LA CINA HA IL CONTROLLO DEL PUZZLE AFGHANO ?

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DI PEPE ESCOBAR

rt.com

Proprio come Lazzaro, ci sono ragioni di pensare che il processo di pace in Afghanistan possa essere stato resuscitato lo scorso lunedì ad Islamabad, dato che quattro importanti attori della scena – Afghanistan, Pakistan, USA e Cina – si sono messi a sedere allo stesso tavolo.

L’esito finale, in ogni caso, non è stato di certo strabiliante: “I partecipanti hanno posto enfasi sull’immediata necessità di un dibattito diretto tra i rappresentanti del Governo afghano e quelli dei gruppi talebani in processo di pace che punti a preservare l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale in Afghanistan.”

Una settimana prima del meeting di Islamabad, mentre ero nel Golfo Persico, ho fatto un’illuminante chiacchierata con un gruppo di Pashtun afghani. Dopo aver rotto il ghiaccio e aver messo in chiaro che non sono un surrogato di Sean Penn con loschi fini, i miei interlocutori hanno sganciato la bomba. Mi sembrava di essere tornato a Peshawar nel 2001, pochi giorni dopo l’11 settembre.

Il primo colpo è stato che due ufficiali talebani, attualmente stanziati in Qatar, stanno per incontrare faccia a faccia inviati di spicco cinesi e pakistani , sena interferenze statunitensi. Ciò calza a pennello della strategia dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), guidata da Cina e Russia, secondo cui il puzzle afghano deve essere risolto per la questione asiatica che rappresenta. Pechino vuole assolutamente una soluzione rapida, per iniziare il capitolo afghano delle nuove vie della seta.

La guerra del post 11 settembre prosegue ormai da 14 anni, ispirandosi al pentagonese “Enduring Freedom Forever” [Libertà che duri per sempre, NdT]. Non ci sono vincitori – e i Talebani sono più divisi che mai dopo che lo scorso tentativo di pacificazione era crollato in seguito all’annuncio che il Mullah Omar era morto da due anni.

La buona vecchia “profondità strategica”

Tutto ruota ancora attorno all’interconnessione tra Kabul e Islamabad.

Prendete le altalenanti mosse del CEO afghano Dr. Abdullah Abdullah. Si destreggia tra Teheran – dove sostiene che il terrorismo sia una minaccia sia per l’Iran sia per l’Afghanistan – e Islamabad, dove discute dei segreti per ottenere la pace con gli ufficiali pakistani.

Il Primo Ministro pakistano Nawaz Sharif, dal canto suo, non perde mai l’occasione di sottolineare la sua dedizione all’ottenimento della pace e dello sviluppo economico dell’Afghanistan.

Quando un tentativo per ottenere la pace era realmente stato intrapreso – informalmente – a Doha, nel 2012, comprendendo 12 ufficiali talebani, questi si erano infuriati perchè Kabul stava privilegiando il rapporto con Islamabad. La posizione degli ufficiali talebani è che questi sono politicamente – e militarmente – indipendenti da Islamabad.

Come hanno sottolineato le mie fonti pashtun, molta gente in Afghanistan non sa cosa farsene delle chiacchiere tra Kabul e Islamabad, soprattutto di ciò che vedono come pericolose concessioni, come far addestrare i giovani dell’esercito afghano in Pakistan.

Islamabad fa un gioco ad alto rischio. Il gruppo Haqqani – che Washington definisce terrorista – si rifugia nelle aree tribali del Pakistan. I Talebani che si siedono al tavolo della pace possono essere influenzati dal Pakistan, che mantiene forte potere tra i più vicini al nuovo leader, il Mullah Akhtar Mansoor.

I miei interlocutori pashtun sono inamovibili: non si può fare distinzione tra i Talebani e l’ISI. La loro alleanza strategica non è mai stata sciolta. Tutti i Talebani di Doha sono legati all’ISI.

D’altro canto, sembra esserci una repentina svolta per quanto riguarda l’esercito pakistano e l’ISI (che sa tutto quello che c’è da sapere ed è complice di quanto accade riguardo i Talebani). Il mese scorso, il capo dell’esercito pakistano Generale Raheel Sharif si è recato di persona in Afghanistan, ciò può significare che l’esercito privilegia una vera pace sul campo invece di manipolare l’Afghanistan come una pedina della “profondità strategica” pakistana.

Attenzione: gasdotto in vista

Quindi, in concreto, il dibattito afghano resta in essere. L’Hezb-i-Islami Afghanistan (HIA), guidato da Gulbuddin Hekmatyar – un altro membro della Top 10 dei terroristi secondo gli USA – ha interesse nella pace. Ma l’HIA sostiene che questa deve essere portata avanti dall’Afghanistan – ovvero non ci deve essere interferenza pakistana. Chiaramente punta ad un futuro ruolo di comando.

La trama si infittisce quando si passa dai Talebani alle prime linee di Daesh in Afghanistan. Per quelli vicini all’ex Presidente Hamid Karzai, ovvero l’ex “sindaco di Kabul” (visto che non controllava altro), Daesh è un prodotto della politica estera di Islamabad, per avere pieno accesso all’Asia centrale ricca di risorse energetiche , alla Cina e alla Russia.

Tutto ciò sembra piuttosto inverosimile se si guarda a quanto sta realmente accadendo in Gasdottistan.

Kabul si è impegnata per un’enorme forza di sicurezza da 7.000 uomini per difendere il tratto afghano del gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) – 1.800km, valore di 10 miliardi di dollari – sempre che questo venga realmente temrinato entro dicembre 2018. Ottimisticamente, il lavoro per liberarne il passaggio – rimozione delle mine inclusa – inizierà in aprile.

Il Presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov ha già ordinato alle compagnie statli Turkmengaz e Turkmengazneftstroi di iniziare a costruire il tratto turkmeno di 214km del TAPI. Il gasdotto avrà un tratto di 773km in Afghanistan e uno di 827km in Pakistan, prima di entrare in territorio indiano. Cosa salterà fuori da questo casino entro il 2018 è ancora da vedersi.

Dov’è la mia eroina?

Nel frattempo cosa fa la CIA?

L’ex direttore della CIA Michael Morell sostiene: “Il riaffioramento dell’Afghanistan è una questione importante” quindi “il dibattito su quante truppe gli USA debbano lasciare sul campo è da riaprirsi”.

Il Pentagono da parte sua sostiene la necessità di 10.000 uomini sul campo. Il maggiore comandante della NATO in Afghanistan, Generale John Campbell, vuole i suoi 10.000 e una vendetta: “Il mio intento sarebbe di ottenere il massimo possibile, per il maggior tempo possibile”. Enduring Freedom Forever, per l’appunto – come il Pentagono è stato costretto ad ammettere, ufficialmente, che le forze di sicurezza afghane non sono in grado di “operare in piena indipendenza” nonostante un roboante investimento da parte di Washington, che dal 2002 è costato più di 60 miliardi di dollari.

Gli ultimi report del Pentagono parlano di una sicurezza in crollo, il che ci riporta a Helmand.

Solo alcuni giorni prima del meeting di Islamabad, le forze speciali statunitensi a supporto delle truppe afghane sono state coinvolte in un tremendo conflitto a fuoco con i Talebani a Helmand. Il portavoce del Pentagono Peter Cook, in neolingua, non l’ha definito “combattimento” – ma piuttosto una missione di “addestramento, supporto ed assistenza”.

Il controllo talebano del territorio afghano da parte dei Talebani è maggiore che nel 2001 – non meno di quattro distretti di Helmand. I civili restano vittime del fuoco incrociato e il supporto aereo e le forze speciali USA ad Helmand vengono identificati come sorveglianza.

Alla fine, tutto torna ad Helmand. Perchè proprio Helmand? I miei interlocutori pashtun si sono sbottonati e hanno affermato con un sussurro: tutto ruota attorno alle implicazioni della CIA con il traffico di eroina in Afghanistan “Gli Statunitensi semplicemente non possono mollare”.

Ci stiamo introducendo in un nuovo capitolo dell’epica del gas e dei papaveri nel cuore dell’Eurasia. I Talebani, divisi o no, se ne sono venuto fuori con la loro ultima condizione: nessun contatto con Kabul fino a che non abbiano ottenuto un contatto diretto con Washington. Dal punto di vista talebano, ha senso. Gasdottistan? Ok, ma noi vogliamo la nostra fetta della torta (sempre la stessa storia fin dai tempi dell’amministrazione Clinton). Eroina della CIA? Va bene, possono tenerla, ma noi vogliamo la nostra fetta della torta.

I miei interlocutori pashtun, prima di imbarcarsi su un volo per Peshawar, hanno snocciolato i loro obiettivi. Vogliono che il loro ufficio in Qatar – proprio un bel palazzo – venga ufficialmente riconosciuto come rappresentanza dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan: il nome della nazione dal 1996 al 2001. Vogliono che l’ONU – per non parlare degli USA – rimuova i Talebani dalla lista dei terroristi più ricercati. Vogliono inoltre che tutti i prigionieri talebani siano liberati dalla prigioni afghane.

Succederà? Ovviamente no. È compito di Pechino trovare una soluzione win-win.

Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Può essere contattato a [email protected].

Fonte: https://www.rt.com

Link: https://www.rt.com/op-edge/328912-afghan-puzzle-us-taliban/

14.01.2016

Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione FA RANCO

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