IL VOLTAFACCIA DI TSIPRAS: UNA RICOSTRUZIONE NON-COMPLOTTISTA

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DI LORENZO

Comedonchisciotte.org

Vorrei proporre una nuova spiegazione per l’enigmatico voltafaccia di Tsipras. La sua inversione di rotta a 180 gradi e l’accettazione di una versione molto peggiorata del memorandum d’intesa coi creditori, appena due giorni dopo aver clamorosamente vinto un referendum contro lo stesso referendum, hanno dato luogo a svariate interpretazioni.

Molte fra queste hanno carattere cospirazionista ovvero postulano oscure minacce provenienti dall’unione europea, o dai circoli dirigenti statunitensi, che avrebbero costretto il premier greco a invertire la rotta. Forse è invece possibile spiegare il tutto – o quantomeno una buona parte dell’insieme – a partire da ingredienti più semplici: le abitudini della politica greca, imbevuta di arrangioneria e corporativismo ancor più di quella italiana, la mediocrità delle attuali classi dirigenti e la piattezza di un’epoca appiattitasi sul culto dell’individualismo consumistico.

Lo spunto per l’interpretazione che segue mi è stato fornito dal seguente articolo:

http://bruxelles.blogs.liberation.fr/2015/08/24/alexis-tsipras-bon-politique-grec-mauvais-negociateur-europeen/

Vi si osserva, anche attingendo a testimonianze dei negoziatori europei, che durante le trattative Tsipras aveva l’abitudine di recedere dalle posizioni che aveva espresso non appena uno dei suoi aiutanti o consiglieri lo redarguiva che non doveva permettersi di fare questa o quella concessione. La conclusione di Moscovici: “non era un primo ministro, ma un semplice primus inter pares”. Syriza è – era – un’armata Brancaleone di movimenti eterogenei, con programmi e clientele elettorali divergenti. Oltretutto molte di queste componenti erano spinte dalla propria ideologia antiautoritaria a rifiutare per principio una gerarchia strutturata. I negoziatori europei – e questo è un discorso che in questi mesi è apparso frequentemente sulla stampa tedesca – dapprima sospettavano che questo atteggiamento nascondesse chissà quale sottigliezza negoziale; poi lo hanno sgamato per quel che era, cioè l’assenza caciottara di un proposito e di un piano d’azione chiaramente definito, che spingeva la dirigenza greca a muoversi a tentoni cercando di blandire questo o quel Paese e facendo concessioni a casaccio per poi spesso ritirarle il giorno dopo.

In questo contesto di partito-movimento privo di coerenza programmatica e organizzativa, abituato a muoversi fra gl’inciuci e le consorterie di stampo mediterraneo-mediorientale, la Fürerschaft di Tsipras si esauriva in una sfinente opera di mediazione fra le diverse correnti, cercando di promettere qualcosa a tutti e barcamenandosi fra divieti incrociati. Insomma Tsipras è un politico in senso greco verace – specie in considerazione del fatto che Atene è collocata più a sud di Napoli e di Palermo. Non è né ha mai cercato di essere un capo carismatico o un rivoluzionario stile Hitler o Lenin; solo un magistrale middleman dotato di un sorriso rassicurante e capace di infiniti equilibrismi. L’aura costruita attorno alla sua persona è frutto delle speranze di una sinistra che ha visto nei successi di Syriza il contralto a un trentennio di sfaceli ed (auto-)umiliazioni.

L’eclettismo del suo programma – pensare di abolire l’austerità restando nell’euro è come volersi fare la doccia senza bagnarsi – derivava dallo sforzo di promettere tutto a tutti senza preoccupazioni di fattibilità. La cosa gli ha consentito di tenere assieme Syriza e di vincere le elezioni (l’elettorato mediatizzato e svirilizzato di oggi è interessato solo ai faccioni e alle blandizie: non vuole trojka ed austerità ma nemmeno è disposto a grandi sacrifici per riscattare la propria libertà). E’ anche il motivo per cui Syriza ha riscosso tanti consensi presso la sinistra radicale (per ridere) occidentale, che sguazza fra identiche contraddizioni.

Naturalmente, quando Tsipras ha tentato di applicare questo modo di far politica alla dura realtà, cioè ai creditori, sono stati dolori, sia perché questi hanno un interesse comune a vedersi restituire i crediti ed era difficile dividerli, sia perché si è scontrato coll’intransigenza teutonica, incline alla linearità e antitetica al suo metodo di ammiccamento e arrangionamento a 360 gradi. Ne è venuto fuori un negoziato contorto in cui i greci concedevano qualcosa all’uno o all’altro nella speranza di ricavarne a loro volta concessioni, spesso tornavano sui loro passi perché questa o quella componente di Syriza protestava o perché vedevano che le loro concessioni non erano ricambiate, e così via ad oltranza.

L’uscita dall’euro non è mai stata contemplata perché piani audaci e colpi di mano rischiosi e lungimiranti, presupponenti determinazione e competenza, esulano dall’universo di un puro mediatore come Tsipras, nonché dall’orizzonte di un fascio disparato di componenti eterogenee com’era Syriza (la quale verosimilmente si sarebbe aperta come un uovo sbattuto davanti a una prova così impegnativa). Non avendo preparato l’opinione pubblica in questo senso – il gregge non pensa, balbetta confusamente gli slogans che gli vengono suggeriti dai padroni del momento – e non avendo predisposto alcuno strumento organizzativo, con una macchina statale paurosamente inefficiente e legata ai vecchi partiti di regime, e dopo aver fatto eleggere un europeista di ferro alla presidenza della repubblica per completare meglio la sua trama di favori e di armeggi, la prospettiva di un ritorno alla dracma è stata a malapena presa in considerazione, sullo sfondo e fuori da ogni seria preparazione tecnica.

Man mano che sbattevano il muso contro l’intransigenza dei creditori, senza nemmeno poter agitare lo spauraccho della Grexit, colla BCE che gli strangolava le ultime riserve di liquidità, i greci hanno cominciato a calarsi le brache. Alla fine al mediatore supremo nonché rivoluzionario da barzelletta, Tsipras, e alla maggioranza della truppa sparpagliata che lo seguiva (e che stava cominciando a gustarsi le prebende del potere), la resa è sembrata la soluzione più a tranquillosa e rispondente al loro nulla interiore. C’era un problema: l’ala sinistra del partito, per quanto poco più rigorosa e agguerrita del resto, non avrebbe accettato facilmente l’idea di trasformarsi, da un giorno all’altro, in cane guardia dell’austerità.

Il machiavellismo di basso cabotaggio di Tsipras ha allora escogitato l’idea del referendum, organizzato nella previsione e nella speranza di perderlo, in modo da mettere i sinistri davanti al feticcio della sacra volontà popolare. Ma come da copione (greco) son venuti fuori casini:

1) L’elettorato ha avuto un sussulto di dignità e gli ha fatto il dispetto di fargli vincere il referendum;

2) la Germania e il suo servidorame, abituati a uno stile negoziale un po’ più serio (quantomeno nelle apparenze), si sono risentiti dell’improvvisa pensata referendiaria e hanno dato una bella stretta al cappio del memorandum.

No problem, no sweat. Il nostro acrobata non si fa problemi di chiarezza o di pudore ideologico: ha cercato di reinterpretare la vittoria nel referendum come un’investitura personale, anziché come un ripudio del memorandum, e ha firmato in scioltezza l’accordo-scorsoio imposto dai creditori. Certo non è più riuscito a riassorbire i maldipancia della sinistra: questa, per quanto ansiosa di rimanere nel trogolo (si è guardata bene dal far cadere il governo quando questo ha firmato il memorandum), in assenza dlela foglia di fico del sì referendario, non se l’è sentita di trasformarsi di punto in bianco da Robin Hood in sceriffo dei creditori e ha continuato a pestare i piedi.

Non per questo Tsipras ha dimesso la sua vocazione di smanettone tanto povero di fantasia e reale determinazione, quanto ricco di capacità tattico-manovriere. In perfetto accordo coi suoi nuovi padroni si è inventato le elezioni a settembre, nella totale assenza di qualsiasi correttezza verso le regole del partito (i cui organi non sono mani stati consultati, in quanto avrebbe rischiato di finire in minoranza). In questo modo è riuscito a impedire alla sinistra di convocare un congresso interno (che avrebbe potuto destituirlo), sottrargli il tempo di organizzare a regola un nuovo partito e far votare il gregge prima che questo tocchi con mano la falcidia del suo rimanente benessere che è in preparazione. Come prima voleva abolire l’austerità senza uscire dall’euro, adesso Tsipras giura che non farà accordi coi vecchi partiti di regime (per limitare l’emorragia di voti e militanti) sapendo benissimo che ci si accorderà il giorno dopo l’elezione.

Senza escludere, mano a mano che dovrà implementare il memorandum, di giocarsela su fronti diversi a seconda delle opportunità e dei rapporti di forza del momento, diventando il cameriere inappuntabile dei creditori fintanto questi gli presenteranno un fronte compatto, ovvero riallargandosi a sinistra e boicottandone le misure qualora Podemos o Le Pen dovessero complicare la situazione e costringere i suoi nuovi padroni a presentargli un fianco scoperto.

E’ la mentalità greca bellezza. Ed è la realtà di una sinistra europea interamente prostituitasi a Mammona e al conquistatore anglosassone, che immancabilmente riproduce – stavolta in modo particolarmente caotico e sciattone – il modello di Rifondazione comunista, che per 20 anni ha coperto da sinistra il turboliberismo piddino. Una sinistra colorata e inoffensiva, interamente subordinatasi alla narrativa – alla political correctness – di quel capitalismo di rapina che a onor di logica dovrebbe essere il suo principale avversario. Con quest’ennesimo tradimento la palla passa definitivamente al Front national, alla NPD tedesca e ad Alba dorata.

Fonte: Comedonchisciotte.org

02.09.2015

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