LA MONTAGNA DI CARTA CHE NON CROLLA MAI

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DI DANILO TAINO
corriere.it

L’ipoteca che pesa sulla Abenomics
La «montagna di carta che non crolla mai» — il debito pubblico giapponese — ha toccato una vetta mai raggiunta: più di un «quadrillion» di yen, cioè più di un milione di miliardi. Per la precisione, a fine giugno la cifra dell’indebitamento dell’amministrazione centrale di Tokyo era questa: 1.008.628.100.000.000 yen. In euro fa 7.800 miliardi.

E’ ovviamente un record: per il Giappone sin da quando lo yen è diventato la sua valuta ufficiale, nel 1871, e per il resto del mondo che non ha mai visto una quantità di «pagherò» del genere.Siamo attorno al 200% del Prodotto interno lordo (Pil): se si aggiungono i debiti delle amministrazioni locali, si arriverà al 247% a fine anno, secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale. L’Italia, attorno al 130%, sembra un paradiso. Persino la Grecia, sotto al 190%, sta apparentemente meglio. Sol Levante tramontato definitivamente?

Niente fretta, siamo giapponesi.

La spaventosa pietra miliare annunciata dal ministero delle Finanze nipponico è una bandierina rossa che segnala pericolo grave. Ma non la catastrofe, se il primo ministro Shinzo Abe e il governatore della banca del Giappone Haruhiko Kuroda — impegnati in una svolta economico-monetaria senza precedenti — non faranno pazzie. L’enormità del debito pubblico è il prodotto del «ventennio perduto», della crisi strisciante che dall’inizio degli Anni Novanta stringe il Paese in un limbo di non crescita: recessioni frequenti e continui episodi deflazionistici (cali dei prezzi). Per contrastarla, i governi hanno speso, speso, speso. I risultati sono stati modesti, se non si considerano i tanti ponti e tunnel che nessuno usa. Ma il debito è salito dal 60% del Pil nel 1990 ai livelli attuali.

Tokio ha potuto permetterselo perché i privati giapponesi hanno una grande liquidità. Le famiglie dispongono di un patrimonio attorno a un «quadrillion» e mezzo di yen, cioè il 50% in più del debito dello Stato, e le imprese risparmiano attorno all’8% del Pil ogni anno, cioè quattro quinti del deficit pubblico annuale. E’ denaro parcheggiato nelle istituzioni finanziarie nipponiche, le quali lo usano per comprare obbligazioni (cioè debito) dello Stato: tre quarti sono nelle loro mani. L’estero, il quale pretenderebbe tassi d’interesse più alti, ne detiene solo il 5% (per lo più si tratta di banche centrali). La magia della «montagna di carta» di non crollare si spiega così. Ciò nonostante, lo scorso aprile l’Ocse — il think-tank ufficiale dei Paesi ricchi — ha avvertito che la riduzione dell’indebitamento dev’essere la priorità di Tokyo.

Per buoni motivi. Il premier Abe ha lanciato una nuova politica economica, Abenomics, che tra l’altro comporta un forte deprezzamento dello yen (già avvenuto) e enormi quantità di titoli pubblici comprati dalla banca centrale (il 70% delle emissioni). Fatti che potrebbero disincentivare i giapponesi dal tenere i risparmi nelle obbligazioni-samurai: nel primo caso perché all’estero guadagnerebbero di più che a restare nello yen, nel secondo per timori di instabilità. Se l’uscita degli investitori domestici dal debito pubblico diventasse massiccia, Tokyo rischierebbe una crisi spaventosa. Per questa ragione, l’anno scorso il parlamento ha votato una legge che prevede l’aumento dell’Iva dal 5 all’8% il prossimo aprile e al 10% nell’ottobre 2015. Un passo verso una politica di controllo dell’indebitamento.

Entrano però in campo Abe, eletto premier nel dicembre 2012, e la Abenomics. Per rilanciare l’economia, il governo vuole introdurre stimoli di spesa per 10.300 miliardi di yen. Non solo: Abe ha fatto sapere di volere aspettare i dati sulla crescita dell’economia nel secondo trimestre dell’anno — lunedì — prima di confermare gli aumenti dell’Iva. Il suo orientamento è nettamente anti-austerità: ritiene che la crescita venga prima del consolidamento dei conti, non vuole che l’aumento dell’Iva la blocchi. Con un debito più alto del Monte Fuji, il Giappone è insomma diventato il maggiore test empirico del dibattito tra economisti più intenso degli ultimi anni: è il debito gonfiato a frenare la crescita o è la crescita frenata a gonfiare il debito? Scoprirlo ha i suoi rischi.

Danilo Taino
Fonte: www.corriere.it
11.08.2013

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