L’età della rabbia

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DI PEPE ESCOBAR

atimes.com

Un’arma letale nel cuore e nella mente di una gioventù cosmopolita smarrita e senza radici, in cerca di un senso alla sua esistenza. Mentre scivoliamo verso quella che probabilmente sarà la più lunga delle guerre mondiali

Ogni (lungo) tanto ecco che esce un libro che cattura lo spirito del tempo e risplende come un diamante pazzo: L’età della Rabbia (The Age of Anger) di Pankaj Mishra, autore del ‘precursore’ “Dalle rovine dell’Impero”, potrebbe essere il nuovo avatar.

Considerate questo libro come l’ultima (concettualmente parlando) arma letale nei cuori e nelle menti di una gioventù smarrita cosmopolita alla ricerca di una vera ‘chiamata’, mentre scivoliamo verso la più lunga (“infinita”, direbbe il Pentagono) delle guerre mondiali, una guerra civile globale (che nel mio libro del 2007 “Globalistan” definivo “guerra liquida”).

In sostanza, Mishra (prodotto perfetto dell’Est che incontra l’Ovest) sostiene che è impossibile comprendere il presente se prima non riconosciamo quel nostalgico malessere di fondo che contraddice l’ideale del liberalismo cosmopolita – “la società commerciale cosmopolita di individui razionali egoisti” concettualizzata originariamente dall’Illuminismo di Montesquieu, Adam Smith, Voltaire e Kant.

Alla fine il vincitore nella Storia è uno sterile concetto di bonario Illuminismo. Nella norma, avrebbero dovuto prevalere il razionalismo, l’umanesimo, l’universalismo e la democrazia liberale. Ma sarebbe stato “chiaramente troppo sconcertante” scrive Mishra, “riconoscere che la politica totalitaria abbia cristallizzato le correnti ideologiche (razzismo scientifico, razionalismo sciovinista, imperialismo, tecnicismo, politica estetizzata, ingegnerie sociali)” che già scuotevano l’Europa alla fine del 19 ° secolo.

Quindi, evocando T.S. Eliot, per poter inquadrare “quel mezzo sguardo all’indietro, sopra la spalla, verso il terrore primitivo” che alla fine ha condotto all’Ovest contro Il Resto del Mondo, dobbiamo tornare ai precursori

DISTRUGGI IL PALAZZO DI CRISTALLO

Prendete Pushkin Eugene Onegin – “il primo di molti ‘uomini superflui’ della narrativa russa“, con il suo cappello Bolivar, che tiene stretti a sé una statua di Napoleone e un ritratto di Byron, come la Russia, che tenta di recuperare il suo ritardo con l’Occidente, “gioventù senza radici, prodotto di massa con una concezione quasi “Byroniana” di libertà, gonfiata ulteriormente dal romanticismo tedesco”. I migliori critici dell’Illuminismo dovevano per forza essere Tedeschi o Russi, in ritardo nella modernità politico-economica.

Dostoevskij: la società dominata dalla guerra di tutti contro tutti, dove la maggioranza era condannata a perdere.

Due anni prima di pubblicare il sorprendente “Memorie dal Sottosuolo” Dostoevskij, durante il suo viaggio in Europa occidentale, aveva già osservato una società dominata da una guerra di tutti contro tutti, dove la maggior parte era condannata a perdere.

A Londra, nel 1862, al Salone Internazionale al Crystal Palace, Dostoevskij ebbe un’illuminazione (“E ti arriva un’idea colossale… che il trionfo e la vittoria erano lì. Quasi inizi a temere qualcosa”). Per quanto stupito, Dostoevskij fu molto acuto nell’osservare quanto la civiltà materialista si nutrisse non solo del suo proprio fascino, ma anche della sua potenza militare e marittima.

La letteratura russa finì con il cristallizzare il crimine casuale come il paradigma dell’individualità che assapora l’identità e afferma la propria volontà (che poi ritroviamo nel 20° secolo nell’icona beat William Burroughs, il quale sosteneva che sparare a caso sulla folla fosse per lui il massimo del brivido).

La pista era aperta: le orde di “mendicanti dissoluti” (Beggars Banquet) potevano iniziare a bombardare il Crystal Palace – anche se, Mishra ci ricorda, “..gli intellettuali al Cairo, a Calcutta, a Tokyo e a Shanghai leggevano Jeremy Bentham, Adam Smith, Thomas Paine, Herbert Spencer e John Stuart Mill”, per comprendere il segreto in eterna espansione della borghesia capitalistica.

E questo dopo che Rousseau, nel 1749, aveva posto la prima pietra della rivolta moderna contro la modernità, ora ridotta in mille schegge, in un deserto di echi contrastanti, mentre ritroviamo il Crystal Palace riflesso in mille ghetti luccicanti in tutto il mondo.

Illuminato: sei morto.

Mishra attribuisce l’idea del suo libro a Nietzsche che commentava l’epica querelle tra l’invidioso plebeo Rousseau e il sereno aristocratico Voltaire – il quale salutò la London Stock Exchange, quando divenne pienamente operativa, come una realizzazione secolare dell’armonia sociale.

Ma alla fine fu Nietzsche che si oppose in maniera esemplare, come feroce detrattore sia del capitalismo liberale che del socialismo, rendendo l’allettante promessa di Zarathustra un magnetico Santo Graal agli occhi dei bolscevichi (Lenin, tuttavia, lo detestava), della sinistra di Lu Xun in Cina, dei fascisti, degli anarchici, delle femministe e delle orde di esteti scontenti.

Mishra ci ricorda anche come “gli antimperialisti asiatici e i baroni ladroni Americani hanno attinto a piene mani da Herbert Spencer, il primo pensatore veramente globale” che dopo aver letto Darwin coniò il mantra della “sopravvivenza del più adatto”.

Nietzsche fu l’ultimo cartografo del Risentimento. Max Weber inquadrò profeticamente il mondo moderno come una “gabbia di ferro” da cui può sfuggire solo un leader carismatico. E l’icona anarchica Michail Bakunin, da parte sua, nel 1869 aveva già concettualizzato il “rivoluzionario” come colui che recide “ogni legame con l’ordine sociale e con l’intero mondo civilizzato … Lui è il suo nemico più spietato e continua ad esistere per un unico scopo: distruggerlo

Sfuggendo all’Incubo della Storia del Modernista Supremo James Joyce – dalla gabbia di ferro della modernità, appunto – è scoppiata in modo incontrollato e ben al di fuori dei confini dell’Europa una secessione militante viscerale “da una civiltà fondata sul progresso graduale controllato da fiduciari liberal-democratici”.

Ideologie anche radicalmente contrarie sono comunque sorte in simbiosi dal vortice culturale del tardo 19° secolo, dal fondamentalismo islamico al sionismo, dal nazionalismo indù al bolscevismo, dal nazismo al fascismo e al rinnovato imperialismo.

Non solo la seconda guerra mondiale, ma anche l’attuale finale di partita è stato brillantemente visualizzato nel 1930 dal tragico Walter Benjamin, quando già metteva in guardia contro l’auto-alienazione del genere umano, finalmente in grado di “provare nella propria distruzione il massimo piacere estetico possibile”. Gli jihadisti di oggi in streaming fai-da-te non sono altro che la sua versione pop, mentre l’ISIS tenta di proporsi come negazione estrema delle miserie della modernità (neo-liberale).

L’era del Risentimento

Tessendo flussi coloriti di politica e di impollinazioni incrociate letterarie, Mishra si prende il suo tempo per impostare la scena del Grande Dibattito tra quelle masse del mondo in via di sviluppo – la cui esistenza è stata etichettata dall’Occidente Atlantista (“storie di violenza ancora largamente riconosciuta”) e dalle élite della modernità liquida (Bauman) che hanno ceduto alla quella selezionata parte del mondo a cui si attribuiscono, dopo l’Illuminismo, le più grandi scoperte e innovazioni scientifiche, filosofiche, artistiche e letterarie.

Questo va ben al di là di un semplice dibattito tra Est e Ovest. Non riusciremo a comprendere l’attuale guerra civile globale, questo “mix intenso di invidia e senso di umiliazione ed impotenza” post-modernista e post-verità, se non tentiamo di “smantellare l’architettura concettuale e intellettuale del’’Occidente vincitore nella storia”, che deriva dalla storia ipertrionfalista dei successi americani.

Anche al culmine della guerra fredda, il teologo statunitense Reinhold Niebuhr si beffava dei “tiepidi fanatici della civiltà occidentale” e della loro fede cieca nel fatto che ogni società è destinata ad evolversi come hanno fatto – a volte – una manciata di paesi occidentali.

E questo – ironia! – mentre il culto liberale internazionalista del progresso scimmiottava platealmente il sogno Marxista della rivoluzione internazionale.

Nel 1950, nella sua prefazione a “Le origini del totalitarismo”, oggi un mega best-seller su Amazon – Hannah Arendt, in sostanza, ci disse di dimenticare l’eventuale restaurazione del vecchio ordine mondiale; siamo condannati al ripetersi della storia. “Un numero di senzatetto senza precedenti; uno sradicamente sociale di una profondità mai vista prima”.

Nel frattempo, come ha osservato Carl Schorske nel suo spettacolare Fin-de-siècle: Politica e cultura, gli studiosi americani hanno tagliato il “cordone della coscienza” che collegava il passato al presente; una storia resa asettica, senza mezzi termini; e in un attimo scompaiono dall’oggi al domani secoli di guerra civile, devastazioni imperialistiche, genocidi e schiavitù in Europa e in America. E’ consentita solo una (e una soltanto) versione dei fatti: e cioè come gli Atlanticisti, dotati di ragione e autonomia individuale, abbiamo costruito il mondo moderno.

Ora, consideriamo quel grande “spoiler” di Jalal Al-e-Ahmad, nato nel 1928 in un quartiere depresso a Sud di Teheran e autore di “Westoxification (1962)”, un testo di riferimento importante dell’ideologia islamista, dove ha scritto di come “Erostratus di Sartre spara con la pistola per strada con gli occhi bendati; il protagonista di Nabokov guida la sua auto in mezzo alla folla; e lo straniero, Mersault, uccide qualcuno come reazione ad una brutta ustione solare”. Un collegamento tremendo: l’esistenzialismo che incontra le baraccopoli di Teheran, sottolineando quello che la Arendt chiamava “solidarietà negativa”.

O pensiamo a Abu Musab al-Suri, nato nel 1958 – un anno dopo Osama bin Laden – da una devota famiglia della classe media di Aleppo. E’ stato al-Suri – non l’egiziano Al-Zawahiri – a progettare una strategia jihadista globale senza un leader, la “Chiamata alla Resistenza Islamica Globale”, basata su “cellule indipendenti” e “singole operazioni”. Al-Suri ha rappresentato il Samuel “scontro-di-civiltà” Huntington di al-Qaeda. Mishra lo definisce il “Mikhail Bakunin del mondo musulmano”.

La sifilide delle passioni rivoluzionarie

Rispondendo a quello stupido meme neo-Hegeliano di “fine della storia”, al termine della guerra fredda, Allan Bloom ammoniva che nel futuro ci sarebbe stato un nuovo fascismo; e John Gray telegrafava il ritorno di “forze primordiali, nazionaliste e religiose, fondamentalisti e presto, forse, anche malthusiane“.

E questo ci conduce al motivo per cui gli eccezionali portatori di Illuminismo e Razionalismo non possono spiegare l’attuale crisi geopolitica – da ISIS a Brexit fino a Trump. Non potrebbero andare oltre la semplice opposizione binaria tra “libero” e “non libero”, quello stesso cliché occidentale della non-occidentalizzazione del 19° secolo e l’inevitabile demonizzazione dell’Altro perennemente “indietro”: l’Islam. Da qui la nuova “lunga guerra” (terminologia del Pentagono) contro l’ “islamofascismo”.

Non potrebbero mai capire, come dice Mishra, le implicazioni di quell’incontro di pensiero nella prigione di massima sicurezza del Colorado tra il bomber di Oklahoma City, l’americanissimo Timothy McVeigh, e la mente del primo attacco al World Trade Center, Ramzi Yousef (musulmano non devoto, padre pakistano e madre palestinese).

E non potranno mai capire come fanno le menti dietro l’ISIS a reclutare online un adolescente arrabbiato, insultato e ferito di un sobborgo di Parigi o di una baraccopoli africana e convertirlo in un dandy narcisista (baudelairiano?) fedele a una causa travolgente per la quale vale la pena di lottare. E’ davvero inquietante il parallelo tra la jihad fai-da-te e il terrorista russo del 19° secolo che incarna la “sifilide delle passioni rivoluzionarie”, come la descriveva Alexander Herzen.

E il nemico numero uno dei jihadisti non è nemmeno un cristiano: sono gli Sci-iti “apostati”. Gli stupri di massa, le esecuzioni coreografiche, la distruzione di Palmyra: Dostoevskij aveva già previsto tutto. Come dice Mishra, “è impossibile per un moderno Raskolnikov negarsi qualcosa, ogni cosa viene giustificata”.

Ed é impossibile riassumere tutte le ramificazioni rizomatiche (per citare Deleuze-Guattari) intellettuali ed esistenziali contenute in The Age Of Anger. Quello che è chiaro è che per comprendere la guerra civile globale attuale, è essenziale una reinterpretazione archeologica del pensiero egemonico Occidentale degli ultimi 250 anni. Altrimenti saremo condannati, come piccoli miseri Sìsifi, a sopportare non solo l’incubo della storia ricorrente, ma anche i suoi letali contraccolpi.

 

Pepe Escobar

Fonte: www.atimes.com

Link: http://www.atimes.com/article/look-back-anger-unplugged//

4.02.2017

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura SKONCERTATA63

 

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