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DI JACQUES SAPIR

russeurope.hypotheses.org

Si sa che in un sistema di moneta unica (un’Unione Monetaria) come la zona Euro, i paesi membri non possono effettuare svalutazioni gli uni rispetto agli altri. Una svalutazione (o rivalutazione) della moneta non può esserci se non fra l’insieme della zona e il «resto del mondo».

In questa Unione Monetaria un problema maggiore è dato dall’evoluzione della competitività dei paesi membri. Ormai i paesi non possono correggere gli scarti di competitività attraverso svalutazioni monetarie. La competitività va calcolata in relazione all’economia dominante dell’Unione Monetaria, nel caso dell’Euro la Germania. Se si vuole misurare l’effetto dell’Unione Monetaria sull’economia dei paesi membri, bisogna analizzare il modo in cui questa competitività s è sviluppata a far data dall’entrata in vigore dell’Unione Monetaria.

La questione competitività

Nel caso della zona euro, questo problema della competitività relativa dei singoli paesi è oggi uno dei problemi maggiori. Da quando è entrata in vigore l’Unione Monetaria dell’Euro (1999) la competitività relativa si è sviluppata in funzione:

  1. Delle differenze nei ritmi di inflazione
  2. Delle differenze nei profitti da lavoro (produttività)
  3. Delle differenze nella pressione fiscale sulle imprese, salvo nel caso in cui fosse decretata un’Unione Fiscale
  4. Delle differenze nei tassi dei salari diretti e indiretti (comprese le prestazioni sociali), salvo nel caso in cui fosse decretata un’Unione Sociale
  5. Della crescita del tasso di produzione del paese preso in esame in rapporto all’economia dominante

Si noterà che uno solo di questi fattori si avvicina ad una competitività a «costo zero». In effetti l’insieme degli studi disponibili sulla zona Euro mostrano che la competitività a «costo zero» ha un ruolo minore, dal 10% al 30% a seconda dei paesi. Bisogna sottolineare che, in assenza di un’Unione Fiscale e di un’Unione Sociale, i governi sono tentati di mettere in atto politiche di svalutazione interna (cioè abbassare i salari in maniera sia relativa sia assoluta) o di alleggerire il pesante fardello fiscale sulle imprese. Nel primo caso, la riduzione dei salari comprime fortemente la domanda interna e può condurre ad una recessione notevole, se la domanda estera non riesce a sostituire la debole domanda interna. Nel secondo caso, la riduzione del peso fiscale sulle imprese può condurre a politiche fiscali che si tradurranno o in una crescita del debito pubblico o in una forte riduzione della spesa pubblica, fatto che prima o poi avrà conseguenze negative sulla sanità, sull’educazione della popolazione, e porterà ad un crollo della produttività.

In verità la questione dei proventi relativi in inflazione e in produttività permette di stabilire i limiti necessari che occorre mettere in piedi se si vuol mantenere il livello iniziale di competitività, in relazione alla svalutazione interna e al taglio del carico fiscale, a beneficio delle imprese e a svantaggio delle famiglie. È facile immaginare il freno alle attività che ne deriva. Di fatto per la maggior parte dei paesi dell’Unione Monetaria questo problema della competitività si trasforma in un notevole strumento depressivo, come già aveva sottolineato fin dal 2007 Jorg Bibow. [1].

È per stimare questo effetto, oltre al costo potenziale che ha sulla crescita, che prendiamo in esame l’evoluzione dei due fattori di produttività nei paesi dell’Europa del sud. Presentiamo qui l’evoluzione dell’inflazione e della produttività in 4 paesi (Spagna, Grecia, Italia e Portogallo) per cercare di valutare le misure necessarie che questi paesi dovranno prendere se vorranno restare nell’Unione Monetaria con la Germania.

La Questione dell’inflazione

Si ritiene che i tassi di inflazione siano un buon indicatore del rialzo dei prezzi per l’insieme dell’economia, cosa che beninteso è un’approssimazione. Per essere precisi occorrerebbe distinguere fra settori esportatori, settori esposti alla concorrenza nei mercati interni e settori che operano in condizioni di protezione relativa rispetti alla concorrenza estera. In questo studio useremo i tassi di inflazione che figurano dai dati del FMI. Nel caso della zona euro, per i 4 paesi presi in esame otteniamo le seguenti cifre in rapporto ai tassi di inflazione in Germania.

Tabella 1

Inflazione

Scarto con i tassi di inflazione cumulativi della Germania

Grecia

Italia Portogallo

Spagna

1999 0 0 0 0
2000 2,00% 1,03% 1,54% 1,61%
2001 3,81% 2,22% 2,98% 3,74%
2002 5,44% 2,70% 5,67% 4,79%
2003 8,01% 4,09% 8,30% 7,30%
2004 10,94% 6,09% 10,93% 9,71%
2005 12,43% 6,73% 11,96% 11,35%
2006 14,63% 7,19% 12,44% 13,32%
2007 16,66% 7,83% 14,21% 15,75%
2008 17,83% 7,71% 14,71% 16,83%
2009 20,19% 8,86% 15,00% 19,13%
2010 21,60% 9,56% 13,53% 18,53%
2011 26,83% 10,29% 13,99% 19,96%
2012 28,72% 11,07% 15,76% 21,23%
2013 28,38% 12,88% 16,99% 22,13%
2014 24,95% 12,64% 15,61% 22,37%

Fonte: Banca dati FMI

Si vede come fra 1999 e 2007 l’inflazione sia grosso modo la stessa per la Grecia, la Spagna e il Portogallo: lo scarto con la Germania aumenta. Poi l’inflazione tende a rallentare in Portogallo, che stabilizza la propria posizione in relazione alla Germania, mentre continua ad aumentare – rispetto ai ritmi tedeschi – per la Spagna e per la Grecia, e questo fino al 2010. È solo a partire da questa data che si nota una divergenza nello scarto di inflazione con la Germania. Tende a stabilizzarsi in Spagna mentre aumenta bruscamente (2011 e 2012) in Grecia, prima di diminuire nel 2013 e nel 2014.

Grafico 1

A - InflaCompar

Source : base de données du FMI

È perciò chiaro che fino al 2007 le dinamiche inflazioniste sono state relativamente simili fra la Spagna, la Grecia e il Portogallo. Dopodiché l’applicazione dei programmi di austerità ha avuto effetti diversi, provocando un ribasso rapido dello scarto in Spagna e, al contrario, una crescita dell’inflazione in Grecia, prima che la brutalità delle politiche pronosticate dalla Troika provocasse una riduzione della forbice negli ultimi due anni.

Il caso dell’Italia è abbastanza diverso dagli altri tre paesi, ma non per questo non è problematico. Dal 1999 al 2013 lo scarto del tasso di inflazione con la Germania è regolarmente in crescita. Certo, i ritmi sono meno rapidi che per gli altri tre paesi, ma l’Italia vede il suo scarto di inflazione con la Germania aumentare di oltre il 12% totali nel 2013, fatto che – senza l’Unione Monetaria – avrebbe portato ad un deprezzamento monetario dello stesso ordine.

Si pone quindi un problema: lo scarto fra le dinamiche inflazionistiche è rilevante (dal 25% della Grecia al 12,5% dell’Italia) e duraturo. Ora, ci si aspetta che questi paesi abbiamo la stessa politica monetaria della Germania, dato che la politica monetaria è una questione decisa dalla BCE e non più dalle istituzioni monetarie nazionali. Anche se si accetta l’ipotesi di una «memoria» negli anticipi dell’inflazione,[2], si sarebbe dovuto vedere verso il 2004/2005 un allineamento ai ritmi dell’inflazione della Germania, portando a curve grosso modo ravvicinate (grafico 1).[3], Ora, tutto ciò non si è verificato. Questo costituisce un argomento per dimostrare che l’inflazione può avere una componente non monetaria ma dimostra anche la follia con la quale si è voluto realizzare l’Euro (e l’Unione Monetaria) con paesi dalle strutture economiche così diverse.
[4].

La questione della produttività

Ciò nonostante, lo scarto fra i ritmi di inflazione fra i 4 paesi e la Germania avrebbero potuto essere compensati se in questi paesi i profitti della produttività da lavoro fossero stati più rapidi di quelli tedeschi. Vediamo allora l’evoluzione dello scarto dei profitti da lavoro, a partire dai dati OCSE. Anche in questo caso ci sono imprecisioni statistiche, relative al calcolo preciso delle ore lavorative. Tuttavia l’utilizzo dei dati OCSE ci sembra dare una garanzia di maggiore omogenità dei dati fra i diversi paesi rispetto al calcolo fatto a partire dai dati nazionali.

Tabella 2

Produttività

Scarto con la crescita cumulativa della produttività in Germania

Grecia

Italia Portogallo

Spagna

1999 0 0 0 0
2000 1,84% 0,80% 0,74% -0,73%
2001 3,29% -1,51% -1,26% -2,11%
2002 3,72% -3,43% -1,57% -2,20%
2003 9,02% -5,11% -2,30% -2,59%
2004 11,37% -4,53% -0,75% -3,42%
2005 8,33% -5,08% -0,55% -4,76%
2006 9,37% -8,28% -2,71% -7,82%
2007 9,88% -9,81% -1,78% -8,84%
2008 8,49% -10,48% -1,46% -6,99%
2009 10,24% -8,11% 4,31% 2,42%
2010 3,28% -9,60% 4,33% 1,08%
2011 -2,98% -11,79% 1,54% 0,01%
2012 -0,41% -13,22% 3,18% 3,04%
2013 0,11% -12,79% 5,27% 5,44%
2014 -0,12% -13,67% 3,18% 4,84%

Source :

OECD Economic Outlook, Volume 2014 Issue 2 – © OECD 2014
Annexe : Table 12. Labour productivity in the total economy

Nota: Produttività da lavoro misurata sul PIL per ciascun individuo occupato.

Si notano qui degli sviluppi molto divergenti. Lo scarto nei profitti da lavoro con la Germania appare marcato per l’Italia e la Spagna. Al contrario, la Grecia migliora la propria posizione dal 1999 al 2004 (smentendo spudoratamente tutti coloro che, oltre il Reno, hanno definito i lavoratori greci «raccoglitori di olive»), mentre il Portogallo ha avuto una crescita della produttività paragonabile a quella della Germania.

Grafico 2

A - Produc

Fonte: OCSE e calcoli del Centre d’Etudes des Modes d’Industrialisation – EHESS

La crisi del debito ha avuto invece effetti diversi a seconda dei paesi. A partire dal 2008 la Spagna e il Portogallo hanno raggiunto i profitti realizzati in Germania. Questa evoluzione è particolarmente evidente per la Spagna, che ha guadagnato il 12% rispetto alla Germania. Lo si può spiegare ipotizzando che la crescita della disoccupazione (decisiva in questi due paesi) è stata la conseguenza della chiusura dei settori meno efficienti, e in particolare con la chiusura dei cantieri edili, mentre le imprese industriali – tradizionalmente più produttive del settore edile – erano meno toccate dalla forte recessione. Per la Grecia invece si è verificato un fenomeno inverso. Anche qui la disoccupazione è fortemente aumentata a partire dal 2009, ma ha prodotto un crollo della produttività che si è tradotto in una degradazione rilevante della situazione greca in rapporto a quella tedesca.

Se l’evoluzione di Spagna e Portogallo è grosso modo coerente con la teoria economica, non si può dire altrettanto per la Grecia. Si può dunque ritenere che la brutalità con cui è stata applicata la politica della Troika ha prodotto anche la chiusura di imprese produttive, comprese quelle a forte produttività (effetto della crisi di liquidità), ma anche che la distruzione quasi totale del sistema sociale in Grecia ha avuto effetti perversi sull’impegno e sulla disponibilità della forza lavoro. Da questo punto di vista, benché non sia stato realizzato alcun studio generale, occorre interrogarsi sulle conseguenze economiche e produttive degli importanti tagli nel settore sociale e nelle infrastrutture a sostegno della popolazione.

C’è infine un paese che ha un’evoluzione preoccupante, ed è l’Italia. Non si vede alcun segno di miglioramento nei profitti da lavoro in relazione alla Germania. La degradazione è regolare e pressoché costante. Dal 1999 lo scarto di produttività con la Germania si è largamente approfondito.

La competitività e il «bisogno» di svalutazione interna

Incrociamo ora i dati sottraendo allo scarto della produttività il valore dello scarto di inflazione, allo scopo di vedere come si combinano gli effetti dell’aumento dei prezzi e della produttività. Il risultato è impressionante tanto per il caso della Grecia quanto per quello dell’Italia.

Tabella 3

Somma degli scarti di produttività e inflazione dei quattro paesi dell’Europa del sud rispetto alla Germania

Grecia Italia Portogallo Spagna
1999 0 0 0 0
2000 -0,2% -0,2% -0,8% -2,3%
2001 -0,5% -3,7% -4,2% -5,9%
2002 -1,7% -6,1% -7,2% -7,0%
2003 1,0% -9,2% -10,6% -9,9%
2004 0,4% -10,6% -11,7% -13,1%
2005 -4,1% -11,8% -12,5% -16,1%
2006 -5,3% -15,5% -15,1% -21,1%
2007 -6,8% -17,6% -16,0% -24,6%
2008 -9,3% -18,2% -16,2% -23,8%
2009 -10,0% -17,0% -10,7% -16,7%
2010 -18,3% -19,2% -9,2% -17,5%
2011 -29,8% -22,1% -12,4% -19,9%
2012 -29,1% -24,3% -12,6% -18,2%
2013 -28,3% -25,7% -11,7% -16,7%
2014 -25,1% -26,3% -12,4% -17,5%

Fonte : calcolo del Centre d’Etudes sur les Modes d’Industrialisation-EHESS et tabelle 1 et 2.

Risulta enorme il «bisogno» di una svalutazione interna (con un ribasso dei salari nominali) e di un alleggerimento del carico fiscale sulle imprese per la Grecia e per l’Italia. In questi due paesi, che sono anche quelli con il debito pubblico più grande e il minor margine di manovra fiscale, ci vorrebbe un doppio intervento di circa il 25%, sui salari e sulle tasse alle imprese, per compensare il peggioramento della produttività rispetto alla Germania cumulatosi dal 1999.

Grafico 3

A-comp

L’intervento sarebbe minore in Spagna (ma comunque sostanziale) e soprattutto in Portogallo. Si vede come la Grecia e l’Italia non possano sperare di stabilizzare la loro situazione nella zona Euro se non a condizione di realizzare una svalutazione dei salari (svalutazione interna) di circa il 20%. Tutto ciò conduce a pensare ad un’altra ipotesi: quella di un’uscita dall’Euro (e la fine dell’Unione Monetaria). Un deprezzamento della moneta nazionale (la Dracma e la Lira) di circa il 25% permetterebbe a questi paesi di ritrovare la loro competitività rispetti ai paesi dell’Unione Monetaria. Anche nel caso della Spagna, questa soluzione sembrerebbe migliore rispetto a quella di una prosecuzione delle politiche di austerità, perché si dovrebbero fare ulteriori sacrifici per sperare di recuperare la competitività del 1999.

Si misura qui la follia con cui si è cercato di realizzare un’Unione Monetaria senza meccanismi di trasferimento, senza unione fiscale e senza unione sociale. Allo stato attuale solo una rapida uscita dall’Euro può risparmiare alla popolazione dei tre paesi, Spagna, Italia e Grecia, la prosecuzione delle sofferenze e della disperazione, frutto di tale politica.

Jacques Sapir

Fonte: http://russeurope.hypotheses.org

Link: http://russeurope.hypotheses.org/3528

4.03.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARTINO LAURENTI

[1] Bibow J.,, « Global Imbalances, Bretton Woods II and Euroland’s Role in All This », in J. Bibow et A. Terzi (dir.), Euroland and the World Economy: Global Player or Global Drag?, New York (N. Y.), Palgrave Macmillan, 2007

[2] C. Conrad et M. Karanasos, « Dual Long Memory in Inflation Dynamics Across Countries of the Euro Area and the Link between Inflation Uncertainty and Macroeconomic Performance », Studies in Nonlinear Dynamics & Econometrics, vol. 9, n° 4, novembre 2005 (publié par The Berkeley Electronic Press, http://www.bepress.com/snde ).

[3] D’où la notion de l’inflation structurelle. Voir Sapir J., « What Should the Inflation Rate Be? (On the Importance of a Long-Standing Discussion for Defining Today’s Development Strategy for Russia) », Studies on Russian Economic Development, vol. 17, n° 3, mai 2006 et

[4] Sapir J., Faut-il sortir de l’Euro ?, Le Seuil, Paris, 2012.

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