LA SIRIA E IL PETROLIO

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DI VALENTIN KATASONOV
strategic.culture.org

Si legge sempre più frequentemente sui mezzi stampa e d’informazione che la Russia avrà probabilmente da guadagnarci da un aumento dei prezzi del petrolio in conseguenza della guerra U.S.A. in Siria. Si dice che alla Russia convenga essere dalla parte degli occidentali, che si preparano ad un’operazione militare, invece che dalla parte del governo ufficiale di Bashar al-Asad. Lasciamo da parte, per ora, gli aspetti morali e politici di questa linea di pensiero alquanto sgradevole e miope. Guardiamo il lato economico della questione.L’argomento petrolio e i suoi collegamenti con gli avvenimenti in Siria, ha iniziato ad occupare, dall’Agosto di quest’anno, le prime pagine dei canali d’informazione, divenendo anche tema prioritario di seri studi analitici.

In quel momento la crisi della Siria era entrata in una fase “attiva” e la Russia aveva preso sulla vicenda una posizione piuttosto ferma e di principio. Alcuni analisti della banca Francese Société Générale avevano pubblicato i risultati di uno studio secondo cui a seguto dei fatti della Siria, il prezzo del greggio Brent avrebbe potuto schizzare a 150$ il barile (circa 40% in piu’ della media degli ultimi mesi). In seguito, il quotidiano belga Echo ha trasmesso questi dati, e tutti gli altri canali d’informazione hanno iniziato a diffondere la notizia, compresi quelli russi. Alcuni hanno scritto, in modo concitato, che “il nuovo conflitto in Medio Oriente” (leggasi: l’attacco americano alla Siria e la diffusione della guerra al di fuori dei suoi confini) avrebbe significato per la Russia una gran fortuna, dato che metà del suo bilancio proviene dalla vendita di petrolio e gas”.

E’ difficile dire che altro c’è dietro a questa linea di pensiero – la tipica ignoranza dei giornalisti, uno sconcertante cinismo, oppure i segni di un sabotaggio ideologico. Probabilmente tutti e tre questi elementi, se poi un giornale moscovita finisce con il riportare in modo entusiasta: “L’Alta Scuola di Economia ha già calcolato che – nella peggiore delle ipotesi – la diffusione del conflitto in tutto il Medio Oriente (produttore di petrolio) produrrà un aumento annuale delle entrate di oltre 100 miliardi di $. Il che equivale a un quarto dell’intero bilancio”. 
Affinchè tali “rivelazioni” non turbino il lettore impreparato, propongo di esaminare il caso un po’ più da vicino.

AUMENTO DEI PREZZI: SE CI SARA’ NON SARÀ MOLTO E NON PER MOLTO

Per iniziare, dobbiamo notare che la Siria produce poco petrolio; rappresenta solo lo 0,2% della produzione mondiale di oro nero. Ora ha smesso di esportarlo all’esterno. Quindi, se le cose andranno bene, se la guerra non si espande fuori dai suoi confini, l’influenza del fattore Siria sullo stato dei mercati mondiali dell’energia, sarà insignificante. Consideriamo, tuttavia, uno scenario sfavorevole, in cui gli avvenimenti in Siria finiscano con il destabilizzare la situazione nell’intero Medio Oriente. Allora la cosa inizierebbe a farsi sentire; tutta la regione rappresenta un terzo della produzione mondiale. E’ questo lo scenario che la Société Générale ha preso in considerazione nella sua analisi.
Nelle valutazioni di analisti seri, potrebbero invece salire i prezzi mondiali del petrolio. Tuttavia, l’effetto sui prezzi sarebbe minimo e di durata relativamente breve. Sarebbe minimo, poiché i prezzi del petrolio, nell’opinione degli analisti, alti lo sono già. Saliranno, ma non di molto. Ed è piuttosto improbabile che raggiungano il livello $150. E, cosa più importante, non resteranno comunque alti per molto. Abbiamo esperienza di operazioni militari contro Iraq e Libia e di destabilizzazione della situazione in Egitto. La storia era sempre la stessa: un breve aumento dei prezzi e un successivo ritorno ai livelli originari. Oggi sono disponibili grandi riserve che possono compensare eventuali riduzioni di produzione di energia. I Paesi OPEC hanno già dichiarato che, se i prezzi inizieranno a salire, provvederanno a “regolare” il mercato energetico. Non hanno bisogno di prezzi esageratamente alti. Hanno sufficienti riserve pronte per essere utilizzate per la stabilizzazione dei prezzi. Aumenti improvvisi non sono affatto vantaggiosi per i Paesi OPEC, poiché provocano un potente stimolo allo sviluppo di fonti energetiche alternative e a una maggiore efficienza energetica. Per questo motivo “..i paesi produttori di petrolio preferiscono che il prezzo resti a livelli “medi” ed i prezzi attuali sono anche un po’ al di sopra di questi livelli.”

“Secondo la nostra opinione” dice il direttore del dipartimento di analisi di Alpari, Alexander Razuvaev, “nel mercato delle materie prime si ripeterà la situazione verificatasi nel 2003, durante le operazioni militari di USA e alleati in Iraq. Il petrolio toccherà livelli “bellici”, raggiungendo i 120$ a barile, anche 130$ per il Brent, ma non è previsto che arrivi a superare i record storici del 2008. Se, come è molto improbabile, l’attuale governo siriano cadesse presto, come accadde in Iraq nel 2003, il petrolio andrà giù. In questo scenario possiamo aspettarci che il Brent scenda a 100-105$ il barile”.

NEANCHE ALL’OCCIDENTE SERVE UN AUMENTO DEI PREZZI

Anche secondo gli U.S.A. non ci sarà un brusco aumento dei prezzi del petrolio. Secondo Ed Crooks e Gregory Meyer, nel loro articolo sul Financial Times del 4 settembre scorso, se il prezzo del petrolio dovesse salire rapidamente oltre i $120 il barile dopo l’avvio di un’ operazione militare contro la Siria, gli U.S.A. metterebbero sul mercato il petrolio delle loro riserve strategiche. Anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), che coordina l’utilizzo delle riserve dei paesi occidentali, ha espresso la sua posizione. Alcuni giorni fa un rappresentante della IEA ha detto “Fermo restando che la IEA, come sempre, è pronta a intervenire nel caso si verificasse un evento che sconvolga i flussi produttivi, l’attuale situazione non sembra richiedere un’azione da parte dell’Agenzia. Se gli U.S.A (insieme ad altri paesi) metteranno sul mercato il petrolio delle loro riserve, questo fermerà l’aumento dei prezzi”.

«Non siamo di fronte ad un grilletto pronto a scattare, ma se dovessimo notare che i prezzi raggiungono i 125 dollari a barile, sarà quella per noi l’indicazione che c’è una sofferenza del mercato, e probabilmente un problema causato da una carenza temporanea, a cui si potrà ovviare immettendo nel mercato il petrolio delle riserve strategiche” dice Jason Bordoff, un ex funzionario per l’energia alla Casa Bianca che attualmente gestisce il Centro di Politica Energetica Globale.

“La Casa Bianca, per rassicurare il mercato, dovrebbe forse esprimersi un po’ di più, ricordando a tutti la possibilità dell’utilizzo delle riserve strategiche” afferma David Goldwyn, un ex funzionario del Dipartimento di Stato e dell’Energia degli U.S.A. Goldwyn aggiunge “Credo che quello che dicono e quando lo dicono sia più importante di quello che poi effettivamente fanno”.

Questa sarebbe la prima immissione di petrolio proveniente dalle riserve strategiche dal 2011. In quel momento, i leader dei paesi più sviluppati usarono le riserve strategiche per allentare la stretta del mercato causata da una ridotta produzione durante la guerra in Libia. Il punto è: perché Washington è così preoccupata delle eventuali conseguenze che avrà sui prezzi un’eventuale aggressione militare contro la Siria? Perché, oggi, ogni brusco cambiamento in qualsiasi mercato (non solo quello petrolifero) potrebbe agire da detonatore di una crisi di livello mondiale. Il mercato mondiale dei titoli è letteralmente appeso a un filo. E’ impossibile dire quali fattori abbiano maggiori effetti negativi su questo mercato: gli avvenimenti in Siria o le ombrose illazioni di Ben Bernanke secondo cui “…la Federal Reserve potrebbe ridurre il programma di di “ allentamento monetario” .
“Per il mercato dei titoli russo, una contrazione nel mercato mondiale dei titoli sarà ben più grave di un aumento dei prezzi del petrolio», dice Alexander Razuvaev.

GLI AVVENIMENTI IN SIRIA POTREBBERO SCATENARE UNA CRISI MONDIALE

Molti pensano che gli avvenimenti in Siria potrebbero scatenare una crisi economica e finanziaria di livello mondiale. Ed è praticamente impossibile predire con esattezza chi ci guadagnerà e chi perderà. Molto probabilmente, tutti perderanno. Russia compresa. Ricordiamo il 2008. A Luglio di quell’anno, prima della crisi, i prezzi toccarono punte da record; un barile costava $147.3. Ma alla fine del 2008 il prezzo del petrolio scese a $35. Crollarono così tutte le proiezioni di bilancio al rialzo collegate alle entrate petrolifere. La Russia entrò in una crisi dalla quale ancora oggi deve riprendersi.

Una grave destabilizzazione del Medio Oriente potrebbe significare grosse perdite per la Russia, anche molte volte più grandi del guadagno a breve termine derivante da un rialzo dei prezzi del petrolio. In particolare, potrebbe verificarsi una contrazione (o anche una totale sospensione) delle esportazioni militari russe verso l’area in questione. In molti paesi l’andamento degli investimenti potrebbe cambiare in peggio. Queste conseguenze negative colpirebbero anche la Russia, poiché gli investitori sanno bene che la Siria non è che un intermediario nel conflitto militare. Quindi, è pressoché inevitabile che i capitali stranieri lascerebbero la Russia; e aumenterebbe anche la fuga di capitali interni verso l’estero.

E nella peggiore delle ipotesi, se dopo la Siria toccherà all’Iran e l’Occidente riuscirà nell’intento di controllare l’area di maggiore produzione ed esportazione di energia del mondo, la Russia perderà la sua “arma petrolio” e probabilmente anche la sua “arma gas”. Se, ad esempio, cade l’attuale governo in Siria, il Qatar, fedele alleato dell’Occidente, avrà tutte le carte in regola per sfidare a lungo termine le posizioni occupate da Gazprom in Europa.

Da notare anche che neanche le società petrolifere russe hanno bisogno di un rialzo dei prezzi dell’oro nero; sono più che contente dei prezzi attuali, che gli assicurano attualmente entrate soddisfacenti per il finanziamento e la realizzazione di progetti di investimento connessi ai prezzi del petrolio. Ci hanno messo tanto a raggiungere questi livelli di guadagno e un eventuale aumento dei prezzi potrebbe vanificarli. E in futuro, sarebbe molto più arduo riconquistarli.

Per inciso, le misure di bilancio annunciate dal Presidente della Russia non verranno sospese, anche se i prezzi del petrolio iniziassero a salire in conseguenza degli avvenimenti siriani. A proposito di questo, il Ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha dichiarato spontaneamente in un’intervista a Russia Today durante il Vertice G20, «Per la Russia, qualsiasi variazione nei prezzi (del petrolio) significherà che ogni ulteriore entrata da petrolio e gas proverrà dal Fondo di Riserva”.

Dunque, quali sono le conclusioni? Primo: gli eventi in Siria non avranno un’influenza diretta e sostanziale sui mercati petroliferi; mettiamo quindi da parte ogni aspettativa di maggiori guadagni derivanti da un aumento dei prezzi del petrolio. Secondo: questi avvenimenti potrebbero scatenare l’inizio di una nuova crisi economica a livello mondiale, una minaccia quindi di enormi perdite per l’economia russa, di entità difficile da prevedere. Per questa ragione, e non solo per motivazioni morali e politiche, ma soprattutto basandosi sugli interessi economici, la Russia farà ogni cosa in suo potere per evitare un attacco e l’escalation della crisi.

Valentin Katasonov

Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2013/09/12/syria-and-oil.html
12.09.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63

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