LA BREXIT VISTA DAL CREMLINO

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DI DANIELE SCALEA E ENRICO MARIUTTI

ilfoglio.it

Il “no” di Londra all’Ue rischia di rivelarsi un boomerang per Putin. Se da un lato Mosca sogna la polverizzazione dell’Ue, dall’altro ha incassato un colpo duro per gli investitori russi nel Regno Unito (con l’incognita del prezzo del petrolio).

Vladimir Putin ha presumibilmente accolto la notizia della vittoria della Brexit con un misto di soddisfazione e inquietudine. Soddisfazione per gli scenari politici che si aprono, inquietudine per quelli economici. Con ogni probabilità, il suicidio politico di David Cameron non ha turbato più di tanto il Cremlino.

Tra il premier britannico e il presidente russo non scorre buon sangue: durante la campagna elettorale per la Brexit, Cameron aveva agitato lo spauracchio Putin per convincere gli elettori a votare per il Bremain. E Mosca si è subito vendicata infierendo su Cameron dopo i risultati referendari. Al di là della complessa relazione interpersonale tra Putin e Cameron, tradizionalmente la Russia e la Gran Bretagna non vanno d’accordo. E ciò non da oggi, ma da secoli, a dispetto del fatto che si siano ritrovate alleate in momenti storici fondamentali come le guerre a Napoleone, a Guglielmo II e e Hitler. Le schermaglie diplomatiche tra Londra e Mosca negli ultimi anni sono state frequenti, e l’ultimissimo capitolo in ordine di tempo è la forte sponsorizzazione britannica al rinnovo delle sanzioni anti russe.

La posizione politica della Gran Bretagna in seno all’Unione Europea si indebolirà prima ancora che si concretizzi la Brexit. Sebbene una grossa parte delle decisioni strategiche sarà presa a livello Nato, dove la Brexit peserà poco o nulla, a livello Ue il fronte anti-russo sta per perdere il suo capofila. Questo fronte rimarrà nutrito, con Polonia, Svezia, Estonia, Lituania, Lettonia, ma è verosimile che farà fatica, senza Londra pronta ad affermare le sue ragioni oltranziste di fronte a Germania e Francia, talvolta (ma non sempre, si badi bene) inclini a un atteggiamento più indulgente verso Mosca.

Lo stesso scenario apocalittico di disintegrazione dell’Ue nel medio-lungo periodo (sicuramente non nel breve, perché oggi come oggi nessun altro popolo europeo imiterebbe il voto britannico), da un punto di vista strettamente politico, non dispiacerebbe oltremodo alla Russia. È vero che sopravvivrebbe la Nato, assai meno gradita a Mosca, ma il legame tra Europa occidentale e orientale si farebbe più flebile. Senza i benefici dell’adesione all’Ue, il richiamo occidentale diventerebbe molto meno forte, ad esempio per un paese in bilico come l’Ucraina. La Russia incontrerebbe minori resistenze nel tentativo di ricostruire una sua sfera d’influenza, quanto meno in Bielorussia e Ucraina, per acquisire profondità strategica sul fronte occidentale.

Dal punto di vista economico, la situazione è meno allettante per la Russia. La Brexit colpisce i tanti cittadini russi facoltosi che avevano investito in immobili di pregio a Londra, per un valore superiore a 5 miliardi di sterline. Per dare un’idea dell’incidenza russa in questo particolare mercato, si può citare uno studio del novembre 2014 realizzato dalla società immobiliare inglese Knight Frank, che registrava come nei sei mesi precedenti il 21 per cento delle cessioni di immobili di lusso avesse trovato acquirenti russi, per un valore di oltre 2 miliardi di sterline. A causa del ribasso della sterlina rispetto a euro e dollaro, e al peggioramento dell’outlook su economia e conti pubblici britannici, questi investitori russi vedranno ora svalutarsi il valore dei propri asset immobiliari, probabilmente del 20/25 per cento nel corso dell’anno.

Ma le conseguenze più imprevedibili e pericolose per l’economia russa sono indirette ed è estremamente complicato pronosticarne gli esiti. L’aumento della volatilità sui mercati internazionali di per sé penalizza i sistemi economico-finanziari più deboli, drenando gli investimenti verso i safe havens e i mercati più stabili e resilienti, innescando di conseguenza crisi di liquidità nei mercati marginali. La Russia, non potendo contare su un polo finanziario di livello internazionale, ha già dimostrato nel corso degli ultimi anni di essere piuttosto sensibile agli choc internazionali, quindi è probabile che la Banca centrale di Mosca sia costretta a monitorare la situazione con molta attenzione, preparandosi a intervenire nel caso sia necessario stabilizzare la moneta.

Inoltre, qualora la fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Unione europea dovesse innescare un processo di disintegrazione della Ue o produrre un ulteriore, significativo peggioramento degli outlook economici per l’area euro, insieme ad alcuni mercati emergenti entrerebbe sotto pressione il petrolio, materializzando i peggiori incubi della Banca centrale russa, che, nel corso degli scorsi mesi, ha già effettuato stress test con il prezzo del greggio a 25 dollari al barile. E così Putin ha ottenuto una vittoria politica, tra l’altro senza combattere: ha aspettato seduto sulla riva del fiume e ha visto passare davanti a sé il cadavere di Cameron. Il rischio, tuttavia, è che si tramuti in una sconfitta economica.

Daniele Scalea, analista geopolitico, è Direttore Generale dell’IsAG. Enrico Mariutti, analista economico, è collaboratore del medesimo Istituto.

Fonte: www.ilfoglio.it

Link: http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/07/11/brexit-russia-regno-unito-putin-petrolio___1-v-144279-rubriche_c125.htm

11.07.2016

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