LA STORIA, L'EUROPA E LA CRISI UCRAINA

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DI ALESSANDRO BIANCHI [con la preziosa collaborazione del Prof. PAOLO BECCHI]

lantidiplomatico.it

Intervista a Giulietto Chiesa

La visita del presidente ucraino Yanukovich a Mosca è l’ultimo atto di una crisi che rischia di destabilizzare un paese strategicamente fondamentale. Come cambia ora la situazione?

Cambia completamente, vi è stata una svolta radicale. La Russia di Putin ha offerto al presidente ucraino un prestito da 15 miliardi di euro, per affrontare l’emergenza attuale, e la firma di un’intesa preliminare per diminuire il prezzo del gas a 280 dollari per mille metri cubi – circa 150-180 dollari in meno di quello che pagano gli altri paesi europei – per un risparmio complessivo di Kiev da due miliardi di dollari l’anno. Si tratta di un regalo immenso e vorrei che si misurasse la portata del gesto in modo appropriato, perché semplicemente non esiste un atto di questa portata nell’economia contemporanea. Può essere chiaramente spiegato solo come atto politico, di fratellanza, e capito a fondo solo se si comprende che Kiev è una componente essenziale della cultura e della storia russa. Con quest’offerta Vladimir Putin sta salvando la pace internazionale. La Russia è nata in Ucraina, che è stata anche il suo baluardo difensivo durante la seconda guerra mondiale. Come si può immaginare che i russi non considerino questo un valore? L’Europa occidentale ha scelto consapevolmente, o per stupidità, di aprire una crisi gravissima, che non tiene conto della storia degli uomini. I russi stanno difendendo sé stessi, una parte della storia, oltre ad una parte dei loro ex cittadini. Occorre non dimenticare che la maggioranza dei 48 milioni di ucraini è composta da persone di lingua e cultura russa. Persone niente affatto nostalgiche, ma che guardano al mondo con attenzione e stanno vedendo come, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, i russi sono stati ampiamente discriminati in Lituania, Estonia e Lettonia. In Ucraina si immaginano di dover subire a stessa sorte una volta entrati in Europa.

Perché secondo Lei i dirigenti dell’Unione Europea hanno voluto forzare la situazione in Ucraina in questo modo e qual è, pertanto, l’obiettivo di fondo della strategia scelta dall’occidente?

La mossa occidentale punta a spaccare il paese: in una situazione in cui la maggioranza delle persone è russa e vota Yanukovich, non si poteva non sapere che si sarebbe aperta una frattura in un paese centrale per molte ragioni, in primo luogo per la sua posizione strategica. Ora è bene che l’opinione pubblica comprenda che l’obiettivo finale di questa mossa non è l’ingresso in Europa, ma chiaramente è quello di portare l’Ucraina nella Nato. Nessuno ne parla e proprio per questo è il punto centrale. La storia, del resto, la conosciamo bene: le tre Repubbliche baltiche, oltre alla Romania e la Bulgaria, prima di entrare nell’Ue sono state inglobate nell’Alleanza atlantica. Si tratta della continuazione della politica di espansione occidentale e di accerchiamento della Russia. E’ una politica che procede da vent’anni, cominciata con Boris Yeltsin e proseguita in parte da Putin. Per vent’anni l’Occidente si è trovato di fronte una Russia cedevole, quasi del tutto colonizzata. Ha offerto in cambio protezione agli oligarchi e possibilità di ospitare nelle banche occidentali i capitali che costoro trafugavano dalla Russia dopo averla derubata. Ma la situazione è cambiata. Ora a Mosca c’èun leader che non accetta più questa situazione. Nelle nuove condizioni pensare di continuare l’accerchiamento, e anzi renderlo più soffocante, non è più un’ipotesi realistica. Qualcuno dovrebbe spiegarlo a Berlino e a Bruxelles. Se in Europa ci fossero dirigenti amanti della pace e lungimiranti l’avrebbero capito ma, dato che là abbiamo perlopiù minus habentes che pensano di essere ancora i dominatori del pianeta, i guai diventano potenzialmente enormi.

Fino a che punto il presidente russo saprà spingersi per impedire il passaggio dell’Ucraina all’altro campo?

Questa politica occidentale verso l’Ucraina non può essere tollerata da una Russia che si considera ora, di nuovo sovrana ed indipendente. Non abbiamo avuto un’aggressione della Russia contro l’Ucraina, ma una dell’Europa contro la Russia. Putin vuole dimostrare di avere la forza necessaria per impedire una scelta che modificherebbe 40 anni di sicurezza strategica comune, quella che prese avvio dagli accordi di Helsinki e di Parigi. L’ingresso della Nato in Ucraina modificherebbe di fatto, in modo drastico, tutti rapporti di forza e i parametri della sicurezza comune. L’Alleanza occidentali si troverebbe a un passo dalla capitale della Russia. Quello che i dirigenti europei devono capire è che semplicemente non si può fare: è una scelta non ragionevole, che azionerebbe una pericolosissima guerra fredda, in cui, tra l’altro, al contrario del passato, l’occidente non sarebbe più il dominatore. Putin ha fatto la sua mossa ed ha chiarito che non permetterà di superare questo limite. La "grande novità" dei missili spostati a Kaliningrad è solo mistificazione: i centri militari della Nato sapevano della loro presenza da almeno uno-due anni – da quando gli Stati Uniti avevano deciso di comprare prima la Repubblica ceca e poi la Romania per far mettere nuovi sistemi radar ai confini con l’Ucraina – ed il finto stupore di adesso vorrebbe far credere a una nuova minaccia russa maturata in questa crisi. La spiegazione è che i russi hanno da tempo cominciato a prendere le loro misure. Sono stato una decina di giorni fa in Russia nel pieno della crisi di Piazza Maidan e ho visto Putin per tre giorni di seguito in televisione per annunciare nuove misure di riarmo dunque, a partire dagli otto sommergibili atomici strategici pronti per il 2020. Si sta dunque preparando una serie di misure che puntano a preparare il "passaggio di campo". L’Occidente che dovuto arretrare in Siria e in Iran, ma riapre l’offensiva in Europa. Ma chi è che attacca? Sempre l’Occidente. La propaganda ripete il mantra della "minaccia russa". Ma, guarda caso, non si ricorda mai che la Russia non è impegnata su nessun fronte ormai da 20 anni ed è presente all’estero solo nella base militare siriana. Tutto questo mentre l’Occidente – soprattutto gli Stati Uniti – è impegnato in guerre in tutto il mondo. Come si può continuare a dire che è la Russia che minaccia, quando è esattamente l’opposto? La crisi dell’Ucraina va ripensata proprio nel quadro complessivo dell’offensiva dell’Occidente.

Come giudica le visite frequenti di dirigenti europei in Ucraina a sostegno delle manifestazioni e, inoltre, cosa pensa del fatto che il senatore americano McCain da una piazza di Kiev abbia incitato apertamente alla ribellione?

Per descrivere la gravità di ciò ch’è avvenuto basti pensare, come ipotesi scolastica, ad un semplice esempio. Immaginiamo che la Lega Nord in Italia raggiungesse il 40% dei voti e fosse il principale partito dell’opposizione. Potremmo noi accettare tranquillamente, senza protestare, che Francia, gran Bretagna, Stati Uniti, Bangladesh e altri inviassero a Milano decine di alti rappresentanti politici, diplomatici per incitare il Nord alla secessione? Ovvio che considereremmo un tale atteggiamento una patente provocazione e una violazione di ogni norma di correttezza internazionale. Evidente ingerenza dall’esterno negli affari interni del nostro paese. Eppure l’Europa ha fatto esattamente questo con l’Ucraina. E il senatore americano McCain è andato in piazza, insieme a numerosi esponenti europei a incitare in piazza l’opposizione. Penso che Yanukovic avrebbe fatto bene a togliere loro il visto d’ingresso. Quello che sta accadendo in Ucraina è semplicemente paradossale, ma i media occidentali lo presentano come una difesa contro la minaccia russa alla libertà e all’indipendenza degli ucraini..

Come uscirà l’Europa dalla crisi ucraina?

Ad un forum russo-europeo a cui ho partecipato recentemente a Bruxelles, una ricercatrice dell’Istituto degli affari internazionali di Mosca ha fatto un intervento illuminante per comprendere le implicazioni possibili della crisi ucraina. All’inizio pensavo fosse quasi una battuta, ma diceva cose molto serie quando ha invitato pubblicamente il presidente Putin ad assecondare le richieste di Polonia e dei paesi baltici, ripudiando finalmente il trattato Ribbentropp-Molotov, che precedette la seconda guerra mondiale. Le frontiere dell’Ucraina tornerebbero alla fase precedente, la Galizia tornerebbe in Polonia entrando in Europa, come chiede, legittimamente di poter fare. Tuttavia si creerebbe un problemino tra due paesi europei: infatti anche un terzo della Lituania, compresa la capitale Vilnius, tornerebbe in Polonia. Ci rendiamo conto della posta in gioco nel voler forzare la mano in questa questione? Da questa crisi l’Europa subirà inevitabilmente una grave sconfitta ed un peggioramento dei rapporti con la Russia. E’ inevitabile se si continua a pagirare su questi tasti. E la colpa sarà di politici come il presidente della Lituania e di Angela Merkel che hanno voluto forzare la rivolta.

Riuscirà, secondo Lei, il presidente Yanukovich nel brevissimo periodo a destreggiarsi tra i due fuochi del progetto di Unione doganale di Putin e quello dell’Unione Europea, evitando un peggioramento della crisi?

Non lo so. Credo che la situazione sia ancora estremamente tesa e pericolosa. Yanukovich punterà a vincere le prossime elezioni attraverso il sostegno dei russofoni. Se dall’Europa si deciderà di soffiare sul fuoco, la crisi è ad un livello tale che può preludere all’inizio di un conflitto interno all’Ucraina. Mi auguro di no, chiaramente, ma è il quadro che si delinea attraverso una forzatura prolungata della situazione. Il presidente ucraino se ne torna a Kiev da Mosca con un pacchetto di risultati considerevoli. Però, non bisogna dimenticare che – come ha reso noto Putin – durante i colloqui non è stata affrontata la questione dell’ingresso dell’Ucraina nell’Unione doganale con Russia, Bielorussia e Kazakistan. Il negoziato è servito solo a fronteggiare l’emergenza e dare respiro al paese. Non è escluso che Putin abbia offerto a Yanukovich la possibilità di prendere tempo, senza forzare una decisione immediata. Si tratterebbe di una posizione ragionevole, che permetterebbe al presidente ucraino di presentarsi alle elezioni con una posizione neutrale tra i due blocchi. Una posizione accettabile sia per gli ucraini di lingua russa sia per gli altri che si sentono più vicini all’Europa. Sono stato più volte in Ucraina lo scorso anno ed ho sostenuto, in una serie di incontri ed interviste, come il paese dovrebbe prendere due provvedimenti immediati: in primo luogo, Kiev dovrebbe dichiarare che non entrerà in ogni caso nella Nato. Sarebbe un gesto molto forte. In secondo luogo, dovrebbe affermare che intende mantenere buoni rapporti con la Russia e con l’Europa. In seguito, dovrebbe stipulare accordi favorevoli con entrambe le due realtà doganali. Ne trarrebbe solo vantaggi, economici e politici.. Perché non pensare ad un’Ucraina che per il suo passato, la sua storia, cultura e posizione, resti un paese neutrale, con un rapporto di buon vicinato con entrambi i grandi vicini? Sarebbe il tipo di politica estera che una Unione Europea ragionevole dovrebbe perseguire ed una soluzione che a Putin non dispiacerebbe.

Qual è la peggiore ipotesi di escalation del conflitto possibile?

Lo scrive oggi (mercoledì, ndr) anche il New York Times: se l’Ucraina dovesse entrare nel blocco occidentale, Mosca prenderà misure di ritorsione sia militari che economiche. Ho letto una parte delle oltre 900 pagine del documento che si sarebbe dovuto firmare a Vilnius. Prevedevano scelte molto drastiche, con le imprese ucraine costrette a rompere qualsiasi legame con quelle russe. Tutte le esportazioni alimentari ucraine verso la Russia avrebbero avuto seri ostacoli, in quanto l’Ucraina avrebbe dovuto cambiare il regime di tassazione, di controlli sanitari, di parametri tecnici di verifica delle merci: tutte modifiche costose a carico di ucraini e russi. Il cambio di campo dell’Ucraina modificherebbe completamente i rapporti economici e commerciali con la Russia, che sono oggi assolutamente prevalenti. Proviamo a metterci nei panni della Russia. Qualunque paese, in una tale situazione, sarebbe perfino costretto a prendere contromisure.

La scelta occidentale di forzare la situazione in Ucraina può essere letta come il tentativo degli Stati Uniti di mandare un messaggio chiaro alla Russia su altri fronti, soprattutto per quel che riguarda il Medio Oriente?

Le strategie delle grandi potenze non sono mai monodimensionali. Ci sono tanti fronti che sono aperti simultaneamente e si influenzano vicendevolmente. Magari c’è stata una certa autonomia europea in Ucraina, ma una parte della sua azione dipende da obiettivi strategici e geopolitici che gli Stati Uniti stanno perseguendo: non c’è il minimo dubbio a proposito. La teoria di Brzezinski sull’accerchiamento progressivo della Russia non è mai stata abbandonata: gli europei sono soggetti che seguono ed eseguono queste direttive. La crisi dell’Ucraina è un grande gioco sporco. Non c’era alcun bisogno in questo momento di accelerare sulla questione dell’accesso all’Unione Europea, ed esiste il rischio che anche in Georgia (che invece ha firmato) le tensioni si possano a breve accentuare.

L’amicizia personale di Silvio Berlusconi con Putin è stata una assoluta peculiarità nei rapporti del presidente russo con un leader europeo. Si può dire a distanza di qualche anno che i progetti energetici dell’ex premier italiano possano aver dato fastidio a qualcuno?

Non è certo un grande statista, ma Berlusconi aveva capito che tutta la politica americana verso la Russia non era in linea con il perseguimento dei suoi obiettivi. La sua politica estera è così entrata in collisione con Washington. Come la Germania era riuscita a bypassare Polonia e le repubbliche baltiche, facendo arrivare il gas russo in modo diretto attraverso il North Stream, il progetto di Berlusconi con il South Stream era quello di collegare il sud dell’Europa al gas russo aggirando l’Ucraina. "Un giorno l’Europa mi sarà grata perché l’energia arriverà attraverso le vie che ho aiutato ad aprire", aveva dichiarato Berlusconi, che si candidava a divenire un partner privilegiato di lungo periodo con la Russia. Questo ha dato fastidio. Se si vuole una contrapposizione tra Russia ed Europa, si deve trovare il modo di impedire che i russi vendano il gas all’Europa. In tal modo non solo si allenta la cooperazione tra Europa e Russia, ma si costringe l’Europa a comprare l’energia che arriverà dagli Stati Uniti, nel frattempo divenuti nuovamente esportatori di gas. Gas molto più economico di quello russo, ma proveniente dagli scisti bituminosi, che sono devastanti per il riscaldamento climatico e per gli equilibri ecologici. Più energia ai danni dell’ecosistema. E un’Europa sempre più incatenata al carro americano. Poveretti gli ucraini.

Alessandro Bianchi
Fonte: www.lantidiplomatico.it
Link: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=6479
20.12.2013

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