, in paesi come la Libia, dove lo stato è inconsistente, si sceglie di istaurare subito il caos, distruggendo il potere politico e consegnando il paese nelle mani di bande rivali. Nei due casi sopraindicati, lo sgretolamento dello Stato attraverso la generalizzazione del contrabbando e l’esacerbazione delle lotte intestine, interetniche e interconfessionali, costituisce il principale obiettivo della primavera araba. In effetti, con la distruzione dello Stato, la classe politica, gli attori economici e tutte le componenti sociali prive di tutele finiscono per scontrarsi in una lotta mortale nella completa confusione. Non vi è dubbio alcuno che i promotori del nuovo ordine mondiale si preoccupino di verificare in questo modo l’ipotesi dello stato di natura tanto caro a Hobbes, aggiungendovi beninteso il loro granello di sale. Linciaggi, stupri, lapidazioni, scene di antropofagia ….

È indubbiamente più emozionante di tutti quei vecchi film western dove i cattivi pellerossa torturavano a morte pacifici visi pallidi. In quel caso era solo finzione. Oggi, alcune migliaia di buffoni sanguinari armati fino ai denti fungono da veri becchini di una civiltà millenaria. Tutti questi manovrati fanatici tentano, con le nefandezze che commettono, di escludere dal presente il mondo arabo-musulmano, seppellendolo sotto le macerie di una storia mitica che si vuole fare apparire oscura e barbarica. In realtà, tentando di riesumare il loro mito, questi assassini pazzi di Dio non fanno altro che scavare le loro tombe e quelle di coloro che essi combattono: il tutto sotto l’occhio sadico dell’impero in costruzione. Generare la barbarie per mettere le basi di un nuovo impero è probabilmente l’ultimo atto di questa tragedia che insanguina da più di due secoli il pianeta. Quest’ultimo ritorno della barbarie è certamente il segno annunciatore di una civiltà che si autodistrugge, impotente davanti all’inanità del suo progetto. La dissacrazione delle religioni laiche ormai precipita da tempo il mondo nell’incertezza e nella confusione più totali. In effetti, gli ideali di libertà e di eguaglianza che avevano resistito per tutto il XX secolo non sono più in grado di accendere l’illusione di un futuro felice promesso dalla modernità. Questo insopportabile vuoto simbolico non tarderà ad essere riempito da ogni genere di ripiegamenti sulla propria identità. Un tale processo permette, in situazioni di disordine e di rapide mutazioni, di verbalizzare l’ansia ed anche di attenuarla restituendo un senso, grazie a parametri storici, territoriali, culturali o religiosi, a ciò che sembra non averne più. È in questo contesto che la macchina del tempo si è messa in movimento, imbarcando legioni di integralisti disperati, che tentano di sfuggire magicamente all’asfissia del presente. Ma una volta radicalizzata, questa proclamazione identitaria si aggrava e porta a una polarizzazione antagonista dove l’alterità minacciante diventa pericolo imminente che bisogna immediatamente distruggere. È la logica di annientamento dell’altro promossa dal nazismo, che riappare in questi tempi confusi di una civiltà agonizzante. In effetti, ad immagine del movimento volkisch che ha preparato il terreno al nazismo in Germania, il fondamentalismo ebraico e quello islamico si accordano per resuscitare, ciascuno per la sua parte, la propria storia mitica. I sionisti, procedendo da oltre mezzo secolo a puntuali massacri di Palestinesi, si dedicano in qualche maniera a un rito sacrificale che dovrebbe risanare il loro preteso spazio sacro. I takfiri adoperano la stessa violenza per sterminare gli apostati: pulizia etnica necessaria all’esumazione del loro califfato mitico. Si deve tuttavia sottolineare il fatto che, quantunque si identifichino con i fondamentalismi religiosi, queste ossessioni identitarie patologiche sono soltanto un puro prodotto di una modernità allo stremo.

I massacri perpetrati dai sionisti a Gaza, dilaniando giorno dopo giorno e senza mai stancarsi corpi di donne e bambini e gli orrori commessi da Daech in Siria e in Iraq … una tale violenza insensata finisce per incrinare l’immagine che abbiamo di noi stessi. Ma quando si vedono Israeliani esultare di gioia sui social network, assaporando da barbari le carneficine commesse dal loro esercito e quando si vedono jihadisti esibire trionfalmente le viscere delle loro vittime, si finisce per comprendere che il processo di disumanizzazione iniziato da secoli si è appena completato. La crisi identitaria, seguente alla crisi di valori di una civiltà che crolla, giunge al momento opportuno per quei Machiavelli del neoliberismo. Incapaci di continuare a trarre profitto dal capitalismo produttivo e sapendo perfettamente che i giorni del capitalismo finanziario sono contati, scelgono di rastrellare il piatto. Se la distruzione delle società arabo-musulmane con la manipolazione e l’esacerbazione dei conflitti etnici e confessionali è nel pieno, l’imminente fallimento degli stati europei rischia di trascinare i popoli d’Europa in un ciclo di violenze inaudite. Il caos costruttore avrà così ultimato la sua opera distruttrice.

Fethi Gharbi

Fonte: http://nawaat.org/

Link: http://nawaat.org/portail/2014/08/04/lultime-retour-des-barbares/

4.08.2014

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da M.A.CARTA KARROUM

NOTE:

1) http://www.axl.cefan.ulaval.ca/amsudant/guyanefr1685.htm
2) Laurent Estève : Montesquieu, Rousseau, Diderot : du genre humain au bois d’ébène. Les silences du droit naturel Ed. Unesco.
3) http://inter.culturel.free.fr/textes/indigenat.htm
4) http://www.democratie-socialisme.org/spip.php?article1315
5) http://fr.wikipedia.org/wiki/Mouvement_v%C3%B6lkisch)
6) “Volk”, che in tedesco significa popolo, costituisce per il movimento völkisch un tutto unico, una comunità immutabile rivolta verso un passato mitico che le evoluzioni della società negli anni 1860 -1870 disorganizzarono e dispersero. Per il movimento, gli agenti della divisione della nazione tedesca furono i liberali e gli Ebrei, ferventi difensori dell’universalismo.
7) Ian Johnson, Une mosquée à Munich. Les nazis, la CIA et la montée des Frères musulmans en Occident, JC Lattès.
8) http://www.youtube.com/watch?v=Osc2o5Vs4Z8&hd=1#
9) http://www.youtube.com/watch?v=Z7LmCs51Z5g&hd=1
10) Danièle Ganser, Les armées secrètes de l’OTAN, édit. DemiLune

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