LA DIFESA DELL' IMPERO DEL DOLLARO

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DI MIKE WHITNEY

counterpunch.org

“La Fed ‘deve’ essere ancora più attiva, visto che gli stranieri stanno ulteriormente rallentando l’acquisto della nostra ‘carta’. Nella corsa alla svalutazione delle monete che è in atto nel mondo sviluppato – una corsa che sta accelerando la fine dell’attuale regime valutario – deve spingere a tavoletta sul pedale dell’acceleratore”.

Stephanie Pomboy, MacroMavens

“Non importa quello che ci dicono i nostri omologhi occidentali, possiamo vedere direttamente con i nostri occhi quello che sta succedendo. La NATO sta palesemente schierando le sue forze in Europa Orientale, comprese le regioni del Mar Nero e del Mar Baltico. Le sue attività di addestramento sia operativo che al combattimento stanno crescendo notevolmente”.

Il Presidente russo Vladimir Putin

Se ci fosse un mezzo per poter raggiungere gli obiettivi strategici di lungo termine e, allo stesso tempo, evitare una guerra con la Russia, gli Stati Uniti lo adotterebbero. Purtroppo, però, quest’opzione non esiste, ed è per questo che, in un prossimo futuro, ci sarà uno scontro tra questi due avversari, entrambi dotati di armi nucleari.

Mi spiego: l’Amministrazione Obama sta cercando di riequilibrare la politica statunitense per spostare il focus dell’attenzione generale dal Medio Oriente all’Asia che, nel prossimo secolo, dovrebbe essere la regione a più rapida crescita. Questa nuova politica viene chiamata “pivot in Asia”.

Per poter beneficiare dell’onda di crescita asiatica, gli Stati Uniti prevedono di rafforzare la propria presenza in quel continente aumentando le basi militari, rafforzando le alleanze bilaterali e gli accordi commerciali, assumendo infine la guida della sicurezza regionale.

Lo scopo non-così-segreto di questa politica è il “contenimento” della Cina. Washington, in altre parole, vuole conservare la sua posizione di unica superpotenza mondiale, controllando la crescita esplosiva di quel paese – gli Stati Uniti vogliono una Cina debole e divisa, che faccia quello che le viene detto di fare.

Per raggiungere i suoi obiettivi in Asia, gli Stati Uniti devono spingere la NATO ancor più verso est, stringendo l’accerchiamento sulla Russia per controllare il flusso da est ad ovest del petrolio e del gas. Sono questi i presupposti necessari a che gli Stati Uniti abbiano un ruolo egemonico sul continente.

Ed è per questo che l’Amministrazione Obama ha investito così tanto nella goffa “giunta” di Kiev: è perché Washington ha bisogno delle truppe d’assalto neo-naziste di Poroshenko per spingere la Russia in un conflitto in Ucraina, screditando Putin agli occhi dei suoi partners commerciali dell’Unione Europea e creando il pretesto per dispiegare le forze della NATO al confine occidentale della Russia.

L’idea che le forze armate che agiscono in Ucraina su procura di Obama stiano difendendo la sovranità di quel paese è un puro nonsense. Quello che si muove sotto la superficie è il tentativo degli Stati Uniti di scongiurare il loro irreversibile declino economico (con una quota sempre più ridotta del PIL globale) attraverso la forza militare.

Quello che stiamo vedendo in Ucraina, oggi, è la versione del 21° secolo del “Great Game” (la contrapposizione tra servizi segreti e diplomazie nell’area del Medio Oriente e dell’Asia Centrale che ha avuto luogo nell’Ottocento e nel primo Novecento, ndt), attuato da politici fancazzisti e da gruppi di fanatici che pensano di poter tornare al periodo di massimo splendore dell’impero statunitense, quello post 2° Guerra Mondiale, quando il mondo era l’ostrica dell’America. Quel periodo, per fortuna, è finito.

Tenete bene a mente … i gloriosi militari statunitensi hanno trascorso gli ultimi 13 anni a combattere dei pastori di greggi in Afghanistan nell’ambito di un conflitto che, nella migliore delle ipotesi, potremmo dire che si trovi in una situazione di stallo ed ora, nonostante questo, la Casa Bianca vuol muovere una guerra contro la Russia?

Comprendete quanto sia folle questa politica?

E’ questa la ragione per cui la scorsa settimana è stato licenziato il Segretario alla Difesa Chuck Hagel. Perché non era molto convinto di dover perseguire una folle politica di escalation nelle guerre in Afghanistan, Iraq, Siria ed Ucraina. Tutti sanno che è così, l’Amministrazione Obama non ha nemmeno provato a negare.

Preferisce andare avanti con dei buffoni con la bava alla bocca, come Susan Rice e Samantha Powers, piuttosto che con un veterano decorato al valore. C’è maggiore credibilità ed intelligenza nel suo solo mignolo, che in tutti quelli che fanno parte del “team per la sicurezza nazionale” di Obama, messi assieme.

Così, ora, Obama è completamente circondato da rabbiosi ed imbecilli guerrafondai, sostenitori della favola che gli Stati Uniti debbano spazzar via la Russia, rimuovere Assad, ridisegnare la mappa del Medio Oriente, controllare il flusso del gas e del petrolio fra l’Europa Orientale ed i mercati dell’Unione Europea e, infine, creare una miriade di teste di ponte in tutta l’Asia, per mantenere uno stretto controllo sulla crescita della Cina.

Cari lettori – ditemi voi – tutte queste cose non vi sembrano un tantino improbabili?

Ma la claque di Obama, naturalmente, pensa che tutto ciò sia alla sua portata, perché è quello che le è stato detto di pensare, perché è quello che gli Stati Uniti devono fare se vogliono mantenere la loro posizione di unica superpotenza mondiale, nonostante il suo spessore economico nel mondo sia in costante declino.

Vedete? E’ questo il punto: la nazione “eccezionale” sta diventando sempre più “non-eccezionale”, ed è questo ciò che preoccupa la classe politica, perché sta vedendo una scritta sul muro, e questa scritta dice: “goditela finché dura, amico mio, perché non sarai ancora a lungo il numero uno”.

Ed è la stessa cosa per gli alleati degli Stati Uniti in questa stravagante crociata, in particolare Israele e l’Arabia Saudita. I sauditi sono stati particolarmente utili, ultimamente, inondando il mercato di petrolio, per spingere i prezzi verso il basso e schiacciare l’economia russa – Venerdì scorso i prezzi del greggio hanno toccato il minimo degli ultimi quattro anni. Il Brent è crollato a 69,11 dollari al barile.

L’Amministrazione Obama sta usando il classico uno-due, costituito dalle sanzioni economiche e dal far precipitare i proventi derivati dal petrolio, per costringere Mosca a ritirarsi dalla Crimea, in modo che Washington possa schierare il suo arsenale nucleare alla distanza di uno sputo da Mosca. Ecco un po’ di retroscena proposti dal Guardian:
“Pensate a com’è che l’Amministrazione Obama vede la situazione nel mondo. Vuole che Teheran rinunci al suo programma nucleare e che Vladimir Putin faccia marcia indietro nell’Ucraina Orientale.

Ma, dopo le recenti esperienze in Iraq e in Afghanistan, la Casa Bianca non ha alcun desiderio di “mettere sul terreno” gli stivali degli americani. Ed allora, con l’aiuto del suo alleato saudita, Washington sta cercando di ridurre il prezzo del petrolio, inondando di greggio un mercato già debole. Visto che i russi e gli iraniani sono fortemente dipendenti dalle esportazioni di petrolio, l’ipotesi è che diventeranno più facili da affrontare.

Il Segretario di Stato americano, John Kerry, avrebbe raggiunto un accordo con Re Abdullah lo scorso mese di Settembre, in base al quale i sauditi avrebbero venduto il loro greggio al di sotto del prezzo di mercato. Tutto ciò contribuirebbe a spiegare perché il prezzo è in calo, dal momento che, viste le turbolenze in Iraq e in Siria causate dallo Stato Islamico, dovrebbe al contrario essere in aumento” (Stakes are high as US plays the oil card against Iran and Russia, Larry Eliot, Guardian)

Ma c’è di più. Dal Salon’s Patrick L. Smith:

“A meno di una settimana dalla firma del protocollo di Minsk, Kerry ha fatto un viaggio (poco notato) a Jeddah, per incontrare il Re Abdullah nella sua residenza estiva. Quando ne è stata data notizia, esso è stato presentato come un viaggio facente parte della campagna di Kerry volta alla ricerca del sostegno arabo nella lotta contro lo Stato Islamico.
Soffermiamoci su questo punto. Le mie fonti, come sempre affidabili, mi dicono che in quella visita non era in gioco soltanto questo. L’altra metà ha avuto a che fare con l’irriducibile volontà di Washington di rovinare l’economia russa.
Per ottenere tutto questo Kerry ha detto ai sauditi di aumentare la produzione e di tagliare il prezzo del greggio. Tenete a mente questi numeri: per raggiungere il pareggio del bilancio nazionale ai sauditi sarebbe sufficiente vendere un barile di petrolio a meno di 30 dollari, i russi hanno bisogno, invece, di almeno 105 dollari.
Poco dopo la visita di Kerry i sauditi hanno cominciato ad aumentare la produzione per più di 100.000 barili al giorno in quel che restava del mese di Settembre. Sembrerebbe ancora di più nei mesi successivi …
Soffermiamoci un attimo su questo. L’inverno sta arrivando ed in sovrappiù ci sono, in questo momento, dei gravi problemi di produzione in Iraq, Nigeria, Venezuela e Libia. Ma, mentre gli altri membri dell’OPEC gridano di gioia, i sauditi, incredibilmente, spingono i prezzi ancora più in basso (invece di godersi l‘aumento, ndt)? Fateli voi un po’ di conti, tenendo a mente il non dichiarato viaggio di Kerry.
Per aiutarvi a farli, propongo questa dichiarazione tratta da una certa fonte, decisamente ben posizionata nei mercati delle materie prime: “In questo momento ci sono molte grandi mani che stanno pompando petrolio sui mercati globali”. (What Really Happened in Beijing: Putin, Obama, Xi And The Back Story The Media Won’t Tell You,, Patrick L. Smith, Salon)

Il team di Obama è riuscito a convincere i nostri buoni amici dell’Arabia Saudita ad inondare il mercato con il suo petrolio, per abbassarne i prezzi e far precipitare l’economia russa.

Allo stesso tempo gli Stati Uniti hanno intensificato le sanzioni economiche, facendo tutto quanto in loro potere per sabotare l’oleodotto South Stream della Gazprom (che avrebbe bypassato l’Ucraina e fornito gas naturale all’Europa attraverso un percorso a sud), persuadendo infine il parlamento ucraino a mettere all’asta, fra società straniere a proprietà privata, il 49% dei diritti di leasing e degli impianti di stoccaggio sotterraneo.

Vi piace tutto questo? Gli Stati Uniti hanno lanciato contro la Russia una guerra economica in piena regola, la cui esistenza è stata completamente ignorata dai media occidentali. Ne siete sorpresi?

Washington è determinata a bloccare l’ulteriore integrazione economica fra Russia ed Unione Europea, per comprimere l’economia russa e mettere la distribuzione regionale dell’energia sotto il controllo dei capitali stranieri. E’ tutta una questione di “pivot asiatico”. I grandi capitalisti pensano che gli Stati Uniti debbano far perno sull’Asia per continuare ad essere degli importanti players anche nel prossimo secolo. Tutti i folli ed ingiustificati attacchi contro Mosca si basano su questa strategia.

Ma i cittadini dell’Unione Europa non si arrabbieranno quando non potranno più ottenere l’energia di cui hanno bisogno (ai prezzi che essi vogliono) per portare avanti le loro attività e riscaldare le loro case?

Washington non la pensa così. Washington pensa che suoi alleati in Medio Oriente possano essere in grado di soddisfare il fabbisogno energetico dell’Unione Europea senza alcuna difficoltà. Possiamo scoprirlo da questo brano tratto da un articolo dell’analista F. William Engdahl:

“… stanno emergendo i dettagli di un nuovo, segreto e stupido accordo fra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, riguardo la Siria ed il cosiddetto IS. Consiste nel controllo del petrolio e del gas di tutta la regione, ed inoltre nell’indebolimento della Russia e dell’Iran attraverso l’inondazione del mercato mondiale con petrolio saudita a buon mercato ….
L’11 Settembre il Segretario di Stato americano John Kerry ha incontrato il Re saudita Abdullah nel suo palazzo sul Mar Rosso. Il Re ha invitato a partecipare l’ex capo dell’intelligence saudita, il Principe Bandar.
E’ stato messo a punto un accordo che prevede il sostegno saudita agli attacchi aerei siriani contro l’ISIS, a condizione che Washington appoggi i sauditi nel rovesciare Assad – un fermo alleato della Russia e, de facto, dell’Iran – un ostacolo ai piani dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti per controllare il mercato europeo del gas naturale e distruggere al contempo il redditizio commercio fra Russia ed Unione Europea.
Un articolo del “Wall Street Journal” ha osservato che “dopo mesi di lavoro dietro le quinte, gli Stati Uniti ed i leaders arabi hanno concordato sulla necessità di dover cooperare contro lo Stato Islamico, ma non sul come o sul quando.
La situazione ha dato ai sauditi la leva per ottenere un rinnovato impegno degli Stati Uniti ad intensificare l’addestramento dei ribelli che combattono Assad, la cui scomparsa viene considerata dai sauditi una priorità assoluta” (The Secret Stupid Saudi-US Deal on Syria, F. William Engdahl, BFP)

Le guerre in Ucraina ed in Siria non sono nella realtà dei conflitti separati da tutto il resto. Fanno parte entrambe della stessa guerra globale che gli Stati Uniti hanno messo in atto nell’ultimo decennio e mezzo per il controllo delle risorse.
Gli Stati Uniti prevedono di tagliare il flusso del gas russo e sostituirlo con il gas proveniente dal Qatar, attraverso un gasdotto che passerebbe attraverso la Siria per raggiungere infine il mercato dell’Unione Europea, dopo naturalmente che Assad sia stato rovesciato.

Ecco, quindi, quello che sta succedendo: i problemi della Siria sono cominciati subito dopo che questo paese aveva annunciato che nel suo territorio sarebbe passato un “gasdotto islamico”, che avrebbe trasportato gas naturale dal giacimento di South Pars (al largo delle coste dell’Iran) al lucroso mercato dell’Unione Europea, passando attraverso l’Iraq, la Siria e la Grecia. Secondo l’autore Dmitri Minin:

“Un gasdotto proveniente dall’Iran sarebbe stato estremamente vantaggioso per la Siria. Anche l’Europa avrebbe avuto da guadagnarci, ma è chiaro che a qualcuno, in Occidente, non piaceva. Non erano molto contenti neanche i produttori di gas del Golfo Persico (alleati dell’Occidente), e non lo era nemmeno l’aspirante n. 1 al trasporto del gas, la Turchia, che sarebbe stata tagliata fuori dal gioco” (The Geopolitics of Gas and the Syrian Crisis: Syrian “Opposition” Armed to Thwart Construction of Iran-Iraq-Syria Gas Pipeline, Dmitri Minin, Global Research)

Due mesi dopo che Assad aveva firmato l’accordo con l’Iraq e con l’Iran, è scoppiata la ribellione in Siria. E’ una strana coincidenza, vero? E’ divertente constatare come questo tipo di cose spesso accadano quando i leaders stranieri non marciano in sintonia con Washington. E Minin continua:

“Il Qatar sta facendo tutto il possibile per contrastare la costruzione del gasdotto, armando i combattenti dell’opposizione in Siria, molti dei quali provengono dall’Arabia Saudita, dal Pakistan e dalla Libia …
Il quotidiano arabo Al-Akhbar cita delle informazioni secondo le quali ci sarebbe un piano, approvato dal governo degli Stati Uniti, per creare un nuovo gasdotto che vada dal Qatar all’Europa, coinvolgendo la Turchia ed Israele …
Questo nuovo gasdotto dovrebbe aver inizio nel Qatar e, dopo aver attraversato il territorio saudita e quello della Giordania (aggirando l’Iraq sciita) raggiungerebbe la Siria. Vicino ad Homs il gasdotto dovrebbe ramificarsi in tre direzioni: verso Latakia, Tripoli (nord del Libano) e la Turchia.
Homs, nel cui territorio ci sono anche delle riserve di idrocarburi, è il crocevia del progetto. Non è certo sorprendente che i combattimenti più feroci si stiano svolgendo proprio in questa città.
E’ qui che si sta decidendo il destino della Siria. Le parti del territorio siriano nelle quali stanno operando i distaccamenti dei ribelli (con l’appoggio degli Stati Uniti, del Qatar e della Turchia), ovvero i territori del nord, di Homs e dei dintorni di Damasco, coincidono con il percorso che il gasdotto dovrà seguire per dirigersi verso Tripoli (Libano) e la Turchia.
Un confronto fra la mappa dei luoghi in cui operano i ribelli e quella del tracciato del gasdotto (dal Qatar), indica con chiarezza il legame esistente fra le attività armate e la necessità di dover controllare questi territori siriani.
Gli alleati del Qatar stanno cercando di raggiungere tre obiettivi: spezzare il monopolio del gas russo in Europ; liberare la Turchia dalla dipendenza dal gas iraniano; dare ad Israele la possibilità di esportare il suo gas verso l’Europa via terra, a costi inferiori”.

Comunque sia, si tratta senz’altro di un’altra coincidenza: “I combattimenti più feroci (in Siria) stanno avendo luogo nei territori dotati di enormi riserve di idrocarburi e lungo il tracciato del gasdotto”.

Il conflitto in Siria non ha conseguentemente niente a che vedere con il terrorismo. Si tratta di gas naturale, di condotte e di accesso ai mercati dell’Unione Europea. Si tratta di soldi e di potere. L’intera questione dell’ISIS non è che una grande bufala per nascondere ciò che sta realmente accadendo: una guerra globale per il controllo delle risorse, ovvero di sangue in cambio di petrolio.

Ma quali sono i benefici che gli Stati Uniti traggono da tutta questa storia? Le entrate del gas, dopo tutto, vanno al Qatar ed ai paesi di transito, certo non agli Stati Uniti.

Sì, questo è vero. Ma il gas sarà denominato in dollari, e questo fatto servirà a puntellare la domanda di questa moneta e conseguentemente il sistema di riciclaggio dei petrodollari, che creerà a sua volta un vasto mercato per il debito degli Stati Uniti, contribuendo alla sopravvivenza delle sue azioni e delle sue obbligazioni.

E questo è tutto. L’obbiettivo è quello di conservare la supremazia del dollaro, forzando le nazioni a detenere quantità enormi di dollari da utilizzare nelle transazioni energetiche ed al servizio del debito (denominato in dollari).
Finché Washington sarà in grado di controllare le forniture energetiche mondiali, costringendo il mondo a commerciare in dollari, potrà spendere molto di più di ciò che produce, senza essere chiamata a risponderne. E’ come possedere una carta di credito che poi non devi pagare.

E’ questo il racket che lo Zio Sam è pronto a difendere con tutto quello che ha, comprese le armi nucleari.

Mike Whitney

Fonte: www.counterpunch.org

Link: http://www.counterpunch.org/2014/12/01/defending-dollar-imperialism/

1.12.2014

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCO

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