L'11 SETTEMBRE E L'AMMINISTRAZIONE BUSH

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DI ANTONIO CARONIA

Qualche considerazione sul libro

David Ray Griffin, 11 settembre. Cosa c’è di vero nelle “teorie del complotto”, prefazioni di Richard Falk e Michael Meacher, tr. it. di Giuseppina Oneto, Fazi editore, Roma 2004, pp. 266, € 17,00

On line sul sito di Indymedia Canada

Capisco che sul pubblico italiano il titolo originale non avrebbe avuto lo stesso effetto, ma il sottotitolo deciso dall’editore Fazi è decisamente fuorviante. Il libro di Griffin, infatti, non si propone per nulla di dirci “che cosa c’è di vero nelle teorie del complotto” a proposito dell’11 settembre, ma solo di stabilire, in un numero di pagine decentemente accessibile a un lettore medio, che cosa c’è di contraddittorio, di disturbante, a volte di francamente improbabile, insomma di “sospetto,” nelle teorie ufficiali a proposito del crollo delle torri gemelle l’11 settembre 2001. E quindi di convincerci (di convincere in primo luogo il lettore Usa) che occorrerebbe una vera inchiesta indipendente (sufficientemente finanziata, condotta da commissari che non abbiano alcun legame con Bush e con i ributtanti membri della sua melmosa amministrazione) per stabilire che cosa accadde realmente quel giorno. La tesi del libro non è che il World Trade Center è stato fatto crollare dall’amministrazione Bush, e neanche che abbiamo sufficienti elementi per affermare la complicità della stessa amministrazione con i dirottatori, ma che abbiamo tutti i diritti di sospettare che qualcosa di simile all’una o all’altra di queste due ipotesi sia avvenuto, e che quindi dovremmo darci da fare di più per accertare la verità.Perché non è la prima volta che un potere costituito – tramite organismi istituzionalmente deputati ad agire nell’ombra, e perciò difficilmente controllabili, come i servizi segreti – organizza o tollera attentati, esplosioni, stragi, allo scopo di creare destabilizzazione e tensione nel paese (e quindi avere mano libera per un’attività repressiva su vasta scala), o di additare all’opinione pubblica un nemico reale o fittizio e di attribuirgli le colpe dei mali nazionali, per avere – anche in questo caso – le mani più libere per una politica aggressiva, per esempio per fare una guerra. Per restare all’Europa, abbiamo esempi illustri di questa tattica. L’incendio del Reichstag a Berlino nel 1933 diede il pretesto a Hitler e al Partito nazista per accusare dell’attentato la direzione del Partito comunista, decretare lo stato di emergenza e vincere le successive elezioni. In Italia, la bomba di piazza Fontana il 12 dicembre 1969 servì ad accusare gli anarchici, e in generale a creare un clima di sospetto attorno a tutto il movimento di lotta nelle scuole e nelle fabbriche – e anche se questo disegno delle ali più radicali dei neofascisti, dei servizi segreti e degli ambienti golpisti da cui nacque in seguito la P2 non potè realizzarsi pienamente, l’uso ambiguo che di quel clima fecero i governi democristiani dell’epoca contribuì almeno a rallentare e ad arginare la spinta dei movimenti.

Anche gli Stati Uniti hanno da dire la loro in questo campo, e l’episodio più noto è richiamato appunto nel titolo originale del libro di Griffin, che è The New Pearl Harbor. In molti sostengono (anche se, va detto, pochi storici ufficiali sono tra loro) che i piani per l’attacco giapponese alla Marina Usa del Pacifico il 7 dicembre 1941 erano ben noti da settimane (se non da mesi) all’amministrazione Usa, e che Franklin Delano Roosevelt, il presidente desideroso di entrare in guerra contro la riluttante opinione pubblica del suo paese, deliberatamente non fornì le informazioni necessarie ai comandanti della base delle Hawaii. Lo scopo? Provocare un massacro così eclatante che creasse in tutta la nazione un’ondata di sdegno e di collera, e quindi il consenso attorno alle scelte del presidente di dichiarare guerra al Giappone.
I complottisti, e comunque gli scettici sulla versione ufficiale, sostengono appunto che l’11 settembre è stato o direttamente provocato o artatamente usato da Bush e dalla sua squadra per giustificare le due successive guerre – quella in Afghanistan e quella in Iraq – e chissà quante altre successive, tutte già programmate e in preparazione da ben prima dell’11 settembre. Un piccolo numero di persone (in Usa e in Europa) si sono prodigate per mostrare analiticamente (e quando dico “analiticamente” intendo dire anche con un profluvio di elementi che spaventa) l’una o l’altra di queste due tesi. Per il sollazzo dei paranoici insonni elenco in calce all’articolo i principali libri e siti che documentano il lavoro di questo manipolo di ricercatori indipendenti. David Ray Griffin non è tra questi. Egli, come candidamente ma astutamente confessa nella prefazione, non aveva mai preso sul serio le tesi dei complottisti sino alla primavera 2003. Teologo, ex professore di filosofia della religione, Griffin si era rivolto da qualche anno allo studio dei processi, e in particolare dell’espansionismo americano nel XIX e XX secolo. Fu la mail di una sua amica che lo mise in contatto con alcuni siti web che esponevano le tesi “complottiste”, e qui Griffin rimase fulminato dalla mole del materiale prodotto e dalla verosimiglianza delle ipotesi avanzate da questi ricercatori.
Scoprendosi una vocazione e una capacità divulgativa – devo dire – veramente impressionante, Griffin si dedicò quindi per circa un anno al compito di ordinare e sintetizzare i materiali e le ipotesi di Paul Thompson, Nafeez Mossaddeq Ahmed, Michel Chossudovsky e Thierry Meyssan in un libro di agevole lettura. E c’è riuscito.

Io raccomando caldamente la lettura di questo libro a tutte le persone normali interessate a questo problema (cioè a coloro che non possono dedicarvi più del 5% del proprio tempo, e per un periodo limitato). In 11 settembre esse troveranno ordinatamente esposte tutte le argomentazioni che revocano in dubbio le risposte ufficiali all’11 settembre: dall’identità dei dirottatori alla mancata risposta dell’aviazione militare ai dirottamenti, dalle strane modalità del crollo delle due torri gemelle (e dell’edificio più piccolo noto come WTC-7) alle incongruenze della ricostruzione dell’attacco al Pentagono, dall’indisturbata fuga dagli Usa dei parenti di bin Laden nei giorni seguenti l’attentato ai continui intralci opposti alle indagini dalle direzioni di FBI e NSA, sino all’ambiguo ruolo dei servizi segreti pakistani. Non tenterò neppure di riassumerle qui perché sarebbe troppo lungo, e perché, obiettivamente, affrontare 198 pagine di testo e 60 di note è un compito alla portata di tutti coloro che sappiano e vogliano leggere. E chiunque abbia visto i primi venti minuti di Fahrenheit 9/11 di Michael Moore o abbia letto il suo ultimo libro, dovrebbe – mi sembra – volerlo fare.

Affronterò però brevemente, prima di chiudere, solo due problemi legati alle motivazioni per leggere o non leggere questo libro (più in generale, per interessarsi o no alle ipotesi alternative riguardo all’11 settembre). La prima questione è: perché perdere tempo a leggere Griffin, o i suoi ispiratori, se i problemi sono ben altri – se la malvagità o la pericolosità dell’amministrazione Bush non dipende tanto dal fatto che abbiano architettato alcunché attorno all’11 settembre, ma dal loro progetto imperiale di dominio sul mondo, dalla loro ideologia funestamente neoliberista e chi più ne ha più ne metta? Molto giusto. Su queste e altre nobilissime (lo dico ovviamente senza alcuna ironia) questioni di teoria politica, strategia e tattica, non si troverà naturalmente nulla in questo libro. Ma a chi sia già fornito di qualche rudimentale pensiero, intuizione o semplice convinzione su di esse, non sarà del tutto indifferente munirsi di qualche strumento in più per argomentare – con i colleghi davanti al cappuccino o con una mamma ai giardinetti – sulla pericolosità della squadra di petrolieri al comando degli Usa sino al prossimo mese (e forse anche per i prossimi quattro anni). E poi, non è proprio la stessa cosa se al comando degli Usa ci sono degli “onesti” neoliberisti o dei neoliberisti così accaniti e accecati dalla loro ideologia da programmare (o da consentire) la morte di migliaia di loro concittadini per giustificare le guerre che a loro interessano.

La seconda questione riguarda la prospettiva “politica” di Griffin. Che egli ci creda davvero o meno, tutto il libro ruota attorno al fervido auspicio che qualcuno (per esempio una commissione d’inchiesta realmente indipendente) “faccia luce” sui gravissimi problemi posti da Thompson e compagni, e da lui riassunti nel libro. Dato che i miei lettori sono europei, italiani, e presumibilmente (almeno in gran parte) avvezzi alle più sconce manipolazioni delle parti basse del potere, e anche alla congenita impossibilità di arrivare in questi casi a un qualunque straccio di verità “giuridica” – dato tutto questo non ho neppure bisogno di dire che l’auspicio di Griffin è degno di tutto il nostro scetticismo, e (se siamo in una serata in cui abbiamo allentato un po’ i vincoli del bon ton) dei nostri più convinti sghignazzi. Se anche davvero i padroni del mondo (multinazionali, transnazionali, servizi segreti e burocrazie statali un po’ più sgamate) avessero deciso che Kerry vinca e Bush perda nelle prossime elezioni americane (e devo dire che non ne sono poi così convinto), non hanno certo scelto la via più diretta, e cioè quella di un bello scandalo sull’11 settembre.

I tempi del Watergate sembrano lontani anni luce, e il libro di Griffin non dedica tutto lo spazio che meriterebbe al servilismo e alla strisciante mediocrità in cui galleggia il sistema informativo negli Stati Uniti e nel mondo – perché è principalmente colpa di televisioni e giornali se tutti gli elementi presentati dai “complottisti” non sono arrivati al grande pubblico. Ma, se devo dirla tutta, io non credo che le pesanti ombre sul comportamento dell’amministrazione Usa a proposito dell’11 settembre vadano agitate per richiedere una commissione d’inchiesta autorevole e indipendente. Anche se pezzi della società civile mondiale decidessero, indipendentemente dagli stati, di costituire una specie di “tribunale internazionale” come fu a suo tempo il Tribunale Russell sul Vietnam, esso non avrebbe in fondo molto peso – come in fondo non ne ebbe quello. Quello che continua a contare sono, naturalmente, le mobilitazioni, le azioni dirette, i gesti di disobbedienza civile, ma anche la guerriglia mediatica che, in fondo, è lo strumento informativo migliore di cui oggi disponiamo e insieme, forse, il nucleo di qualcosa che possa superare l’attuale marcio e asfissiante sistema dei media. Ecco, per un progetto del genere i materiali raccolti da Griffin sull’11 settembre possono essere utili. E per usarli non abbiamo certo bisogno di chiedere il permesso a lui o agli illusi della democratizzazione dell’informazione.

Le fonti della controinformazione sull’11 settembre:

Paul Thompson, “September 11: Minute-by-Minute,”

Paul Thompson, “Was 9/11 Allowed to Happen? The Complet Timeline,”
www.wanttoknow.info

www.cooperativeresearch.org

Nafeez Mossaddeq Ahmed, Guerra alla libertà. Il ruolo dell’amministrazione Bush nell’attacco dell’11 settembre, Fazi, Roma 2002.

Michel Chossudovsky, Guerra e globalizzazione. La verità dietro l’11 settembre e la nuova politica americana, EGA, Torino 2002.

Thierry Meyssan, L’incredibile menzogna. Nessun aereo è caduto sul Pentagono, Fandango, Roma 2002.

Thierry Meyssan, Il Pentagate, Fandango, Roma 2002.

Antonio Caronia
Fonte:www.socialpress.it
10.10.04

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