LA DEMOCRAZIA

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DI MIGUEL MARTINEZ

kelebeklerblog.com

Democrazia è una parola che mi piace poco, vista la giusta antipatia che ispira la maggior parte di coloro che la usano in pubblico.

Però qualcosa significa.

La “democrazia” esiste in antitesi a un altro tipo di potere: la “oligarchia”.

Nella foto: militanti francesi del Bloc Identitaire

La democrazia significa il potere di tanti, che però non hanno mezzi economici, e che si difendono contro il potere di pochi, che invece sono dotati di mezzi economici.

E’ un conflitto continuo, complesso, incessante, dove si passa facilmente di campo, e che non si risolverà mai, perché non si risolverà mai il conflitto tra egoismo e solidarietà, semplicemente perché entrambi fanno parte di quella cosa complessa che chiamiamo ancora “natura umana”.

Per parlare di “democrazia”, deve esistere un “demos”, diciamo un “popolo”.

Gli enti collettivi – tipo popolo o italiani – sono sempre un po’ dei fantasmi, però anche gli individui sono fantasmi. Tutti siamo compenetrati dalla vita che ci circonda, dall’aria che respiriamo, dai genitori che ci hanno dato la lingua con cui ci esprimiamo, dai paesaggi in cui cresciamo, e anche dalle cose nuove che viviamo.

Con un trucco semantico, ci fanno credere di vivere il trionfo della democrazia, nel momento del suo totale svuotamento.

Cosa c’è di più democratico, del diritto di ogni singolo individuo di scegliere il prodotto che vuole trovare al supermercato, di spostarsi alla ricerca di una nuova casa se viene sfrattato da quella vecchia, di diventare miliardario se ci riesce?

Se ricordiamo la semplice etimologia della parola demo-crazia, comprendiamo che non significa “fare ciò che abbaglia la maggioranza degli individui in qualunque momento”. Demo-crazia significa, potere del popolo.

Ora, l’insieme di tutti i consumatori del pianeta che si fanno i fattacci loro non sono un “popolo”.

Gli individui, allo stato ultimo, sono atomi fluttuanti di gas.

Questi atomi possono proseguire nello spazio in solitudine. Nulla di male, ma proprio per questo non possono costituire alcun demos e quindi avere alcuna forza.

Oppure possono stabilire legami transitori unicamente con chi è quasi identico a loro.

Pensiamo a cosa significa, perché spiega un paradosso fondamentale dei nostri tempi.

Esattamente mentre si parla di globalizzazione e di apertura mentale, gli esseri umani si trovano liberi di scegliere i ghetti in cui rinchiudersi.

Che si tratti di amanti dei giochi di ruolo, di omosessuali, di neonazisti, di appassionati di libero mercato, di stalinisti, di islamisti, di cultori dell’ultima puntata di una telenovela, di intellettuali di sinistra, di tifosi della Juve, di portatori di tatuaggi di uno specifico tipo, di frequentatori di centri sociali… i mondi si chiudono, e spessissimo si chiudono attorno a un’identità costruita volutamente da qualche oligarca a maggior gloria di qualche marchio.

In questi mondi chiusi, il destino di chi non appartiene al proprio ghetto diventa sommamente indifferente, mentre assumono un valore assoluto gli elementi simbolici che creano identità.

Il cattolico integralista e il militante omosessuale reagiscono alla stessa maniera alla pur minima presunta offesa ai loro simboli identitari. La vignetta di Charlie Hebdo, la battuta omofoba, il crocifisso rimosso da un’aula, la negazione dell’Olocausto su un sito web con dieci frequentatori…

Al contrario, il destino sociale viene vissuto come un fatto inevitabile, opere delle ineluttabili “forze del mercato”, secondo il principio statunitense per cui se perdi il lavoro a Chicago, te ne vai a Houston nella speranza di essere sfruttabile da qualcun altro.

Erroneamente, noi attribuiamo la colpa del sistema dei ghetti, alle singole realtà che vengono risucchiate nei ghetti, e che casualmente sono quelle che per qualche motivi ci stanno antipatiche: ce la prendiamo con “i razzisti”, con “la lobby gay”, con “gli immigrati”, con “le femministe”, con i “clericali”, senza cogliere il senso complessivo.

Ecco perché diventa difficile per molti anche immaginare che cosa possa essere un popolo. I difensori dello status quo si scagliano contro il popolo, riempiendolo delle loro ossessioni personali (popolo come “proletari” oppure come “destino di sangue”).

In realtà, il popolo è semplicemente l’insieme dei rapporti spontanei e reali con le persone e i luoghi che abbiamo realmente attorno.

Un popolo è necessariamente plurale, perché tutti sono costretti quotidianamente a confrontarsi con persone diversissime da loro e cercare di cogliere soprattutto ciò che li unisce: si sa che Salvatore ha l’accento napoletano ed è evangelico, Giovanni fa l’artista alternativo e probabilmente è omosessuale, Marina è cattolica praticante e va in pellegrinaggio a Medjugorje, Serena è comunista atea e Ahmad non mangia il maiale.

Ma se le idee o gli hobby personali o la vita privata ci dividono, ci unisce la vita vissuta, esattamente al contrario delle comunità tribali di evangelici, artisti gay, cultori della Madonna di Medjurgorje, marxisti in contatto telepatico con la classe operaia planetaria e islamisti radicali.

La democrazia reale non è altro che battersi, concretamente, per le persone e i luoghi reali che abbiamo attorno a noi, sapendo che tutto cambia, ma non deve necessariamente cambiare proprio nel modo in cui vorrebbe chi intende mangiarci vivi.

Pensando a come crescere insieme i nostri figli e i loro, imparando da persone reali anche se magari hanno avuto vite totalmente diverse dalle nostre, non assecondando i capricci – che è demagogia e non democrazia – , ricucendo le ferite, e creando uno scudo di affetti e di allegria, senza rancori, contro gli oligarchi.

Miguel Martinez

Fonte: http://kelebeklerblog.com

Link: http://kelebeklerblog.com/2016/01/16/la-democrazia/

16.01.2016

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